Da Eluana Englaro al dj Fago, dal caso di Piergiorgio Welby a quello di Walter Piludu, dal processo all’anestesista per “omicidio del consenziente” al giudice che ordina alla Asl di staccare le macchine e sedare il paziente: in oltre due lustri di battaglie sul fine vita Marco Cappato, dell’associazione Luca Coscioni, ha visto di tutto ed è sempre stato in prima linea sul diritto al fine vita.
Cappato, cosa è cambiato in questi dieci anni?
«La consapevolezza dell’opinione pubblica, anzitutto. Il tema riguarda una realtà sociale sempre più imponente, il consenso è ormai largamente maggioritario. Sta cambiando anche il modo di morire: è sempre più un processo, che può durare anche anni. È chiaro dunque che c’è l’esigenza per le persone di decidere, e per lo Stato di regolare quell’esercizio di libertà».
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Ma il Parlamento fin qui una legge non è riuscito a farla. Si procede per vie di fatto, a colpi di sentenze.
«Ma è proprio questo il senso di legiferare: smetterla con il fatto che solo chi conosce i posti giusti, chi paga gli avvocati, chi ha le condizioni di salute adeguate, possa far valere i propri diritti».
Eugenia Roccella, di Idea, dice che non è urgente fare una legge.
«L’urgenza è quella dei centri ospedalieri in cui medici e pazienti sono meno informati, hanno meno strumenti. Sta nel tempo di ciascun malato, che una prossima legislatura non può aspettarla».
Come giudica la proposta Lenzi che a febbraio arriverà in Aula?
«L’impianto è buono, ma il mio timore è che ci si accontenti di approvarlo in un solo ramo del Parlamento, per poi dire che si è fatto il possibile, e fermarsi di nuovo».