Nato in Spagna da due italiane omosessuali nel nostro Paese non viene registrato all'anagrafe: niente documenti, niente asilo, niente pediatra. L'assurda storia di diritti mancati

Gli tira giù la magliettina a righe, coprendogli l'ombelico. Un gesto semplice. Da madre. Gli prende la testa e lo guida verso il seno. Se questa fosse una favola, inizierebbe con un “C'era una volta un bambino che non esisteva”. Per poi continuare con un “viveva con le sue mamme”. Eppure Joan (nome di fantasia) esiste. Dall'alto dei suoi 45 centimetri, ben appoggiati al suolo, si impone cercando attenzioni con parole incomprensibili. Indica cose, ne scaraventa al suolo altre.

Joan, sette mesi, per l'Italia e per l'Europa, è un bambino fantasma. Venuto al mondo di fretta il 27 dicembre scorso, e relegato poi nel limbo dei “non riconosciuti”.
“Non sappiamo cosa accadrà domani”, dicono guardandolo. Hanno 36 anni. Una veterinaria, l'altra biologa marina. “Giravo il mondo e guidavo un importante progetto – confessa – poi è nato lui e ho deciso di abbandonare la professione e andare a vendere telefonini. L’ho fatto per scelta, per stargli accanto”. Si immaginavano una vita perfetta. Se non perfetta, almeno normale. Ed eccolo lì, invece, il lungo elenco dei diritti negati. Joan non ha un pediatra: il suo “non esistere” agli occhi dello stato, non gli dà diritto all’assistenza sanitaria. Non ha documenti e non è iscritto all'anagrafe. Non ha diritto a frequentare la scuola, né a viaggiare liberamente. E, nonostante abbia due genitori, per lo Stato è figlio di nessuno.

Una vicenda che doveva limitarsi alla burocrazia, ma che ben presto è diventata il pretesto per una battaglia ideologica: coppie omogenitoriali sì, coppie omogenitoriali no. “Nostro figlio ha un'unica colpa per l'Italia: essere nato da due mamme e non in una famiglia convenzionale”. Una battaglia combattuta a suon di scarica barile da un ufficio all'altro. Da una parte il sindaco di Perugia Andrea Romizi, eletto tra le fila di Forza Italia. Dall'altra due mamme che chiedono il riconoscimento “dell'esistenza di nostro figlio”.

Il cambio pannolini. L'odore di naftalina che sconvolge il naso. Un mucchio di fazzoletti abbandonati dentro un cestino. Una vita normale che si trascina tra una notte insonne, una favola letta a metà e un pianto insistente per quei due incisivi appena spuntati.

Per capire questa vicenda, bisogna ripercorrerla punto dopo punto. Foglio dopo foglio. Joan è nato a Barcellona da mamme italiane sposate in Spagna e iscritte all'Aire (Anagrafe italiani residenti all'estero) del capoluogo umbro. “Io ho donato l'ovulo” e “io ho portato in pancia per nove mesi il piccolo”. Lo dicono in coro. Lo dicono automaticamente. Ormai abituate a rispondere a questa domanda tecnica.

“Eravamo convinte che tutto sarebbe andato bene”. Nessuno, neanche l'avvocato assunto prima che il piccolo nascesse, poteva prevedere che il Comune rifiutasse di trascrivere un atto di nascita. “Di battaglie in tribunale ne sono state fatte in questi anni, ma speravamo che le ultime sentenze della Cassazione ci spianassero la strada spianata. O almeno la rendessero più semplice”. I giudici del Palazzaccio, in effetti, da qualche anno a questa parte, di fronte a casi simili, hanno sempre dato ragione alle coppie omogenitoriali, sancendo un principio semplice, quasi banale: “Trascrivere un atto di nascita, regolarmente formato all'estero, non va contro l'ordine pubblico”. E quindi contro quell'insieme di norme fondamentali dell'ordinamento giuridico riguardanti principi etici.
Il primo febbraio di quest’anno, il Consolato italiano a Barcellona trasmette l’atto di nascita del bambino al Comune di Perugia in conformità a quanto previsto dalle norme vigenti. Passano i mesi. Nessuno risponde. L’attesa viene rotta solo da una richiesta. “Manca un documento”. È questo quello che si sentono dire dall'Amministrazione comunale. Lo spediscono immediatamente. Poi ancora silenzio, fino a una nuova richiesta: il certificato di parto con il quale si specifica chi delle due abbia dato alla luce il piccolo. Anche quello viene inviato nel più breve tempo possibile, nonostante si tratti di un documento non indispensabile per la trascrizione dell'atto di nascita e il riconoscimento al diritto di esistere. 

