Un team di studiosi ha monitorato i cambiamenti sociali ed economici nelle terre colpite dal sisma di un anno fa. Soprattutto tra gli agricoltori e i pastori. I risultati sono sorprendenti e, a tratti, preoccupanti (A cura di Gruppo d’inchiesta “Emidio di Treviri”)

Il gruppo d’inchiesta “Emidio di Treviri” nasce 8 mesi fa per monitorare gli effetti del post-sisma delle regioni del centro Italia del 2016/2017. Decine di ricercatrici e di ricercatori, fotografi e operatori del settore audiovisivo, stanno lavorando ad una ricerca per delineare una lettura dei processi in atto. Tra i diversi ambiti di ricerca presi in esame, si intendo qui restituire alcuni nodi problematici connessi all’impatto del sisma sulle economie rurali.

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Il 24 agosto del 2016 un terremoto 6,0 ms colpisce l’alta Valle del Tronto. Un’alta percentuale di vittime sconvolge un’area estremamente circoscritta.

Nei mesi successivi la terra continua a tremare ampliano il cratere all’area maceratese dei Sibillini e il versante umbro fino a Norcia e decuplicando il numero di sfollati.

I Comuni colpiti, individuati con ordinanze progressive nei mesi successivi, sono 140 distribuiti su Marche Lazio, Umbria e Abruzzo e 10 province in cui vivono complessivamente quasi 3,2 milioni di residenti.
In quasi un anno sono 67 i terremoti con magnitudo almeno pari a 4,0 che hanno messo a nudo la fragilità della macchina emergenziale, le criticità di territori abbandonati dalla manutenzione ordinaria e straordinaria e le responsabilità politiche del post-disastro. 

Già dalle scosse di agosto, e con maggiore intensità a seguito delle nevicate di dicembre e gennaio, il mondo dell’agricoltura e dell’allevamento è stato fatto oggetto di narrative su larga scala che hanno rappresentato la lente retorica attraverso la quale l’Italia ha dato significato nazionale, etico quasi, al sisma. Mentre molti venivano convinti o forzati a lasciare i propri Comuni per trovare rifugio nei camping della costa, a livello mediatico agricoltori ed allevatori diventavano simultaneamente eroi di resistenza e vittime di una coincidenza tra disastro naturale e stato inadempiente. In alcuni casi, il trascorrere delle settimane ha portato ad indignazioni generali nei confronti dello stato e del suo apparato interventistico/burocratico, allo stesso tempo alimentando ancor più l’idea di un’imprenditoria privata della resistenza.

Alcune delle aziende agricole locali, in effetti, capitalizzando sulle nuove tecnologie e competenze nel campo dei social media, si sono inserite come agenti attivi di narrazione. Foto di carcasse all’addiaccio, di stalle sepolte dalla neve, di roulotte e camper dalle finestre gelate sono andate a costituire le immagini della sofferenza e dell’abbandono. In concomitanza con la creazione di piattaforme e-commerce volte alla promozione e vendita solidale dei prodotti gastronomici d’eccellenza del territorio, queste immagini hanno catapultato alcuni commercianti in un periodo di produzione iperbolica, forse sancendo in maniera definitiva uno iato socio-economico tra diverse realtà commerciali locali. Per chi è stato capace di muoversi velocemente all’interno della nuova economia dell’emergenza, il sisma ha rappresentato un’opportunità. Per chi è comprensibilmente rimasto inerme, esso ha attestato un fallimento irreversibile.

