Adesso che uno dei capi della 'ndrangheta emiliana he deciso di rompere il muro d'omertà, l'impalcatura invisibile che tiene in piedi il sistema criminale rischia di crollare. Il primo pentito del clan Grande Aracri si chiama Giuseppe Giglio. E di professione fa l'imprenditore. Grado di affiliazione, secondo gli inquirenti, “organizzatore”. In altre parole un capo, una testa che decice, un manager della cosca.
Il pentimento, anticipato nei giorni scorsi da “Repubblica Bologna”, è un fatto eclatante. Enorme. Giglio dalla cella del 41 bis ha scelto di ammettere e di accusare. E proprio per la posizione apicale occupata da Giglio nell'organizzazione, le parole che metterà a verbale fanno paura a molti. Soprattutto ai complici insospettabili che hanno garantito alla 'ndrina con base a Reggio Emilia una lunga vita agiata.
Professionisti di ogni categoria, in particolare notai che hanno visto, firmato e sentito parecchie cose; avvocati e commercialisti, che hanno avuto a che fare con Giglio per questioni d'affari; direttori di banca in contatto con l'imprenditore mafioso; altri imprenditori come lui, che dalle aziende della cosca hanno ottenuto vantaggi o si sono prestati a giochini finanziari per riciclare denaro anche all'estero.
E poi, c'è la grande torta dell'urbanistica. La mangiatoia per eccellenza del gruppo Grande Aracri. Giglio che fa l'imprenditore da una vita, ha numerose società, ha costruito palazzine a non finire, potrà finalmente spiegare come è stato possibile che interi quartieri siano stati tirati su da aziende del clan. E su questo terreno, assai scivoloso, che potrebbero aprirsi scenari di indagine vastissimi.
D'altronde è stato detto e ripetuto tante volte: per costruire palazzi, ville, magazzini, capannoni, centri commerciali, centri residenziali, sono necessarie autorizzazioni. Chi le ha concesse? Sono state fatte scrupolose verifiche antimafia? Dai successi imprenditoriali degli uomini di Nicolino Grande Aracri si direbbe che qualcuno non ha vigilato come avrebbe dovuto, o semplicemente è stato molto superficiale infischiandosene della mafiosità dei soggetti che chiedevano da edificare zone verdi.
Il primo pentito della 'ndrangheta potrebbe quindi svelare i meccanismi di intrusione nella burocrazia e nell'economia legale. Avrà molto da dire, per esempio, sulla ricostruzione post terremoto. Giglio, infatti, è stato uno dei protagonisti più attivi nella spartizione dei sub appalti per i lavori del dopo sisma. Era lui che teneva i contatti con la storica azienda modenese Bianchini, inseritissima negli appalti pubblici banditi dai Comuni emiliani e che ha ricevuto la solidarietà, dopo gli arresti, da pezzi della politica locale.
Il collaboratore è, inoltre, profondo conoscitore dei rapporti tra clan di diversa matrice, conosce i segreti finanziari della “famiglia” e, non a caso, è considerato dai suoi ex sodali, la “Cassaforte”. L'esperienza diretta di Giglio, insomma, basterebbe a riempire migliaia di pagine e a far aprire nuovi filoni di indagine. Ma Giglio è una cassaforte di segreti molto più importanti. Perché si riuniva e frequentava gli altri capi zona. I boss, per esempio, custodi delle relazioni politiche.
La zona grigia è stata, d'altronde, la piazza più frequentata da questo primo collaboratore della 'ndrangheta emiliana. E in molti, tra le province tagliate a metà dalla via Emilia, hanno iniziato a tremare. La notizia del pentimento ha rotto gli equilibri mentre è in corso nel capoluogo emiliano il processo abbreviato per 70 imputati, tra cui due politici di peso della regione. È certo che le sue dichiarazioni non entreranno in questo primo processo, ma è probabile, invece, che sarà il protagonista, e grande accusatore, nel dibattimento contro i 147 che inizierà il 23 marzo in un'aula speciale del tribunale di Reggio Emilia.
Questa collaborazione ha già creato i primi malumori, le prime tensioni. La figlia del boss pentito, scovata dalla Gazzetta di Reggio nella villa di famiglia, ha fatto capire che il papà sarà solo in questo percorso. «Lasciate in pace chi non aderisce a quella scelta», ha dichiarato laconica. Del resto, da queste parti, la 'ndrangheta non ha esportato solo un modello spregiudicato di fare impresa, copiato da molto autoctoni, ma ha diffuso un certo di tipo di cultura mafiosa. Per questo nella relazione della procura nazionale antimafia del 2014 il sostituto Roberto Pennisi ha parlato di “Conquista delle menti” oltre che di territori. Anche qui, insomma, i pentiti sono infami. Gente pericolosa, da tenere a debita distanza.
Crimine12.01.2012
Emilia, le mani della mafia