Dopo Riina, le cosche possono riorganizzarsi. Nel trapanese, i clan ?non impongono più il pizzo: finanziano  le imprese e ne diventano azioniste. Ecco gli affari a cui si stanno dedicando

Adesso Cosa nostra punta ai soldi

La scomparsa di Salvatore Riina sembra aver lasciato orfana Cosa nostra, che appare sempre più un’organizzazione criminale segreta con due anime. Una conservatrice, radicata nei paesi della provincia che assicurano la forza della tradizione. E un’altra più “moderna”, insediata nelle città capoluogo come Catania, Trapani e Messina che rappresentano un modello più avanzato, in linea con le mafie moderne. Due anime diverse, dunque, me che convivono e permettono che il richiamo al rassicurante e solido passato conviva con la necessità di stare al passo con il futuro. Certamente, come ha scritto di recente la Commissione antimafia presieduta da Rosy Bindi, «qualunque cosa accadrà, è e sarà una Cosa nostra diversa da quella che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni». La morte di Riina, però, rappresenta un elemento di forza per la nuova Cosa nostra perché c’è la definitiva chiusura dell’ingombrante stagione corleonese, quella del tritolo e delle stragi. Adesso le cosche sono libere di ridarsi un organismo decisionale centrale, e quindi una strategia comune, finora ostacolata dall’esistenza di un capo che, ristretto al 41-bis, non poteva comandare ma nemmeno essere sostituito.

È vero che la sensibilità sulla questione mafiosa oggi è molto maturata, tanto nella società quanto nel sistema di prevenzione e repressione, ma, come scrivono gli analisti dell’antimafia, «non bisogna sottovalutare che ci si trova di fronte comunque ad una associazione criminale segreta con più di due secoli di storia».

E non bisogna dimenticare che la mafia siciliana è un’organizzazione fondata su regole precise che in passato le hanno sempre consentito di superare i momenti difficili e di sopravvivere anche in assenza di vertici. Nella relazione della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo si legge: «L’organizzazione mafiosa continua a fare ricorso al suo patrimonio “costituzionale” e alle regole sulla propria struttura tradizionale di governo che - a prescindere dalla presenza di capi liberi - le consente di superare momenti di crisi quale quello che indubbiamente sta ora attraversando. Cosa nostra è dotata di una sorta di “costituzione formale” e di una sua “costituzione materiale”. In alcuni momenti storici ha contato di più la sua costituzione materiale, nel senso che il governo dell’organizzazione è stato retto secondo le scelte dei capi, a prescindere dal rispetto delle regole. Nel momento in cui l’azione investigativa dello Stato ha portato alla cattura dei capi, la costituzione formale di Cosa nostra ha ripreso importanza e tutt’ora consente alla struttura di sopravvivere».

Come hanno segnalato gli inquirenti alla Commissione parlamentare, l’associazione mafiosa ha dimostrato, negli ultimi anni, una impressionante “capacità di rigenerazione”, nel senso che, ai continui arresti di mafiosi di ogni livello, Cosa nostra ha puntualmente risposto con la sostituzione immediata nei ruoli lasciati vuoti. Dimostrando così non solo di riuscire a garantire una operatività senza interruzioni, ma anche di potere contare su un numero, sempre vasto, di affiliati.

Così, nonostante tutto, la mafia ha mantenuto il controllo del territorio nelle città e nei paesi siciliani, continua a godere di un consenso ampio ed esercita sempre la sua capacità di intimidazione alla quale ancora corrisponde, di converso, il silenzio delle vittime.