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Come spesso accade nei momenti di maggiore profondità emotiva, narrazioni superficiali si sono imposte come chiave interpretativa unica e generalizzante. Si è estrapolato. Si è appiattito. Si è decontestualizzato. Comprensibile in un momento di “emergenza narrativa”, il gioco non è stato purtroppo seguito da momenti più lucidi di riflessione. A quasi un anno dal primo sisma, rari rimangono i tentativi d’analisi delle dinamiche socioeconomiche che hanno investito le comunità agricole locali. Eppure si tratta di un gioco serio, con conseguenze reali, a lungo termine. Un gioco in cui le regole vertono sugli opachi confini tra governance statale e privatizzazione, burocrazia e deregulation, speculazione ed eroismo. E’ qui che il gruppo di ricerca Emidio di Treviri vuol dare il proprio contributo. Perché è qui che il sisma ha alzato la polvere dalle traballanti impalcature del passato, accecando tutti tranne coloro che erano preventivamente muniti di lenti protettive.

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Agricoltura ed allevamento sono le principali risorse economiche del territorio colpito dalle scosse del 24 agosto e dalle successive del 26 e 30 ottobre 2016. Circa 25mila aziende agricole sorgono sui 292 mila ettari di terreni ricadenti all’interno dei 131 comuni terremotati di Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo. Tra queste, la maggior parte si affida a seminativi, prati e pascoli per i propri profitti. Storicamente poche e mal funzionanti le cooperative, la quasi totalità delle aziende agricole sono a gestione familiare (96,5%), dedite spesso a piccoli allevamenti di capre e pecore e ad attività correlate come la gestione di agriturismi. Già prima del sisma, tuttavia, emergevano profonde differenze tra attività registrate, burocraticamente e legalmente ‘in regola’, giovani e dinamiche – spesso grazie all’inclusione post-scolastica di figli e nipoti – ed altre che invece sopravvivevano nel mondo dell’economia grigia, perlopiù gestite da anziani e votate all’auto-sussistenza o al mercato dello scambio e marginalizzate dai complessi processi di accesso a fondi europei, agevolazioni fiscali e filiere ad ampio raggio.

Complici politiche agrarie di lungo periodo volte alla professionalizzazione e regolamentazione delle aziende, in realtà, si stava già assistendo, in questi territori, a dinamiche di ristrutturazione economica. Sempre più erano gli ettari di terra a disposizione di poche aziende ben organizzate. Sempre più i fondi a disposizione di chi poteva valersi dei servizi di impavidi commercialisti, notai, agronomi privati. All’interno di una dinamica di trasformazione dell’agricoltura e della pastorizia in imprenditoria, voluta da governi sempre più sottostanti a direttive europee e propagandata dalle stesse associazioni di categoria, molti erano stati costretti a confrontarsi con i diktat del futuro: si cambi o si muoia. Nel mondo dei bandi e della produzione certificata, la crisi aveva colpito coloro che mancavano in capitali e conoscenze.
 
Molti dei territori del cratere erano infatti stati teatro, particolarmente nell’ultimo decennio, di fenomeni su larga scala riconducibili al cosiddetto land-grabbing (“accaparramento di terre”).

Nel reportage del 2011 di Stefano Liberti bene viene descritta la tendenza all’acquisizione di vaste estensioni fondiarie nei paesi cosiddetti in via di sviluppo da parte di gruppi stranieri che hanno interesse a produrre colture alimentari o carburanti alternativi per il mercato estero.

Nel caso delle zone terremotate del centro Italia, alla concentrazione fondiaria ampiamente promossa dalle misure comunitarie previste dalla Politica Agricola Comune i cui meccanismi rendono l’accesso ai fondi comunitari più facile per le aziende con grandi appezzamenti, favorendo pertanto la concentrazione fondiaria (Kay Jonathan; Franco, Jennifer, 2015), potrebbero sommarsi gli effetti di interventi regolamentari varati sotto la spinta dell’emergenzialità.

Già con la recente deregulation strutturale della PAC estesi appezzamenti terrieri, tanto di proprietà privata quanto appartenenti alle cosiddette comunanze comunali, erano così finiti, attraverso trasferimenti di quote e titoli agrari, nelle mani di pochi latifondisti. Anche in questo caso, erano stati gli allevatori e gli agricoltori minori a soffrire maggiormente della nuova configurazione di potere, costretti ancor più a rifugiarsi in una rischiosa - perché mal supportata - economia di piccola scala.

