L'attore aveva 84 anni. Ad annunciare la sua scomparsa è stata la figlia Elisabetta con un post su Facebook: su una foto del padre giovanissimo ha scritto: "Ciao papà ora sei di nuovo libero di volare".
Attore comico ma non solo, scrittore, sceneggiatore e doppiatore dagli anni Cinquanta in poi Paolo Villaggio seppe portare in televisione, in radio e al cinema una serie di personaggi legati tutti da una malinconica, grottesca capacità di suscitare la risata.
Dal professor Kranz al timido Giandomenico Fracchia, fino alla sua creazione più nota, il ragionier Ugo Fantozzi. All'attività comica Paolo Villaggio affiancò quella di scrittore, iniziata proprio con un libro su Fantozzi, al quale seguiranno altri otto volumi sul ragioniere, e altri libri di carattere satirico.
Come attore ha recitato con i grandi registi del cinema italiano, da Federico Fellini a Marco Ferreri, da Lina Wertmüller a Ermanno Olmi e Mario Monicelli. Nel 1992, in occasione della 49ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia ha ricevuto il Leone d'oro alla carriera, nel 2000 al Festival del cinema di Locarno il Pardo d'onore alla carriera.
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Nato 1932 da padre siciliano e madre veneziana, ma ligure per modi e sensibilità, Paolo Villaggio chiude con la sua morte una pagina importante dello spettacolo italiano: attore, scrittore, autore e istrione tra radio e tv, ha saputo essere la cattiva coscienza dell'Italia degli anni 70 e, a suo modo, lo è rimasto anche negli anni della maturità e della vecchiaia. Il suo esordio nel mondo dello spettacolo coincide con il testo della ballata “Re Carlo tornava dalla guerra” scritta per l'amico Fabrizio De André.
All'inizio degli anni 60 va a lavorare in fabbrica per una grande azienda di impiantistica, ma nel frattempo si esibisce con la compagnia goliardica Baistrocchi, in esilaranti numeri da cabaret che gli serviranno da modello per le sue maschere diventate poi celebri: il travet timido, l'imbonitore aggressivo, l'eterno sconfitto. Da qui alla notorietà il salto e breve, grazie alle amicizie del “Derby” di Milano, sia per merito di Maurizio Costanzo che lo porta a Roma, lo fa debuttare a teatro, lo impone alla radio. Da lì Villaggio scala in fretta i gradini della celebrità con «Quelli della domenica» (dove debuttano il Professor Kranz e il nevrotico Fracchia), “Canzonissima” e “Gran Varietà” alla radio.
Tra i compagni di strada ci sono Enrico Vaime, Cochi e Renato, Gianni Agus, Ric e Gian. Nel '68 debutta al cinema con il misconosciuto “Eat it!”. Ma la consacrazione arriva nei Settanta: prima con l'invenzione letteraria del ragionier Ugo Fantozzi, grande successo in libreria, poi nel 1974 con la sua versione cinematografica per la regia di Luciano Salce e la produzione Rizzoli.
Saranno alla fine dieci i capitoli della saga che porteranno il Ragioniere fino in Paradiso e oltre. Nel frattempo Villaggio alterna incursioni d'autore (con Monicelli per “Brancaleone alla crociate”, con Gassman che ne fa la sua spalla preferita, con Pupi Avati all'esordio, e con Nanni Loy) e grandi successi di cassetta che si ripeteranno per tutto il decennio successivo, quasi sempre con la complicità di Salce, Sergio Corbucci, Neri Parenti.
Federico Fellini che gli dedicherà il suo ultimo film, “La voce della luna” in coppia con Benigni, Giorgio Strehler lo porterà a teatro con “L'avaro”, Ermanno Olmi (“La leggenda del bosco vecchio” da Buzzati), Lina Wertmuller (“Io speriamo che me la cavo”), il veterano Monicelli (“Cari fottutissimi amici”) e Gabriele Salvatores (“Denti”).
Dimenticato dal cinema, Villaggio si rifugia nella pubblicistica nel teatro e nella critica pubblica in cui mantiene sguardo acuto sulla società che cambia. Nella vita artistica arrivano gli onori: Gillo Pontecorvo gli conferisce nel 1992 un inatteso e rivoluzionario Leone d'oro alla carriera (il primo mai dato a un comico); due anni prima Fellini gli aveva fatto vincere il David di Donatello come miglior attore (ne avrebbe vinto un secondo alla carriera nel 2009); infine ecco il Pardo d'oro di Locarno nel 2000.
Del suo Fantozzi il critico Paolo Mereghetti ha scritto: "Fantozzi, come la maggioranza dell'umanità, non ha talento. E lo sa. Non si batte né per vincere né per perdere ma per sopravvivere. E questo gli permette di essere indistruttibile. La gente lo vede, ci si riconosce, ne ride, si sente meglio e continua a comportarsi come Fantozzi"
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