Da quando è entrato con prepotenza nell'arena giuridica è diventato un ostaggio nei rapporti sempre più incerti tra il cittadino e le istituzioni. Per questo è tanto complesso decidere su organi, fecondazione o fine vita
Il contratto sociale muta pelle. Ben poco rimane di quanto avevano immaginato Hobbes e Rousseau, all’origine della modernità, definendo i rapporti tra cittadini e Stato. Ma si è largamente trasformata anche la contrattazione tra individui, regolata dal diritto privato.
A movimentare la tradizionale separazione tra pubblico e privato - originata dalla distinzione romana tra persone e cose - è stato
l’ingresso dirompente del corpo umano nell’arena giuridica. Né persona né cosa, esso ha sconvolto le vecchie certezze dei giuristi. Una volta diventato protagonista di opzioni, drammi, conflitti che ci coinvolgono assai più dei giochi di potere tra i partiti o quanto ne rimane, un intero ordine del sapere e del potere sembra vacillare alla ricerca di nuove norme. Che a loro volta non assomigliano più alle leggi dello Stato, ormai incapaci di afferrare nel loro linguaggio usurato la trasformazione che abbiamo di fronte. Attori nuovi - strutture sanitarie e industrie farmaceutiche, istituzioni sociali e comitati etici, famiglie e associazioni umanitarie - irrompono in uno spazio un tempo occupato dal rapporto a due tra Stato e individui.
Si aprono così nuovi tavoli di negoziazione in una zona franca, in un terreno di nessuno in cui è sempre più difficili orientarsi.
Nulla è più certo. Chi regola gli accessi alle nuove tecniche di procreazione e chi decide sulle interruzioni di gravidanza? La legge dello Stato, le strutture ospedaliere, la coscienza dei singoli medici? E qual è la controparte per le unioni civili tra persone dello stesso sesso? Chi controlla - vieta o consente - l’uso di alcool e tabacco? O determina le differenze penali tra diversi tipi di droga? E quali organi di sorveglianza decidono l’immissione sul mercato di nuovi medicinali, stabilendo i tempi di sperimentazione? Ma, prima ancora, la questione decisiva riguarda
la stessa definizione della vita e della morte.
Quando, ci si chiede, un embrione, o un feto, diventa una persona o, all’altro capo dell’esistenza, su quale organo si misura la morte biologica - sul polmone, sul cuore o sul cervello? Tutto sta diventando altamente problematico, come dimostrano i casi di controversia giuridica sulla responsabilità per la nascita non diagnosticata di un bambino disabile. O sull’appartenenza di un organo corporeo estratto in un’operazione chirurgica. Si tratta di un oggetto di cui l’ospedale può disporre a piacimento o della parte organica di una persona, ancora nella disponibilità di questa?
È noto il caso americano in cui un individuo operato, la cui milza è stata venduta dall’ospedale a una ditta farmaceutica per la fabbricazione di un certo farmaco, è ricorso in tribunale, ottenendo un risarcimento in denaro. Egli si appellava alla
non commerciabilità degli organi del corpo umano, irriducibile alla cosa. Ma la cifra assegnatagli dal tribunale non confermava, in altro modo, la riduzione del corpo umano a cosa vendibile, comprabile e risarcibile? Se il corpo dell’uomo, preso per intero e da vivo, è considerato intangibile come la persona che lo abita, questa protezione viene a cadere per i suoi singoli pezzi.
Chi protegge sangue, cuore, fegato, una volta estratti? Sono cose di nessuno come unghie e capelli tagliati? O elementi vitali pregni di significato simbolico? Per non parlare del cadavere, sempre in bilico tra persona e cosa, come dimostra l’incertezza giuridica, quando esso è prelevato da ignoti, sul fatto se iscrivere il reato nella fattispecie del furto, come se fosse una cosa, o del rapimento, come se fosse una persona.
Ciò vale anche per
l’appropriazione illegittima di embrioni o di ovuli, destinati all’impianto o alla ricerca medica. A chi appartengono, esattamente? Se non è chiara la legge che regola le adozioni - chi può farle e chi può subirle - figuriamoci quando si tratta di vite appena concepite o prima ancora di esserlo. Il problema resta quello del rapporto, o del conflitto, tra poteri pubblici e privati. I primi rivendicano il diritto di intervenire preventivamente sulle scelte dei secondi. I secondi si sottraggono alle disposizioni dei primi, aprendo contrattazioni privatistiche o addirittura agendo fuori dalla tutela giuridica. Usando forza e ricchezza, comprando o cedendo vite al miglior offerente.
Da dove nasce questa
generale incertezza su diritti e doveri? Questa sovrapposizione di competenze che travolge codificazioni invecchiate di colpo di fronte a situazioni che eccedono da ogni parte il classico linguaggio giuridico? Alla sua base vi è da un lato il rilievo che ha assunto il corpo umano all’interno della società, e dunque anche della politica, contemporanea. Dall’altro il mutamento della sua rappresentazione. Se fino a un certo momento il corpo era situato in un ordine naturale, prepolitico, di competenza delle scienze della vita, esso è diventato poco a poco, ma sempre più rapidamente, un vero costrutto sociale. Da qui il continuo accavallamento tra corpo individuale, corpo sociale e corpo politico.
È vero che il corpo biologico è pur sempre una realtà materiale iscritta nell’ordine della natura. Ma esso è anche una costruzione in cui fattori sociali, culturali, simbolici giocano un ruolo decisivo. Sia in ordine alla sessualità, che diventa sempre meno un dato naturale immodificabile e sempre più un’opzione individuale. Sia in ordine alla salute - che comprende la sfera, sempre più frequentata, del miglioramento estetico. Ma se il corpo diventa plasmabile, trasformabile, reversibile; se la scelta della vita e anche della morte sfugge alla tenaglia della natura, per entrare nel campo mobile della politica e della tecnica, chi ne è in ultima istanza padrone? E chi decide dei limiti di tale padronanza? È assoluta o limitata, piena o parziale, libera o regolamentata da norme giuridiche, sociali, morali?
A contendersi il campo sono
da un lato istituzioni pubbliche e religiose, dall’altro i legittimi interessi individuali. In mezzo gli ordini professionali - medici, magistrati, assistenti sociali. In una stagione in cui la nozione rigida di legge cede sempre più a quella, elastica, di norma, i dispositivi di controllo aumentano in raggio d’azione, ma perdono in profondità ed efficacia. Non solo perché ai divieti che regolano le nostre condotte si trova sempre il modo di sfuggire - si pensi alla distribuzione delle droghe e alla diffusione della prostituzione. Ma perché i comportamenti cosiddetti devianti divengono oggetto di scambio politico, come sta avvenendo nella sfera dei diritti civili, elargiti, secondo le convenienze del momento, con limiti e restrizioni. Stiamo assistendo al passaggio dal regime sovrano al governo dei viventi.
Le tecniche governamentali moltiplicano i loro dispositivi di controllo e di stimolo ben oltre i confini del vecchio Leviatano. Ma, come è stato autorevolmente detto, ogni crescita del potere produce resistenza. Prima che questa, generi, a sua volta, nuovo potere.