Come tante donne, come troppe donne, Adele Dolci (pseudonimo di una professionista affermata) è stata a lungo vittima di stalking e sopraffazioni, fino a rischiare la sua stessa vita. Per mano barbara di quell'uomo che nei primi tempi l'aveva fatta sentire come una regina, colmandola di attenzioni e cristallizzandola al centro dell'universo. Poi i primi segnali d’allarme, e quel totem ha cominciato a corrompersi, tradendo la sua natura opportunistica e meschina. Le classiche spie di un amore malato, quasi sempre (comprensibilmente) sottovalutate e sottaciute. Ecco la possessività ossessivo/compulsiva. Ecco gli accessi d'ira repentina.
Ecco la separazione obtorto collo a due dal resto del mondo, e “in breve tempo dal mio guardaroba scomparvero minigonne e magliette scollate e trovarono spazio sobrie camicette che dovevo tenere abbottonate e gonne sotto al ginocchio che fino a quel momento avevo detestato perché mi mozzavano la figura”. E subito dopo il tradimento, naturalmente di lui. Il suo sguardo assorto ed estasiato che si trasforma in una sagoma di odio beffardo. La nascita del figlio che finisce solo per disgregare le ultime particelle di apparente normalità di coppia, accelerando la discesa negli inferi proprio quando a lei sarebbe occorso un supplemento di umanità, per non dire tenerezza.

Le botte, le costole rotte, il volto tumefatto. Il secondo step, la violenza psicologica: “Di’ qualcosa ai tuoi o alle tue amiche e io me la prendo con nostro figlio, lo convincerò che la vera pazza sei tu". “Il mio errore è stato di dire al mio ex: 'Fai pure quello che vuoi, ma lascia in pace nostro figlio'. Gli stalker sono abilissimi nel capire il punto debole delle loro vittime". Terzo, la violenza legale: “Mi pedinava e fotograva dappertutto. Mi sibilava: «Tanto esiste solo la mia parola contro la tua». Mi tartassava di cause e denunce penali tra le più fantasiose e assurde". Quarto, la violenza economica: "Mi ha svuotato il conto in banca, mi rubava i gioielli e le pellicce. Mi è toccato pagare da sola il mutuo della casa e persino le rate del suo Suv". Il terrore: "Si intrufolava in casa e manometteva caloriferi, contatori, boiler...".
Oggi Adele gira la penisola per aiutare le altre donne a infrangere la campana del silenzio. Per riprendersi l'esistenza prima che sia troppo tardi. Denunciando quei mostri vigliacchi adagiati al loro fianco nel letto. Una tendenza che non conosce requie: secondo l’Istat una donna su tre, in Italia, è stata vittima di un episodio di violenza e quasi tre milioni di loro hanno patito le attenzioni di uno stalker, che in più della metà dei casi era l’ex fidanzato.
È in uscita per Nuovadimensione il libro “Non mi fai più paura”, dove Adele Dolci racconta la sua storia. Un incubo durato dieci anni. "Di stalking purtroppo si parla poco e nella opinione comune viene considerato un reato di poco conto: ma esserne vittima ti cambia la vita. Spesso anche nelle aule dei tribunali, finché non vengono commesse azioni gravi o gravissime come lesioni personali o femminicidi, il reato di stalking viene, diciamo così, derubricato a quello di molestie. Così la pena inflitta al molestatore è sovente solo pecuniaria e la vittima si sente come sminuita rispetto alle violenze che quotidianamente subisce e che, come abbiamo imparato ad apprendere tristemente dalle cronache, possono rapidamente evolvere verso una violenza maggiore da cui la vittima non ha scampo” ci racconta l'autrice “Non so se il mio libro possa piacere per come è scritto, ma sicuramente deve far riflettere su quanto può accadere a tutti. Lo stalking non ha confini sociali o geografici".
Non esistono ragioni al mondo per accettare la violenza.
«A questa consapevolezza non sono giunta subito, ma a posteriori, e con l'aiuto di un supporto psicologico. Sono sempre stata una donna forte ma, a causa delle violenze subite, avevo perso tutte le mie certezze, la paura prendeva il sopravvento e, pur di non vedere mio figlio affidato ai servizi sociali, ero pronta a sopportare di tutto. Ero irriconoscibile anche agli occhi delle persone che mi vogliono più bene al mondo".
Cosa l'aveva fatta innamorare di colui che sarebbe diventato il tuo persecutore?
