Domenica a Roma la seconda maratonina in memoria di Valentina Col, la pallavolista che fu ricoverata tre anni fa nell'ospedale di Orbetello e che morì dopo quattro giorni per un'embolia polmonare. Per i medici e gli infermieri indagati, intanto, è stata richiesta per la seconda volta l'archiviazione

«Scemetta piena di pregiudizi. In 20 ospedali diversi, Valentina muore sempre. È morta. Punto. Amen». L'aspetto più odioso nella battaglia portata avanti dalla famiglia Col sta in queste parole. Un tweet dell'anestesista Giovanni Pasetti dell'ospedale di Orbetello, rivolto alla sorella di Valentina Col, la diciassettenne romana morta il 25 agosto del 2013 nel pronto soccorso della cittadina toscana per un'embolia polmonare.

O, forse, fa più male la seconda richiesta di archiviazione avanzata lo scorso aprile dal sostituto procuratore Maria Navarro nel processo che vede indagate 11 persone, tra medici e infermieri, per omicidio colposo. «Non arriveremo mai a capo di questa vicenda», aveva detto il padre di Valentina, Massimiliano Col, al termine dell'udienza nel tribunale di Grosseto che ha chiuso l'incidente probatorio a gennaio. «Non è stato considerato il lavoro della nostra consulente. Serviva una Tac a contrasto che nei quattro giorni di ricovero non è mai stata effettuata». Domenica 25 settembre si terrà la seconda edizione della maratonina “Corro per Vale”, che si snoderà nel quartiere Montesacro a Roma. Una mattinata di sport, lontano dalle aule di tribunale, per ricordare Valentina, giocatrice di pallavolo.

Era sotto rete anche il 14 agosto 2013, su una spiaggia di Camerota, in Campania. È in vacanza con il fidanzato quando cade, sbattendo la schiena, durante un partita di beach volley. Il giorno successivo ha la febbre e il respiro affannato. Si fa visitare da un medico del posto e da un radiologo, che la tranquillizzano. Ma Valentina continua a stare male e il 21 agosto, dopo aver raggiunto i genitori in Toscana, arriva all'ospedale di Orbetello. Sette ore di attesa, poi una Tac che evidenzia un versamento pleurico. Viene disposto il ricovero. Dopo quattro giorni un medico comunica alla famiglia che c'è un sospetto di embolia polmonare e che è necessaria una Tac, questa volta con mezzo di contrasto. In attesa dell'esame, la situazione precipita e la ragazza viene trasportata d'urgenza in pronto soccorso. Valentina muore dopo un'ora di tentativi di rianimazione.

A quattro mesi di distanza arriva la relazione degli ispettori del Ministero della Salute: il caso rientra «nell'ambito delle cosiddette “morti evitabili” e quindi prevenibili». «Appare incomprensibile la sottovalutazione del dato relativo alla persistente tachicardia – scrivono gli ispettori –, soprattutto trattandosi di donna giovane, che svolgeva attività sportiva, con temperatura corporea di 37,5º. Si tratta di elementi semeiologici che avrebbero dovuto indurre ad allargare il ragionamento clinico».

Tuttavia, nel maggio del 2014, il pm Laura D'Amelio chiede l'archiviazione sulla base della consulenza medico-legale del professor Vittorio Fineschi. La perizia si concentra sull'uso della pillola anticoncezionale, che avrebbe «determinato la condizione predisponente l’innesco del processo di trombogenesi», e sul comportamento dei sanitari, che «agirono in ossequio a quanto raccomandato dalla letteratura scientifica internazionale più autorevole del settore e recepita in maniera condivisa su tutto il territorio nazionale». La famiglia si oppone, il fascicolo passa al sostituto procuratore Maria Navarro. Ma l'esito non cambia e sul tavolo del gip Valeria Montesarchio arriva la nuova richiesta di archiviazione.