La terra potrebbe tremare ancora. E’ in questo quadro, infatti, che gli effetti di interventi regolamentari varati sotto la spinta dell’emergenzialità potrebbero avere come risultato concreto quello di stimolare ulteriormente la concentrazione fondiaria e il controllo del mercato da parte di aziende di dimensioni medio grandi. Questo costituisce un ambito meritevole di approfondimento, che potrebbe spiegare come la gestione emergenziale scaturente da eventi sismici possa correlarsi con altre narrative della sicurezza/emergenza fornendo un contesto di governamentalitá strumentale a nuovi cicli di accumulazione.

Il terremoto, in questo senso, non è da intendere esclusivamente come un accadimento puntuale, in grado di stravolgere l’assetto di una società, ma anche come il risultato più tangibile di quell’assetto stesso, responsabile di aver reso disastroso, per alcuni territori e categorie sociali, l’impatto di una forza naturale (Hewitt, 1983). Il fenomeno sismico, propagandosi attraverso le faglie di un territorio già caratterizzato da dinamiche di spopolamento, centralizzazione, speculazione agraria e trasformazione economica, sta partecipando all’aumento dei rischi di depressione delle aree rurali interessate, generando significativi effetti a livello economico oltre che socio-culturale.

Il crollo di stalle, fienili, strutture produttive e la strage di animali hanno, infatti, limitato l'attività produttiva nelle campagne mentre lo spettro dello spopolamento – evocato da associazioni di categoria e dal Commissario Straordinario Vasco Errani – rischia di compromettere in modo drastico il mercato interno che ha già subito un crollo del 90%.
Ad oggi si contano danni diretti ed indiretti per 2, 3 miliardi, ai quali vanno sommate le perdite per il crollo della produzione e gli effetti negativi sul commercio provocato dalla crisi del turismo e dall'esodo forzato delle popolazioni, trasferite sulla costa o allontanatesi con il contributo di autonoma sistemazione, ma anche a causa dei ritardi nella costruzione degli alloggi temporanei.

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L’emergenza non è ancora terminata e dalle testimonianze di agricoltori e allevatori risulta come gli interventi statali, appesantiti da una burocratizzazione delle procedure, non siano stati tempestivi ed efficaci per una ripresa economica delle attività produttive.

Ma se il terremoto colpisce centro e periferia, ricchi e poveri, braccianti e proprietari terrieri, i suoi effetti si propagano lungo faglie socio-economiche differenti, ampliando disuguaglianze pregresse e accelerando la creazione di nuove vulnerabilità.

L’imprenditoria privata insediatasi negli snodi dell’economia del post terremoto (rappresentata per lo più dalle grandi imprese agricole) e la gestione dell'economia solidale ad opera di associazioni di categoria, consorzi e grandi imprese, hanno alimentato una “economia della catastrofe” che, fungendo da meccanismo dopante sulle economie locali, esclude di fatto le aziende più piccole.

Ed è proprio nella relazione con i poteri politici ed economici, così come con le burocrazie, che il terremoto si configura come un’occasione di mobilità sociale ascendente e discendente e, dunque, di produzione di nuove aree e categorie marginali all’interno dei territori.  

I terremoti, storicamente, hanno spesso rappresentato occasioni per lo sviluppo o il consolidamento di certe progettualità a discapito di altre. All’interno della legislatura delineata a partire dai vari decreti legge pubblicati all’indomani del disastro, è possibile, quindi, tessere l’apparato ideologico alla base della progettualità di ricostruzione, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto socio-economico, per esplorare -e disarticolare- la relazione tra produzione del discorso e dello spazio dominante (Mezzadra, 2014) e indagarne i meccanismi con cui i rapporti di subalternità si calano sulla vita dei lavoratori rurali.

