L'intervista all'erede del Capo dei Capi non è soltanto un incidente di percorso. È un macigno sulla strada della costruzione di una nuova Rai. Qualcosa che non può convivere con lo spirito di una nazione che cerca nella sua tv rispetto verso le sue pagine più tragiche

Riina Jr. ospite di Bruno Vespa: indignazione, vergogna, ma soprattutto incompatibilità

A questo punto la parola a cui appigliarsi con tutto il disagio e l'indignazione del caso non è imbarazzo, sconforto, raccapriccio o nausea, ma più semplicemente e univocamente "incompatibilità". Sostantivo in apparenza più algido e inefficace, rispetto alle turbolenze emotive indotte ieri sera dall'intervista fatta a "Porta a Porta" da Bruno Vespa al figlio di Totò Riina, ma a ben guardare potente e risolutivo.
 
Ciò che è accaduto verso la mezzanotte negli studi della Rai - lo ricordo ai più distratti: la televisione pubblica italiana, quella che parla e straparla di canoni, bollette eccetera - è incompatibile con un presente e futuro catodico fatto di decenza e rispetto: non soltanto verso i morti di mafia e i loro congiunti, ma anche per tutti noi che abbiamo visto e ascoltato il giovane di casa Riina mentre elargiva affettuosità famigliari grazie alla vetrina offerta da Vespa.
 
«Amo mio padre e non sono io che devo giudicarlo», spiegava Salvatore Riina Junior in surplace sui cadaveri che hanno scandito la storia d'Italia, «Per mia madre erano giusti i valori di mio padre», ci teneva a far sapere, «Non ho avuto il sospetto che fosse stato mio padre (a volere la strage di Capaci)», ha aggiunto con l'ingenuità dei candidi;
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e ancora, quando il discorso è andato sul sangue dei giudici Falcone e Borsellino e degli uomini di scorta, ha preferito non sbilanciarsi troppo (perché «qualunque cosa dicessi sarebbe strumentalizzata», anche se lui insomma ha «rispetto per tutti i morti»), ritrovando però la brillantezza migliore in una delle frasi finali: «I rimproveri non toccano a me... Come dice il quarto comandamento, onora sempre il padre e la madre».
 
Di peggio, nella storia Rai, è accaduto poco. E non si azzardi, qualche sodale del cinismo catodico, a sostenere che il conduttore di "Porta a Porta" ha il diritto pieno e assoluto di intervistare chi vuole e quando vuole.
 
La libertà d'intervista - sacrosanta, sia chiarissimo - ieri sera sbatteva con tre ingredienti conclamati: il fatto che per lunghi e lunghi minuti Salvatore Riina Junior abbia avuto l'agio di interpretare la tesi della doppia morale (in cui il turbinio di omicidi ordinati da Riina finiva in secondo piano rispetto alle dolcezze domestiche), il fatto che così parlando abbia promosso il suo libro, e il fatto inoltre che in questa cornice scabrosa Salvatore il Sensibile abbia più volte ribadito di dissentire dalle sentenze della giustizia italiana.
Ribadisco: incompatibilità, è l'unica parola da rivolgere al cielo e ai vertici di viale Mazzini. Con un'amarezza degna delle più meste occasioni. E con la determinazione, in queste righe, di non spendere dettagli sul desolante dibattito seguito in studio.
 
Basti dire che l'avvocato dei mafiosi Luigi Li Gotti, in scioltezza, ha dichiarato che «L'antimafia è fallita». Detta da lui, una frase che impone angoscia.
 

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