
Prove di forza, in vista della campagna elettorale. Non quella per il Parlamento, su cui sono concentrati tutti i partiti. No, l’altra, sconosciuta e altrettanto combattuta. Quella che eleggerà tra un anno il nuovo Consiglio superiore della magistratura, l’organo di auto-governo dei giudici che decide su nomine, promozioni, trasferimenti, punizioni: il cuore del potere giudiziario. Non è usuale che nello stesso anno votino gli italiani per deputati e senatori e i magistrati per eleggere il Csm, è successo in casi rari nella storia repubblicana. E mai come questa volta il doppio voto avviene in un clima di incertezza assoluta, nel mondo politico alle prese con l’ennesima proposta di riforma elettorale e nel mondo giudiziario, dove equilibri antichi sono rimessi in discussione. E due procure importanti come Roma e Napoli sono divise sulla più delicata delle inchieste, quella sulla Consip che ha sfiorato la famiglia e il governo di Matteo Renzi, con i giudici di Roma che hanno aperto un’indagine sul collega John Henry Woodcock e i vertici napoletani che gli hanno confermato la fiducia e il procuratore capo di Modena Lucia Musti che in un primo momento sembra inguaiare con le sue dichiarazioni al Csm i carabinieri, a loro volta indagati, salvo poi smentire. Un pasticcio.
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Dice un importante magistrato: «Quando questo Csm fu eletto, nel 2014, ci fu un iniziale sconcerto per la scelta di Giovanni Legnini, che non aveva alcuna esperienza di giustizia. In molti prevedevano una leadership debolissima, in mano ai membri togati. Invece Legnini si è rivelato abilissimo, ha fatto politica ed è riuscito a compattare i sette membri laici del Csm, quelli eletti dal Parlamento, dalla politica, oltre le differenze di partito, e li ha portati a diventare il centro del Consiglio. Non era mai esistita una corrente del vice-presidente in Csm, Legnini è riuscito nell’impresa di unire i politici, strappando il ruolo di guida alle correnti della magistratura che lo avevano sempre avuto, in particolare Area, la corrente di sinistra in cui mi riconosco, che può contare su sette seggi ma è divisa al suo interno, in grave crisi di identità. Ora però la consiliatura sta per terminare il mandato. E nessuno può davvero scommettere su chi guiderà il Csm tra un anno».
Un’incertezza che non ha precedenti, neppure negli anni in cui il centrodestra berlusconiano muoveva all’attacco della magistratura. Nel Csm si è sempre costituito un gruppo che riusciva a eleggere i vice-presidenti più graditi ai membri togati (i due ex dc di lungo corso Virginio Rognoni e Nicola Mancino, il centrista Michele Vietti, che aveva cominciato il mandato da moderato del centrodestra e lo aveva concluso da moderato del centrosinistra), ma in quello che sarà eletto nel 2018 non si può prevedere quale maggioranza produrrà il futuro Parlamento. Nell’attesa, nei distretti e in Cassazione è già cominciata la campagna elettorale tra i magistrati, per decidere chi conquisterà la leadership del potere giudiziario.
Il più osservato dei candidati possibili per il nuovo Csm, e il più mediatico, è stato nominato un anno fa presidente della seconda sezione penale della Cassazione. Piercamillo Davigo è una bandiera della magistratura impegnata, l’unico superstite dell’originario pool Mani Pulite di Milano del 1992-93. Due anni fa ha abbandonato Magistratura Indipendente, la fazione di destra, e ha fondato Autonomia e Indipendenza, che presiede: la prima corrente personale nella storia della magistratura italiana, ironizza qualcuno. Nel 2016, alla prima prova elettorale per gli incarichi rappresentativi e direttivi dell’Anm, Davigo ha ottenuto più di mille preferenze e la sua corrente 1.200 voti, un’identificazione quasi totale, ed è stato eletto presidente dell’associazione magistrati per un anno.
L’accordo tra le correnti prevedeva una rotazione annuale degli incarichi, e Davigo ha lasciato il posto all’attuale presidente Eugenio Abamonte (Area), ma pochi mesi dopo Ai ha abbandonato la giunta ed è passata all’opposizione. La prova generale di una campagna elettorale da giocare tutta all’attacco delle altre correnti, senza compromissioni nella gestione del sindacato delle toghe.
