Fabio Orecchini, direttore del Care, center of automotive research and evolution dell'università Guglielmo Marconi di Roma spiega i motivi dello scandalo dei veicoli truccati

La scoperta della clamorosa frode sul software che consentiva ai motori turbodiesel del gruppo Volkswagen di fare i “bravi” davvero solo durante il ciclo di omologazione ha messo a soqquadro il mondo dell'auto e massacrato in borsa l'azione del colosso tedesco, che sul listino ha perso il 18,6 per cento lunedì e quasi il 20 per cento oggi. La bomba scuote anche la comunità scientifica.

«Perché tutti noi tecnici indipendenti sapevamo che una manomissione del genere fosse possibile. Non immaginavamo però che qualcuno la mettesse in pratica», sostiene Fabio Orecchini, direttore del Care, center of automotive research and evolution dell'università Guglielmo Marconi di Roma e coordinatore scientifico di H2R, l'evento di riferimento per la sostenibilità mobile, in programma a Rimini dal 3 al 6 novembre.

Professor Orecchini, come facevate a saperlo?
«Alla comunità scientifica era assolutamente chiaro che i motori sono tarati per dare il meglio nelle condizioni specifiche dei cicli di omologazione, che prevedono un certo tipo di accelerazioni, un certo numero di soste, e un certo di velocità costanti, non necessariamente quelle che un guidatore mantiene al volante».

E voi scienziati non siete intervenuti?
«Da tempo i ricercatori indipendenti danno battaglia proprio per avere cicli di omologazioni più vicini alla realtà della strada, posizione condivisa negli ultimi anni pure dalla Commissione europea, che sta premendo sui costruttori. L'obbiettivo? Le misurazione istante per istante: di fatto le auto di oggi sarebbero già in grado di farlo. Basterebbe con un computerino interrogare l'auto e chiederle: “Quanto stai emettendo?”. Si  può sapere macchina per macchina quel che succede, e anche come si comporta il guidatore: se accelera bruscamente, corre troppo o guida  in modo esasperato, inquinerà comunque sempre troppo anche se gli è stata messa in mano un'auto in grado di emettere poche sostanze nocive».

Ma come facevano i motori taroccati a ingannare così brillantemente le norme?
«I software installati nella centraline capiscono se il motore sta andando sui strada o sul banco a rulli, anche dal comportamento della sospensione. E ci mettono un attimo a “settare” il propulsore diversamente, per rientrare in determinati parametri. Ripeto: nessuno  pensava che qualcuno lo facesse, anche se sapevamo che tecnicamente fosse fattibile». 

Ma salterà fuori che hanno barato anche altri produttori di auto?
«Come nello sport, quando si scopre che uno è dopato, può scattare il sospetto che altri ricorrano al doping. E ci si augura che i controlli saranno più rigidi. In America hanno fatto approfondimenti che sono andati oltre gli standard, ora auspichiamo che ovunque lo facciano».

Lei è un grande sostenitore delle motorizzazioni ibride ed elettriche. Questo fattaccio può aiutarne la diffusione?
«Siano in un momento storico, si può svoltare decisamente verso le emissioni zero e arrivarci entro 10-20 anni, con massicci investimenti, anche pubblici. Tutto ciò ha bisogno di una grande credibilità di base del sistema, quella credibilità che lo scandalo scoppiato negli Usa ha profondamente minato».

E come si recupera la credibilità?
«Da professore-ricercatore devo essere ottimista e invoco una svolta verso il rigore accompagnata da una vera volontà politica di arrivare a veicoli a emissioni zero alimentati con risorse rinnovabili. Spero che sia il momento per un rigore di fondo. I grandi produttori europei hanno investito sul diesel, lo hanno difeso, migliorandolo e ottenendo vantaggi competitivi verso altri concorrenti. Anche ritardando un processo di elettrificazione – parlo soprattutto dell'ibrido – che altrove c'è stato. Speriamo che nessun altro abbia barato. Però ci vogliono assolutamente normative molto precise e rigide e i controlli sul loro rispetto». 

Ma basta il rigore se poi ci teniamo il ciclo di omologazione così com'è, con i dati sulle emissioni nocive che non corrispondono mai alla realtà?
«No, deve cambiare tutto. Quel che interessa all'automobilista, e pure al cittadino, è capire se quella vettura inquina o non inquina, consuma o non consuma. Interessa ciò che combina su strada, non su un ciclo ipotetico o standard. I grammi di CO2 sono stati messi sui cartelloni pubblicitari anche se tutti sanno che non sono quelli che finiscono nell'aria. Ma noi respiriamo ciò che esce dagli scarichi in strada, non quello che risulta durante i cicli di omologazione».