Dalle crepes stampate in 3D, alla cuccia domotica per gli amici a quattro zampe, fino alla 'House of drones', una grande voliera dove i droni si esibiranno nelle loro performance. Ci sarà spazio per queste e altre 700 invenzioni di ogni genere alla 'Maker Faire Rome', la più grande fiera europea dell'innovazione e della tecnologia, che si terrà dal 16 al 18 ottobre nella Città universitaria della Sapienza di Roma. Un'esposizione dove, tra stand e seminari, il pubblico potrà seguire percorsi di visita speciali e toccare con mano l'evoluzione di un progetto dalla fase del prototipo a quella del prodotto finito.
“Dimostrare che l'artigianato, il quale ha fatto della tradizione il suo successo, e l'innovazione tecnologica possono incontrarsi e imparare a parlarsi, questo è l'obiettivo di Maker Faire”, spiega Lorenzo Tagliavanti, direttore della Confederazione nazionale dell'Artigianato di Roma e presidente della Camera di Commercio capitolina, che dell'evento è organizzatrice. Tra gli ospiti della manifestazione anche blogger, esperti di comunicazione, talent scuot ed editori, come Carlo De Benedetti, honorary chairman della Make in Italy Foundation. Del resto, questa sarà la terza edizione della fiera, quella della maturità, come dice Tagliavanti: “Quest'anno lo scopo è riuscire ad attirare davvero gli imprenditori”.
Così, sotto l'insegna della scienza sostenibile, la manifestazione ospiterà invenzioni provenienti da tutto il mondo, selezionate tra i 1.300 progetti arrivati alla 'call for makers' che si è chiusa a giugno. Difficile scegliere quali scartare, vista la qualità elevata delle proposte. Un occasione per mettere in luce le qualità della produzione italiana, soprattutto all'interno della sezione 'Artigiani innovativi e scuole'. “Abbiamo deciso di dare spazio a settori che storicamente fanno parte del mondo dell'artigianato, come la moda, la gioielleria o la meccanica, per mostrare alla gente quanto ormai siano pervasi dalle nuove tecnologie - annuncia Stefano Micelli, curatore del padiglione e professore dell'Università Ca' Foscari -. Sul tema della manifattura digitale l'Italia si gioca gran parte della sua competitività a livello internazionale”. E sul punto concorda anche Tagliavanti: “Il made in Italy è uno dei marchi economici più ricercati al mondo, ma è un marchio collettivo. Perché il piccolo produttore riesca a dialogare con un mercato su scala globale e a intercettare il pubblico, servono le nuove tecnologie”.
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Grande risalto, quindi, sarà dato al lavoro dei FabLab, laboratori che offrono servizi di fabbricazione digitale e che costituiscono un punto di contatto privilegiato tra giovani appena usciti dalla scuola o dall'Università e imprese piccole, medie o grandi: “Queste realtà hanno successo, anche più dei grandi centri di trasferimento tecnologico, perché favoriscono la dimensione sociale nell'incontro tra offerta e domanda di progetti innovativi per la produzione artigianale - continua Micelli -. La cura dei rapporti umani vince su una visione puramente mercantile del mondo della tecnologia, i FabLab sono vere palestre di sensibilizzazione e di partecipazione all'innovazione”. Un circuito parallelo alle esperienze maturate negli Stati Uniti che fiorisce anche nel nostro Paese: l'Italia è la seconda nazione al mondo per numero di FabLab (in tutto 70), secondo i dati dell’ultimo censimento della Make In Italy Foundation. “Da noi ci sono grande fermento e molta qualità. La nostra società risponde bene alla sfida del digitale”, nota il professore.
Ciononostante l'Italia è in ritardo dal punto di vista della diffusione delle infrastrutture tecnologiche. Come suggerisce Micelli, è fondamentale trovare un modo per mantenere una manifattura d'eccellenza, affiancando la manualità e il talento che contraddistinguono le produzioni nostrane ai nuovi mezzi tecnici. Una via tutta italiana del digital manifacturing, insomma. Ma per riuscirci bisognerà superare alcune criticità. “Gli imprenditori spesso non sanno come trasformare le tecnologie che usano nel proprio lavoro concreto in ritorno economico diretto - avverte Micelli - perciò spetta a chi si occupa di management indicare le soluzioni per monetizzare questi strumenti”. Non basta, però. Secondo il professore, se si vuole davvero dare corso a una rivoluzione, è necessario un accompagnamento, un'alfabetizzazione. Mentre all'estero in agenda ci sono programmi di comunicazione e informazione sulla tecnologia, da noi questo manca: “Il problema è che qui si tende a considerarla una faccenda settoriale, che riguarda pochi esperti”. Spetta allora alle istituzioni provvedere a colmare questa lacuna, approfittando della curiosità che la gente dimostra per il settore tecnologico.
La scuola potrebbe essere il principale fautore di questa rivoluzione. Come nota il professor Micelli, ci sono molti istituti tecnici che si danno da fare con progetti entusiasmanti. Ne sono un esempio i 30 selezionati per essere esposti nello spazio dedicato agli studenti all'interno di Maker Faire: “Un'occasione per far emergere le tante energie di ragazzi e insegnanti motivati che covano nelle nostre scuole e che a volte non vengono valorizzate”, dice Micelli. E anche le imprese si trovano più a loro agio nel rapportarsi con inventori e scienziati che, al tempo stesso, sono giovani delle scuole, piuttosto che con persone appartenenti a una élite super-qualificata. “La scuola aiuta gli imprenditori, ma il vantaggio potrebbe essere reciproco - conclude il docente - perché c'è molta richiesta di figure professionali nell'ambito della manifattura digitale”. E detto in tempi di crisi occupazionale, non è poco. “D'altra parte, il fatto stesso che a fare da set alla Maker Faire sia la Sapienza, la più grande Università di Roma e d'Europa, è significativo, anche a livello simbolico - prosegue Tagliavanti -. La didattica ordinaria è sospesa per lasciar spazio agli innovatori: è un'apertura da parte dell'istruzione alla tecnologia”.
L'innovazione, insomma, viene sdoganata: da fatto di pochi “giovani smanettoni che lavorano alle loro invenzioni nei sottoscala”, per usare le parole di Tagliavanti, si trasforma in evento di richiamo per il grande pubblico e, soprattutto, in strumento per salvare le produzioni italiane. Una passione, ma anche un lavoro. Al Maker Faire, infatti, si sta creando valore: “Il successo della manifestazione si vede dall'impegno degli sponsor privati - conclude Tagliavanti -. Adesso investono un milione e 700 mila euro, così la Camera di Commercio può metterci meno soldi, pur realizzando una fiera molto più grande”. A ribadire il concetto arrivano anche i dati. Secondo lo studio 'Digital Economy Outlook 2015' elaborato dall’Ocse, infatti, l’economia digitale nel 2014 ha rappresentato il 2,54 per cento dell’occupazione totale in Italia (leggermente inferiore a quello della media Ocse del 2,8 per cento) e il 3,72 per cento del valore aggiunto generato dall’intero sistema economico nel 2013 (nettamente inferiore a quello della media Ocse del 5,5 per cento). Esistono, quindi, ampi margini di crescita. E recuperare terreno rispetto alla media Ocse equivarrebbe a creare circa 30 miliardi di euro di Pil in più.