Davigo si annuncia come il protagonista di entrambe le campagne elettorali. Il procuratore ha sempre giurato di non voler lasciare la magistratura per la politica, ma i suoi interventi pubblici si fanno sempre più frequenti: il convegno del Movimento 5 Stelle del 31 maggio alla Camera, la festa del Fatto quotidiano, le apparizioni nei talk show. E sempre più insistentemente si parla di lui come di un possibile ministro tecnico della giustizia in un governo M5S. I compagni di corrente della magistratura spingono invece perché si candidi al prossimo Csm. Non è facile essere eletti venendo dalla Cassazione, i posti sono due e uno è già assegnato per i rapporti di forza ai centristi di Unità per la Costituzione. Ma Ai è in crescita, prende voti a destra e a sinistra e raccoglie i consensi dei magistrati più giovani (il 60 per cento dei magistrati ha meno di 40 anni). Mentre in crisi di identità sono due correnti storiche. La sinistra di Magistratura democratica, confluita in Area, raccoglie figure storiche come il procuratore capo di Torino Armando Spataro o il consigliere del Csm Piergiorgio Morosini e riflette come in uno specchio le divisioni della sinistra politica: nelle ultime settimane la segretaria di Md Mariarosaria Guglielmi, pm a Roma, ha difeso le Ong e si è scagliata contro gli sgomberi forzati degli edifici occupati nella Capitale, richiesti da Eugenio Albamonte, presidente dell’Anm e magistrato della procura romana, anche lui di Area. Anche per le candidature al Csm c’è un derby tutto interno alla procura di Roma tra Giuseppe Cascini, ex segretario dell’Anm, e Mario Palazzi. Altri candidati: Claudio Gittardi (procuratore Sondrio), Fernando Asaro (procuratore Gela), Rita Sanlorenzo, Paola Filippi o Giovanni Diotallevi per la Cassazione. La destra di Magistratura Indipendente ha il suo leader-ombra piazzato ai vertici del ministero della Giustizia, il sottosegretario Cosimo Ferri, entrato nel governo in quota berlusconiana e sopravvissuto per tutta la legislatura in via Arenula grazie ai buoni rapporti con Angelino Alfano, Denis Verdini e, ultimamente, il giro renziano. «Indifendibile», lo definì Renzi quando Ferri fu sorpreso a spedire dal suo ufficio di sottosegretario sms di campagna elettorale per i suoi candidati al Csm nel 2014. I candidati stravinsero e Ferri restò al suo posto. Oggi la corrente è diretta dal segretario Antonello Racanelli, per un posto in Csm si preparano a correre Corrado Cartoni (tribunale di Roma), Antonio Lepre (pm a Paola), Paolo Criscuoli (Palermo). E Ferri è al bivio: fare il definitivo salto in politica e candidarsi in Parlamento con una lista centrista oppure attendere una poltrona di giudice costituzionale. Infine, c’è la corrente centrista, virtualmente maggioritaria, Unicost, con 14 rappresentanti nel parlamentino dell’Anm, tra cui l’ex segretario Francesco Minisci. Il leader è Luca Palamara, ex leader dell’Anm negli anni berlusconiani, oggi in Csm. La corrente ha già scelto la sua squadra di candidati: Carmelo Celentano (Cassazione), Gianluigi Morlini (Emilia e Piemonte), Marco Mancinetti (Roma), Michele Ciambellini (Napoli), Luigi Spina (pm a Potenza). Unicost vanta il consenso dal basso, si oppone tradizionalmente al protagonismo mediatico. E punta sull’indebolimento di Area e di Mi per conquistare la maggioranza dei seggi nel Csm.
L’Anm si riunirà a metà ottobre a Siena per il suo congresso nazionale dedicato ai diritti e alle nuove sfide, così come voluto dal presidente Albamonte, alla presenza di Sergio Mattarella. Poi partirà la lunga campagna elettorale, più personalizzata delle precedenti. In gioco c’è il giudizio su questi anni: le riforme firmate dal ministro Andrea Orlando, che il corpaccione togato considera nel complesso deludenti e al ribasso, il ruolo di Raffaele Cantone, il presidente dell’autorità anti-corruzione che dopo un periodo di ostentato distacco dalla magistratura è tornato ad avvicinarsi ai colleghi, la gestione della procura di Napoli, da anni specchio di tensioni, con una guida dell’ufficio debole e contraddittoria, ostaggio dei pm più in vista o al contrario fin troppo severa, ora affidata alle mani esperte e politicamente avvedute di Giovanni Melillo, già capo di gabinetto del ministro Orlando. E soprattutto il futuro.
Siamo al cambio generazionale, tra il 2018 e il 2022 andranno in pensione Spataro, Ilda Boccassini, Giuseppe Pignatone (il prossimo Csm dovrà dunque decidere chi occuperà la poltronissima di procuratore capo di Roma), il primo presidente di Cassazione Giovanni Canzio. Andrà in pensione nel 2020 anche Davigo. A meno che non riesca a farsi eleggere nel nuovo Csm. Un’eventuale vittoria elettorale di M5S, con la possibilità di eleggere un pacchetto di nomi per i membri laici eletti dal Parlamento, più un’affermazione di Ai (oltre a Davigo c’è il procuratore aggiunto di Messina Sebastiano Ardita, invitato a Ivrea alla commemorazione di Gianroberto Casaleggio), potrebbe costituire il gruppo guida del prossimo Csm. Ma anche su questo c’è l’incertezza massima. Le due prossime campagne elettorali segnaleranno soprattutto una comune debolezza, l’incrocio di due difficoltà, di due crisi, la politica e la magistratura. Non c’è una supplenza delle toghe in vista, come sembrò accadere nel 1992-93, e la politica non ha neppure l’alibi del complotto giudiziario per mascherare il suo immobilismo. Si somigliano in questo i due mondi: scaricare sulla politica le colpe del mancato funzionamento della giustizia, o sui magistrati l’incapacità dei partiti di auto-riformarsi è una tentazione troppo grande. Soprattutto in questa lunga, doppia campagna elettorale.