Chi è Mohammed bin Salman, il principe degli intrighi

Retate. Processi sommari per i big del regime. Così il reale costruisce il suo potere, in Arabia e nel mondo

Il millennial più potente del mondo si chiama Mohammed bin Salman bin Abdulaziz al Saud. In breve, MbS. In poco più di due anni si è preso l’Arabia Saudita, scavalcando i gradini della successione fino alla finestra con vista sulla monarchia che ospita le spoglie del Profeta.

MbS è puro cinema. C’è la sua “Vision 2030”, la sceneggiatura che racconta un futuro di indipendenza economica dal petrolio e di abbandono delle rigidità più obsolete imposte dall’integralismo wahhabita. Presto ci saranno di nuovo anche le sale e multisale, in riapertura a partire dal 2018 dopo un proibizionismo che dura da 35 anni, quando il trentaduenne figlio di re Salman e nipote del fondatore Abdulaziz non era neppure nato. Ma il primo film è già stato proiettato sabato 4 novembre 2017. Con un intreccio degno dei maestri delle pellicole d’azione, la capitale Riad è stata investita da una retata anticorruzione con scarsi precedenti nella storia dei colpi di palazzo. Oltre duecento fra aristocratici, ministri, ex ministri e businessmen, sono stati messi agli arresti con accuse che includono la corruzione, il riciclaggio e l’estorsione. Data la segretezza che per tradizione circonda i protagonisti del potere saudita, è difficile tradurre le dimensioni dello shock. L’hotel cinque stelle lusso Carlton-Ritz di Riad, che pochi giorni prima aveva ospitato i vip della “Davos nel deserto”, è diventato la prigione dorata per undici principi del sangue, tra i quali il comandante della Guardia nazionale, e per tre fra i dieci uomini più ricchi dell’intero mondo arabo. Il più noto e il più ricco è al Walid bin Talal bin Abdulaziz, ex socio della prima ora di Silvio Berlusconi in Mediaset, con un patrimonio stimato da Forbes in 16,9 miliardi di dollari. Insieme a lui, ci sono Mohammed al Amoudi (9,9 miliardi di dollari) e Saleh Kamel del gruppo bancario Al Baraka (3,3 miliardi). Un altro dei pochi nomi noti è quello di Bakr bin Laden, fratello di Osama per parte del padre Mohammed, ex muratore diventato il costruttore di fiducia della monarchia fondata nel 1932.
[[ge:rep-locali:espresso:285307757]]
Il “Black saturday” del 4 novembre, annunciato in giugno dal principe ereditario senza che gli intoccabili credessero fino in fondo alla minaccia, si è completato con due varianti di trama molto significative. La prima è il missile terra terra lanciato su Riad dalla frontiera yemenita, dove da tre anni infuria la guerra tra i sauditi e i ribelli Houthi sostenuti dall’Iran. Secondo fonti ufficiali, il missile sarebbe stato abbattuto lungo la sua rotta di circa mille chilometri da un Patriot.

Sempre il 4 novembre a Riad il primo ministro libanese Saad Hariri si è dimesso dopo essere stato trattenuto alcuni giorni dai servizi di sicurezza sauditi. MbS è scontento di come il premier di Beirut, espressione dei sunniti, sta guidando una coalizione di larghe intese dove il partito sciita filoiraniano di Hezbollah avrebbe troppa voce in capitolo.

Quando è finalmente riuscito a rimpatriare, Hariri ha riassunto la guida del governo che già costò la vita al padre Rafik, imprenditore e premier ucciso da un’autobomba nel 2005.


Carcere cinque stelle lusso
Con la retata del 4 novembre MbS ha voluto dimostrare al mondo di sapere quando si usa il bastone e quando la carota. A differenza del bastone, la carota non è gratis. I nuovi prigionieri di Zenda del Ritz-Carlton si sono visti offrire dal ministro della giustizia Saud al Mojeb ampie possibilità di transazione rispetto alle accuse che li minacciano. MbS è pronto a metterci una pietra sopra in omaggio a una tradizione pre-islamica delle tribù beduine della penisola: il sequestro con riscatto. Che poi i sequestrati siano predoni è solo una garanzia di incasso. La cifra minima che MbS ha posto come obiettivo è di 100 miliardi di dollari per chiudere le controversie senza passare dai tribunali di uno dei paesi che applica più spesso la pena di morte insieme agli alleati Usa e agli odiati ayatollah. La somma potrebbe arrivare fino a 300 miliardi. L’operazione è stata condotta con eccezionale rapidità ed efficacia grazie anche alla collaborazione della banca centrale che ha consentito il sequestro di oltre 1500 conti bancari nel mare magnum di investimenti internazionali senza alcuna trasparenza della classe dirigente locale. Molti uomini d’affari all’estero sono stati avvertiti. Se vorranno tornare in patria, dovranno pagare.

