Vatileaks, chieste le condanne per quattro imputati e l'assoluzione per Fittipaldi

L'inviato de l'Espresso: «Fare il giornalista non può essere reato, ora Papa Francesco cambi la legge liberticida». Per il giornalista, autore di 'Via Crucis', gli inquirenti invece hanno chiesto un anno di carcere. Più di tre anni per Chaoqui e Balda

L'inviato de l'Espresso e autore del libro inchiesta “Avarizia” va assolto. Non ci sono prove della sua colpevolezza. Al contrario, il giornalista Gianluigi Nuzzi di Via Crucis va condannato a un anno. È stato il giorno della requisitoria del processo Vatileaks.

La parola, dunque, ai promotori di giustizia della Santa Sede. Che hanno chiesto la condanna di monsignor Lucio Angel Vallejo Balda a 3 anni e un mese, di Francesca Immacolata Chaouqui a 3 anni e 9 mesi, entrambi ex componenti della Commissione Cosea sulle finanze vaticane, e del loro ex collaboratore Nicola Maio a un anno e un mese. Per tutti e tre l'accusa è associazione per delinquere e diffusione di documenti riservati. Mentre Nuzzi e Fittipaldi rispondo solo di concorso nella fuga di carte top secret del Vaticano.

Sono le battute finali del processo. Mercoledì dovrebbe concludersi con la decisione dei giudici. Che nell'aula, inaccessibile, del Tribunale vaticano emeteranno il loro verdetto. Martedì invece toccherà agli avvocati degli imputati.

«Su di me non c'è stata mai nessuna prova come ho sempre sostenuto» commenta Fittipaldi, che aggiunge: «Spero che dopo questo processo, vada come vada, il Vaticano cambi le regole liberticicde sulla libettà di stampa. L'accusa che veniva fatta era semplicemente quella di aver diffuso delle notizie. Se Santa romana chiesa vuole davvero trasparenza e diventare una casa di vetro non deve avere paura del buon giornalismo. E Papa Francesco dovrebbe cancellare la legge che lui stesso ha voluto nel 2013. Il promotore di giustizia ha chiesto per me l'assoluzione motivandola con la mancanza di prove. Ho fatto solo il mio mestiere, rispettando il codice deontologico. Il mio avvocato chiederà l'assoluzione perché fare il giornalista non è reato».

«Sto andando in Vaticano per le requisitorie. Diranno di me tutto il male, diranno che ho tradito il Papa. E avrei dato la vita per lui. Diranno parole di odio, chiederanno che sia condannata senza prove per un reato che non ho mai commesso». Si sfogava così Francesca Immacolata Chaoqui su facebook, prima dell'udienza, concludendo: «Ascolterò in silenzio, con Pietro Elijah Antonio Tra le braccia. Lo porto con me perchè questo processo è stato anche il suo calvario. Viene perchè un giorno lotti anche lui per quella chiesa che giudica sua madre e che segnerà il suo destino con la mia condanna. Vorrei potervi dire che non ho paura...Ma non è vero. Ho paura come mai prima. Paura perchè non è stata una battaglia ad armi pari. Domani parla il mio avvocato, unica e ultima speranza se non giustizia di verità. Che almeno resto. Per Pietro e per suo padre prima che per me. Vado, se potete pregate per noi».

Chaoqui ha portato in aula anche il bambino, Pietro Elijah Antonio, nato poche settimane fa. Dopo la richiesta un altro sfogo: «È surreale. Che altro posso dire? Domani ci sarà la nostra arringa e vedremo».

Domani, dunque, il giorno delle difese. Che cercheranno di smontare l'ipotesi degli inquirenti del Papa.

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