È il 30 maggio, esattamente tre mesi dopo, quando l'ufficiale di Stato decide di seppellire sotto la parole fine ogni indugio e privare un bambino dei suoi diritti. Nessun piano B: “Non ci hanno dato alternative, ci hanno detto solo di procedere per le vie legali”. Joan diventa ufficiosamente apolide, visto che per l’Italia non è mai nato. “Spiegare perché nostro figlio non esiste per nessuno, pur esistendo in tutto e per tutto, è difficile”. “No, è impossibile”, fa di rimando l'altra. Dalla semplice iscrizione all'asilo fino all'apertura di un libretto bancario per mettere da parte i soldi delle nonne. A Joan tutto questo è proibito. All’asilo il bambino va solo perché il preside si è fatto carico della responsabilità di inventare il codice del documento negato: “Questa è l’umanità delle persone con cui abbiamo a che fare in Spagna e che non ritroviamo qui in Italia”.

Il Sindaco pare non abbia alcuna intenzione di riaprire la questione. E non importa se alcuni esponenti politici abbiano trascinato la vicenda in consiglio comunale, perché per Andrea Romizi, nonostante sia avvocato, “la Cassazione non è legge”. Venendo così meno al principio della funzione nomofilattica degli ermellini tanto cara ai docenti universitari che la insegnano nelle aule di giurisprudenza. “Neppure ci ha provato, Romizi, a darci una spiegazione tecnica: si è trincerato dietro le scelte del suo staff, affibbiando loro la responsabilità dell’atto”. E non importa neanche che l'avvocatura di stato del Comune abbia spedito una mail direttamente al primo cittadino con la quale consigliava di fare “un passo indietro” e di procedere alla trascrizione dell'atto di nascita di Jeon, perché la posizione presa davanti a un giudice sarebbe “indifendibile”.

Il 29 giugno, trentaquattro senatori, da Sergio Lo Giudice a Monica Cirinnà, solo per citarne alcuni, hanno chiesto con un'interrogazione parlamentare al ministro dell'Interno Marco Minniti di dare indicazioni ai Comuni sugli orientamenti della giurisprudenza, richiamando le ormai numerosissime sentenze della Cassazione, perché casi del genere in Italia non si ripetano. E perché per alcuni sindaci l'orientamento del Palazzo di Giustizia pare non essere ancora chiaro.

Joan, il bambino che non esiste, è diventato uno dei simbolo di una lotta che tante famiglie omogenitoriali portano avanti da tempo: il diritto al riconoscimento dei loro figli. Il diritto ad una legge che protegga l’essere venuti al mondo.

Ad oggi, in Italia, a parte la circolare richiesta al ministro Minniti, ancora non emessa, non vi è una legge che regoli la filiazione per i bambini nati da coppie dello stesso sesso. Ciò che viene previsto è al massimo un'adozione da parte del partner, la cosiddetta stepchild adoption. Una battaglia durata mesi in parlamento ma che si è risolta in un nulla di fatto.

I bimbi nati da coppie omogenitoriali non possono contare su una adozione piena, avendo un legame diretto solo con il genitore. L'altra via è quella percorsa dalle mamme di Joan: la richiesta di trascrizione dell'atto di nascita correttamente redatto all'estero. Ma è possibile incorrere in casi paradossali, nonostante la Cassazione parli chiaro.

Le mamme di Joan hanno deciso di mantenere l'anonimato e di farsi promotrici di una battaglia, non mettendoci la faccia, ma tutto il loro dramma vissuto in prima linea e con una feroce battaglia legale che è solo agli inizi. Il principio è sempre lo stesso: proteggere il piccolo. “Non ci fidiamo più dell'Italia - dice una delle due mamme - Non vogliamo che tra venti anni nostro figlio paghi le conseguenze di una scelta che è solo politica, mentre il resto d'Europa guarda altrove, a quei diritti che l’Italia non difende”. Guarda la moglie. Si abbracciano. “Joan è un bambino e come tutti i bambini non ha orientamento politico. Punirlo per una scelta non sua è semplicemente ignobile”.

Joan approda sul divano con la tirannide di chi non promette indulgenza. Si lamenta sovrastando tutto e tutti. La quiete arriva poco dopo. Ad addolcire la sua prepotente vivacità è un bruco dai mille colori.