La guerra lampo di MbS ha qualche parentela con il metodo applicato in passato da Vladimir Putin: uso della leva giudiziaria per togliere le imprese strategiche dal controllo degli oligarchi e riportarle nelle mani dello Stato.
Qualcosa di simile sta accadendo nella Cina di Xi Jinping dove i miliardari comunisti come Wang Jianlin del gruppo Wanda Dahlian sono segnalati in gravi difficoltà per la campagna anti sprechi varata dal Partito. Nelle suite del Ritz-Carlton la maggior parte degli imputati si è messa al tavolo della trattativa. Oltre agli uomini di MbS, gli avvocati difensori hanno davanti non meglio identificati “consulenti occidentali”, capaci di individuare gli investimenti dei plutocrati sauditi in ogni angolo del mondo.

Fra le transazioni chiuse sono state citate quella di Ibrahim al Assaf, ministro delle Finanze per vent’anni, e quella dell’uomo d’affari Saud al Duwaish (Saudi telecom). Finora lo scarcerato più illustre è il principe Miteb, 65 anni, ex presidente della potente milizia saudita figlio di re Abdullah e cugino dello stesso MbS. Miteb è accusato, fra l’altro, di avere venduto a dieci volte il prezzo una fornitura di corpetti antiproiettile per la Guardia nazionale. Ha pagato oltre 1 miliardo di dollari. Resta in albergo, per adesso, suo fratello Turki bin Abdullah, ex governatore di Riad e uomo forte delle forniture militari coinvolto in un caso di corruzione internazionale. Fra gli ospiti dell’hotel c’è anche uno che gli hotel di solito li compra, al Walid. Per il fondatore di Kingdom holdings, amico di Steve Jobs e Rupert Murdoch, azionista o ex azionista della catena alberghiera Four seasons e di Apple, Microsoft, Citigroup, Netscape, News Corp, Eurodisney, Twitter, la chiave per uscire dalla stanza a pensione completa è valutata fra 6 e 7 miliardi di dollari. Al Walid ha proposto al governo di entrare nell’azionariato della sua holding personale. Il cugino ha risposto no grazie. Il contante è fondamentale come prova di buona volontà. MbS è apparso molto soddisfatto dei negoziati anticorruzione. In un’intervista di fine novembre al New York Times, il figlio di re Salman ha fornito le sue personali statistiche: il 95 per cento ha ammesso le colpe, il 4 per cento pare deciso ad affrontare il processo e l’1 per cento degli arrestati ha dimostrato la sua innocenza. Non serve la calcolatrice. Su oltre duecento fermati si parla di due o tre persone.

L’infanzia di un capo
Nella palude della corte saudita MbS ci ha messo pochissimo a farsi notare. Cresciuto con educazione severa insieme a quattro fratellastri maggiori, fra i quali un professore universitario con laurea a Oxford e il primo astronauta arabo della storia con una missione sulla Discovery, MbS è un ammiratore di Sun Tsu e di Winston Churchill. Dopo una laurea in legge che lo vede classificarsi quarto nel suo corso, dal 2009 inizia a frequentare il ministero della Difesa con un attivismo che gli procura le critiche della vecchia guardia, impegnata a fare la cresta sulle forniture miliardarie del regno, quarto al mondo per spesa militare.

I suoi nemici, raccolti intorno al principe Turki, si lamentano tanto con re Abdallah che a MbS viene vietato di mettere piede al ministero. Il giovane va a lavorare con il padre Salman, fratello di Abdallah, che al tempo è il governatore di Riad.
Nel 2011 Salman viene nominato ministro della Difesa e inizia l’ascesa che lo porterà al trono alla morte del fratello, nel gennaio 2015. Nel giro di un paio di settimane il giovane leone Mohammed viene proiettato nella primissima linea del governo saudita. Il padre gli consegna il controllo di Saudi Aramco, primo produttore e quarto raffinatore mondiale di petrolio, lo mette alla guida del fondo sovrano e lo nomina ministro della Difesa. MbS diventa numero due nella linea di successione al trono dopo il cugino Mohammed bin Nayef che verrà silurato circa un anno dopo.

Nella primavera del 2016 il nuovo erede presenta al mondo Vision 2030 e inizia a prendere di mira le spese fuori controllo, stimate in 80-100 miliardi di dollari, che stanno portando l’Arabia Saudita sull’orlo dell’insolvenza. Il suo programma, concepito in una cerchia di fedelissimi con la collaborazione di colossi internazionali della consulenza come Booz-Allen-Hamilton e il Boston consulting group, è all’altezza delle ambizioni di MbS.
Sul piano economico l’obiettivo è di creare e finanziare quello che dovrebbe diventare il maggiore fondo sovrano del mondo con la partecipazione di investitori stranieri come Blackstone, il più grande gruppo di investimenti privati al mondo, e Softbank del miliardario giapponese Masayoshi Son.

