Se non fosse stato per il maschilismo cosmico del Presidente, le americane non sarebbero mai state costrette a prendere le misure della propria situazione reale
S i diverte ad afferrare le donne per i genitali. Offende il loro aspetto. Ne ridicolizza talento e intelligenza. E lo fa in modo seriale. Con un riflesso incondizionato. Poi, consciamente, manovra nel Congresso per impedire loro di abortire e sogna di riportarle tra il forno e la camera da letto. Donald Trump, il presidente americano, è diventato sinonimo di maschilismo cosmico: per molti è l’esatto opposto dell’americano vero, un insulto a anni di conquiste civili.
Eppure incarna perfettamente quel maschilismo del pioniere coraggioso, bianco e cristiano che l’intellighenzia democratica americana, nonostante mezzo secolo di battaglie, non è riuscita a estirpare e che ha ora ritrovato legittimità. Tanto più forte è l’uomo al potere tanto più bella e passiva deve essere la donna che gli sta accanto. Se brilla è di luce riflessa. Come la moglie Melania, da povera ragazza dell’Europa dell’Est a First Lady d’America. Ma anche come la figlia Ivanka, priva di meriti se non quelli di sangue, sistemata al “tavolo dei potenti”, come è accaduto nel recente G20, quando la conversazione verteva su questioni ritenute minori o fastidiose. Non è un caso che l’anno scorso, quando il settimanale “Time” lo aveva nominato “persona dell’anno” lui si fosse lamentato e avesse ribadito che tante donne avrebbero preferito la dicitura di “uomo dell’anno”. Il leader, nella sua definizione, è naturalmente uomo. [[ge:rep-locali:espresso:285284493]] Oggi che, grazie a Trump, gli Usa non sono più costretti a essere il faro del mondo e a impartire lezioni di civiltà ai selvaggi d’Asia e ai vecchi d’Europa, possono tornare a mettersi le dita nel naso: nepotismo, razzismo e maschilismo sono tutte sfaccettature dell’altra America, quella che, eletto Barack Obama, sembrava sconfitta. E che invece, colpevole la superba miopia liberale, non ha mai smesso di fare capolino. Secondo un sondaggio condotto tre anni fa su oltre duemila adulti americani tra i 18 e i 34 anni - la generazione dei millennials, nella nostra testa associata al progresso, all’istruzione, al futuro - solo un terzo non si sente messo a disagio dall’idea di avere una donna come presidente, solo il 34 per cento non ha problemi con le donne nel ruolo di ingegneri e solo il 35 per cento accetta una donna a capo di un’azienda Fortune 500. Aveva ragione Hillary a dire che il maschilismo c’entrava e come con la sua mancata elezione. [[ge:rep-locali:espresso:285284493]] Eppure non fosse stato per il maschilismo cosmico di Trump le americane non sarebbero mai state costrette a prendere le misure della propria situazione reale. Avrebbero continuato a commiserare le casalinghe siciliane e a commuoversi per quelle afghane. A ignorare di essere l’unico Paese dell’Ocse in cui le donne non hanno diritto alla maternità ma sono costrette a lasciare il lavoro per fare figli. La nazione in cui il diritto all’aborto, dopo 45 anni, è ancora pericolosamente precario ma in cui fino a pochi anni fa le cure mediche relative alla maternità erano escluse dall’assicurazione sanitaria (e potrebbero tornare ad esserlo dovesse passare la riforma voluta da Trump). Avrebbero continuato a sottovalutare la differenza tra il loro salario e quello degli uomini a parità di mansione: intorno al 20 per cento, superiore alla media europea.
Non fosse stato per “il Maschilista in capo” non si sarebbero nemmeno rese conto che uno dei motivi per cui il 53 per cento delle donne bianche ha votato per Trump (difensore dichiarato dei “veri” americani) e non per Hillary è quella storica frattura tra donne bianche e donne di colore che le rende cittadine di due schieramenti opposti. Dunque in guerra, divise e deboli. E allora ben venga lo schiaffo di Trump. «Ha fatto rinascere l’intero movimento femminista», spiega Stephanie Schriock, presidente dell’Associazione di Emily, il cui obiettivo è far entrare le donne in politica: «È un momento straordinario». Tra l’elezione di Trump e oggi 15mila donne si sono iscritte ai loro seminari: 16 volte in più che nei due anni precedenti. Il gruppo pro-abortista “Pro-choice America” ha registrato un’impennata dei membri del 40 per cento e delle donazioni del 500 per cento. Discorso simile vale per “Planned Parenthood”, organizzazione bersaglio dei repubblicani, che ha visto quintuplicarsi le donazioni. Dalla famosa marcia del 21 gennaio le donne, di destra e di sinistra, hanno preso a organizzarsi a centinaia di migliaia in gruppi e comitati nuovi. Si sono rese conto che è ora di non dare più nulla per scontato. Come ha detto Hillary a Christiane Amanpour in una recente intervista: «È questo il momento di finire il lavoro che abbiamo cominciato».