Il livello “basso” degli attuali uomini d’onore, meno esperti e meno carismatici rispetto a quelli del passato, a sua volta, può essere letto in un’altra ottica. Il procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi, ha detto ai commissari dell’antimafia: «È vero che Cosa nostra ha subìto dei colpi rilevanti nel corso degli ultimi due decenni, ma è altrettanto vero che registriamo quotidianamente la sua capacità di autorigenerazione, che magari non raggiunge più i livelli qualitativi rappresentati dagli importanti uomini d’onore di una volta, ma che non per questo cessano di essere pericolosi o sono meno pericolosi; anzi, in mancanza di un rigido controllo nella procedura di selezione degli uomini d’onore e degli affiliati alla mafia, rischiano di essere addirittura più pericolosi. Bisogna quindi stare attenti ai momenti di apparente silenzio sotto il profilo della sicurezza in generale, che riguardi gli uomini delle istituzioni come i semplici cittadini vittime delle varie attività illecite tipiche di Cosa nostra».
Resta sempre aperta la questione dei misteri sulla stagione dei delitti politico-mafiosi. I complici “eccellenti” di quegli anni sono ancora presenti sulla scena? E chi sono i loro interlocutori? Usciti di scena i “viddani” corleonesi, quelle relazioni sono finite nel nulla? O è rimasta in piedi una rete di contatti ad altri livelli che tuttora è capace di funzionare?

C’è poi tutto il capitolo economico. Gli ingenti patrimoni che la vecchia mafia era riuscita ad accumulare non sono stati ancora del tutto individuati. Per esempio, le indagini svolte per la cattura di Provenzano hanno dimostrato che, insieme agli altri due storici boss corleonesi Leoluca Bagarella e Salvatore Riina, aveva acquistato beni, negli anni Settanta, che spaziavano dal settore turistico al farmaceutico oltre a quello, più tradizionale, dell’edilizia. Al latitante Provenzano venivano inviati i ritagli dei giornali con gli indici di Borsa e, negli anni Novanta, secondo quanto appreso dalle intercettazioni, la vendita di un immobile dei tre corleonesi avrebbe comportato, una spesa per oltre 200 milioni di lire solo per i notai. Oppure, si consideri il cosiddetto tesoro di Ciancimino, solo in parte rintracciato, i cui proventi sono stati investiti nel territorio nazionale ma anche, e soprattutto, all’estero. Si pensi al latitante trapanese Matteo Messina Denaro e ai suoi interessi economici nelle catene di distribuzione alimentare e, più di recente, nel sistema delle energie alternative.

Accanto alla manovalanza mafiosa che si accontenta degli spiccioli o solo dell’onore dell’appartenenza, c’è sempre, come del resto è sempre avvenuto, un grado superiore, una élite mafiosa che gestisce questi enormi patrimoni occulti che, riciclati e “ripuliti”, sono stati investiti in attività che hanno prodotto posti di lavoro e, dunque, consenso. Ed esistono, poi, i legami con il mondo delle professioni, della politica, della grande imprenditoria e attraverso questi rapporti, l’ingresso a pieno titolo nel sistema democratico.
Tutto questo è particolarmente vero per la mafia trapanese, catanese, messinese, dove il connubio con l’imprenditoria ha finito per creare una Cosa nostra imprenditrice. Matteo Messina Denaro, interpreta il ruolo di boss in modo nuovo, un “modello evolutivo” in cui i vertici si allontanano dagli affari “piccoli e sporchi” della base per avvicinarsi ai grandi interessi dell’economia nazionale.

La mafia trapanese si è sempre più rivelata nel corso degli anni particolarmente pericolosa. Al contrario di quanto accaduto altrove, è rimasta sostanzialmente uguale a sé stessa, senza novità eclatanti. È un territorio storicamente caratterizzato, come quello di Messina, da una massiccia presenza della massoneria, dove non si ricorre all’imposizione indiscriminata del pizzo «poiché, spesso, è la stessa imprenditoria ad essere essa stessa mafiosa ovvero socia in affari della mafia». Gli imprenditori non sono vessati, ricevono soldi e sostegno dalle cosche e offrono in cambio la titolarità di quote delle imprese. Un modo “evoluto” di fare affari, che consente al boss trapanese di avere interlocutori di profilo diverso rispetto ai mafiosi tradizionali. Così Matteo Messina Denaro, per quanto capomafia indiscusso del proprio territorio, non ha bisogno di presidiarlo. La presenza fisica non è necessaria per il business. E nemmeno per la latitanza.

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Imbucati di Stato - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso

Il settimanale, da venerdì 4 luglio, è disponibile in edicola e in app