«Per prima cosa, i suoi occhi e il suo sguardo profondo oltre alla "assidua costanza" del suo corteggiamento: i suoi modi davvero gentili, un gentleman d’altri tempi. In realtà quella che io pensavo fosse tenacia era la prima avvisaglia di un comportamento a tratti assillante e ossessivo che sul momento non avevo riconosciuto".
Come si comportava all'inizio?
«Era sempre gentile, galante. Mi trattava come una principessa. Era soltanto molto geloso: mi telefonava parecchie volte al giorno e cercava ogni occasione per vedermi. Me lo ritrovavo dappertutto, anche in posti che lui non frequentava certo abitualmente. Lui c'era sempre: per caso, credevo, sbagliandomi. Tutto questo in fondo mi lusingava. Ma ben presto mi condusse all’isolamento, da tutto e da tutti. L'isolamento è il primo aspetto da evitare per prevenire lo stalking e le violenze".
Come e quando è cominciata la sua odissea?
"Per caso, quando ho scoperto il suo tradimento. Secondo lui, io avrei dovuto far finta di nulla, vivere in casa col bambino e non dirlo a nessun parente o amico. Avrei dovuto fingere mentre lui proseguiva beatamente la sua doppia vita. Al mio diniego sono arrivati i primi calci e pugni, proprio di fronte a nostro figlio che piangeva spaventato...”.
E la giustizia?
"Ci ho messo del tempo, ma alla fine l’ho denunciato ed è stato condannato. Anche se inizialmente le istituzioni preposte avevano preso sottogamba la mia vicenda. Perché "tanto è la solita relazione che finisce in maniera conflittuale". E poi perché gli stalker sono criminali abilissimi, che agiscono con freddezza, che sanno sempre cosa rispondere in qualsiasi situazione. Premeditano tutto, mentre tu ti senti sempre più spaventata e angosciata; temi per la tua incolumità e per quella dei tuoi cari; appari ansiosa e insicura. Tutte le tue certezze sulla legalità, il rispetto, il senso civico, crollano. Hai paura, una paura terribile e con accenti a volte irrazionali: come quello di vederti sottrarre tuo figlio dai servizi sociali".
Le leggi italiane non tutelano abbastanza?
"Sulla carta sì. Ma come fanno a tutelarci veramente se poi noi non denunciamo? E i procedimenti e le cause pendenti durano parecchi anni. Come si legge nel libro, a causa di queste lungaggini burocratiche sono stata picchiata ancora tra le mura di casa, e sempre davanti agli occhi di mio figlio, senza che potessi fare nulla per evitarlo. O meglio, avrei potuto, cambiando la serratura di casa: ma in quel modo avrei commesso un reato penale, con tutte le conseguenze del caso e ripercussioni certe sulla sentenza di affido di mio figlio. Inoltre i vari tribunali (civile, dei minori, penale) lavorano spesso a compatimenti stagni".
Le cronache sono uno stillicidio di violenze contro le donne, che sconfinano nel femminicidio. Un’escalation senza fine. ?"Succede perché la si considera una cosa da niente, la violenza domestica. «Prendere uno schiaffo in famiglia non è poi una cosa grave, che sarà mai»: queste le parole che mi sono sentita pronunciare dal personale tecnico delegato dal giudice del tribunale dei minori a cui la mia causa faceva riferimento. Invece anche un solo schiaffo dato in casa, specie se in presenza di un bambino, è un segno di violenza. E se questo gesto viene sottovalutato, soprattutto dalle istituzioni, l'aggressore si sente (e di fatto lo è) impunito e va avanti nel suo percorso di violenza domestica, che può sfociare nell'omicidio. Spesso la violenza domestica non ha testimoni da produrre nelle aule dei tribunali, i bambini che assistono sono magari molto piccoli e non vengono ascoltati (per fortuna, dico io). In più impera l’omertà tra i vicini di casa e i passanti, che vedono e ascoltano ma si girano dall’altro lato. A me è capitato in più di un’occasione. E senza testimoni, tutto si complica maledettamente. Non banalizzate mai la violenza domestica".
Ha mai avuto paura di essere ammazzata dal suo ex?
"Certo. D’altronde me lo aveva promesso un’infinità di volte, che sarebbe andato avanti fino alla "fine"… Specialmente quando rincasavo dal lavoro alla sera: camminavo guardandomi alle spalle, non parcheggiavo più nel garage sotterraneo".
E ha mai avuto paura per suo figlio?
"Sì, e molta. Quando il mio ex è stato condannato anche in Cassazione, ha smesso di perseguitare me ma a quel punto ha preso di mira nostro figlio. Non una violenza fisica, ma di una grana più sottile, infida: difficile da provare, difficile da raccontare da parte di un bambino...".