A questo proposito è utile analizzare, i requisiti e le modalità di funzionamento dell'ordinanza n. 5 del 28/11/2017 e dell’ordinanza n. 13 del 09/01/2017, che rilevano immediatamente alcune problematicità accennate.
L’ordinanza n. 5 ha posto in essere delle misure urgenti al fine di garantire la ripresa/continuità delle attività produttive. Nei Comuni del cratere è stata prevista l’installazione di stalle provvisorie, o la possibilità di procedere autonomamente al ripristino delle strutture esistenti con rimborso delle spese sostenute, allo scopo di rimediare ai danni causati dagli eventi sismici agli impianti produttivi. Tuttavia i concetti giuridici di impresa zootecnica e di imprenditore, richiamati dall’ordinanza, segnalano la prima criticità, in quanto escludono dall’ambito di applicazione gli allevatori di sussistenza, che, non avendo i requisiti “imprenditoriali”, non possono richiedere una stalla provvisoria, né il rimborso delle spese affrontate per gli interventi di messa in sicurezza delle loro strutture. L’ordinanza n. 13, che riguarda complessivamente la ricostruzione degli edifici ad uso produttivo e la compensazione dei danni a scorte e beni strumentali per le imprese, esclude anche in questo caso gli agricoltori ed allevatori di sussistenza perché non avendo partite iva non rientrano in questa casistica. Inoltre i requisiti richiesti per poter vedere accolta la domanda, tra perizie (asseverate e giurate) e complessità burocratica, rendono di fatto complicato accedere agli aiuti economici per quelle piccole aziende che non dispongono di una struttura amministrativa interna. Inoltre i termini per la presentazione della domanda sono scaduti, ancor prima che siano state consegnate tutte le stalle provvisorie richieste ai sensi dell’ordinanza precedente, cioè la n. 5. A questo proposito esiste anche la risposta ufficiale del Governo che sul suo sito conferma la discrasia e laconicamente scrive “il problema è noto alla struttura commissariale e in fase di approfondimento”.

A questo va aggiunto che anche le politiche predisposte nella fase emergenziale per la permanenza sui territori delle aziende agricole, come l’installazione di stalle, ma anche container per vivere, rifornimenti di mangimi e fieno, è stata frutto di una contrattazione aperta dalle associazioni di categoria che ha escluso i non iscritti.
L’analisi delle ordinanze in materia agricola e degli interventi emergenziali conferma quindi che le misure tese a ripristinare le attività agricole e d'allevamento nelle aree del cratere tengono poco conto del reale peso/radicamento dell'economia rurale nel territorio, allargando sempre più la forbice tra piccola e grande produzione. Divario che, se non verrà mitigato da un incisivo intervento a tutela della economia di sussistenza, rischierà di modificare radicalmente il tessuto socio-economico locale. Con il definitivo abbandono di intere zone montane da parte dei piccoli produttori, non solo si rischia la perdita irrimediabile di tradizioni culturali e rurali, ma si creano vuoti per l’inserimento di nuovi attori economici orientati ad un uso monopolistico-latifondista del territorio, configurando il disastro come un’occasione per il ciclo di accumulazione capitalistica e di sperimentazione di nuove forme di valorizzazione per il capitale (Centro Documentazione A.R.N. 1981).

Bibliografia
Centro Documentazione A.R.N. - Napoli. Napoli: terremoto, comando capitalistico e sovversione sociale. Opuscolo, Napoli: San Biagio dei Librai, 1981.
Klein, N. ( 2007) Shock Doctrine, Picador, New York.
Hewitt, K. (1983) Interpretation of Calamity from the perspective of human ecology. Allen and Unwin, Boston.
Mezzadra, S. (2014) "Leggere Gramsci oggi. Materialismo geografico e subalternità." In Briganti o emigranti. Sud e movimenti tra conricerca e studi subalterni Orizzonti Meridiani (a cura di), Ombre corte, Verona.