Sul piano strategico si punta ad alzare il livello dello scontro con il Qatar, messo sotto embargo perché sospettato di alimentare il terrorismo sunnita, e soprattutto con l’Iran sciita che, secondo i sauditi, ha messo le mani su quattro capitali dell’area (Baghdad, Beirut, Sanaa e Damasco). La guerra in Yemen, una catastrofe umanitaria per la popolazione civile, diventa il Vietnam che MbS dice di avere quasi conquistato nonostante il sostegno iraniano ai ribelli. In un recente scatto di furia tipico dei suoi esordi, il governante saudita ha attaccato a testa bassa la guida spirituale di Teheran, Ali Khamenei. «È il nuovo Hitler del Medio Oriente», ha detto MbS. «Abbiamo imparato dall’Europa che la pacificazione non funziona. Non vogliamo che il nuovo Hitler ripeta nel Medio Oriente quanto è accaduto in Europa».

Grande sostenitore di Donald Trump, a differenza del cugino Al Walid, Mohammed ha rafforzato i rapporti con Israele ricordando la protezione concessa per secoli a ebrei e cristiani da parte del Profeta e dei suoi successori.



Donne al volante
La componente culturale è quella che affascina di più gli occidentali. MbS ha dichiarato in ogni circostanza di volere ripristinare la tolleranza islamica travolta dall’ondata wahhabita del 1979, quando gli integralisti presero il controllo della Grande Moschea della Mecca. La sua abilità è di collegare la modernizzazione al passato. «Il primo giudice commerciale nella Medina di Maometto era una donna», ha detto MbS. «E se al tempo le donne potevano cavalcare un cammello, non si vede perché oggi non possano guidare un’automobile». Via libera quindi alla partecipazione femminile ai concerti, alle partite di calcio e presto al cinema.

In parallelo, è stato attenuato di parecchio il potere enorme della Polizia religiosa, capace di arrestare una passante per un centimetro di pelle scoperta di troppo.

In fondo, ricordano nell’entourage di MbS, a Riad e a Jeddah negli anni Cinquanta si vedevano in giro donne senza velo e con la gonna. Per i più riottosi vengono allestiti argomenti economici: le donne al volante porteranno 90 miliardi di dollari in più a pil locale.

L’innovazione di Vision 2030 deve molto all’esempio dei piccoli Emirati arabi uniti, di Dubai soprattutto, meta di divertimento per i sauditi oppressi e primo perno di crescita dell’intera penisola capace di diversificare dal petrolio.

Invece di spendere soldi oltre confine, i sauditi avranno la loro metropoli delle meraviglie. Con 500 miliardi di dollari di investimenti Neom sul Mar Rosso diventerà il nuovo hub del turismo di alto livello, che MbS ha voluto paragonare agli Hamptons, la località chic dei ricchi newyorkesi. Coinvolgere gli investitori stranieri nell’avventura non sarà semplice. Tutto è ancora molto incerto, a incominciare dal destino di Saudi Aramco, il colosso petrolifero che dovrebbe finire sul mercato a partire da un valore di impresa di 1000 miliardi di dollari per un’offerta pubblica iniziale che oscillerebbe intorno al 5 del capitale. Ma non è chiaro quando sarà l’Ipo e se sarà limitata alla Borsa locale, invece che a un primario mercato internazionale, come sembrava all’inizio.

Per i critici di MbS la sua rivoluzione non è tanto una nuova primavera araba quanto l’ennesima faida all’interno della corte saudita. I familiari stretti di re Salman, secondo alcuni cablo di WikiLeaks, ricevevano una paghetta mensile dalle casse dello Stato di 270 mila dollari. Il monarca stesso, in una recente visita in Russia, ha esibito una scaletta d’oro per scendere dall’areo. E nella guerra degli yacht MbS ha surclassato il cugino Al Walid con una barca da 550 milioni di dollari, il Serene, prodotta da Fincantieri e comprata dall’oligarca russo Yuri Shefler.
In attesa della prova dei fatti, la migliore sintesi è di Robert Jordan, ambasciatore Usa a Riad con George W. Bush. «Se il cambiamento è reale», ha detto Jordan a Bloomberg tv, «darà credibilità a tutto il business saudita. Se si rivelerà una presa di potere, nel lungo periodo farà male ai sauditi. E di sicuro farà male a MbS».

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Siamo tutti complici - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso