Risiedono all'estero e hanno un listino prezzi assai salato per conservare le cellule dei figli appena nati. Ma il Ministero della Salute: nessuna evidenza scientifica a sostegno  di questa pratica. E zero casi in cui fino a oggi è servita a qualcosa

Basta una ricerca su Google, con parole chiave semplici, come “staminali cordone ombelicale”. E il primo sito che appare è quello della ScientiaFides Spa, con sede a San Marino. C’è la foto di una mamma felice che abbraccia il suo neonato. E la pubblicità senza giri di parole: «Durante la gravidanza è stato il vostro mezzo di comunicazione. Durante la vita può essere il suo salvavita. Non buttarlo! Con soli 0,40 euro al giorno puoi mantenere le staminali del cordone ombelicale del tuo bimbo a sua disposizione e della tua famiglia». Sotto ci sono le testimonianze di mamme che l’hanno già fatto. Il listino dei prezzi va dai 1.500 ai 3.000 euro. In alto a destra appare un numero verde. Digitiamo i nove numeri. Una centralinista chiede nome, cognome e numero di telefono. Poi riaggancia con la promessa di richiamare perché «al momento i consulenti sono tutti impegnati». Passa un minuto e arriva un sms con «la cortese richiesta di sapere quando è possibile contattarla». Dalla descrizione della procedura si passa subito al costo per la crioconservazione suddiviso per 10, 20 e 30 anni. Se si vuole prolungare la durata dopo il termine basta aggiungere altri soldi. Nessuno chiarisce che oltre i 15 anni non vi sono nemmeno certezze sulla possibilità di mantenere le caratteristiche biologiche delle cellule staminali emopoietiche che si trovano nel cordone.

Benvenuti nel mondo delle promesse sanitarie, dei (presunti) salvavita privati che fanno leva sul desiderio più forte di ogni mamma del mondo: garantire al proprio neonato una vita in salute e la protezione da malattie gravi, leucemia in testa.

Ogni motore di ricerca porta all’elenco delle banche private estere che conservano il sangue del cordone ombelicale. Ognuna con la sua frase suggestiva, ognuna con il suo business, ognuna nel suo fazzoletto di terra fuori dai nostri confini, dato che in Italia la legge del 2005 voluta dall’allora ministro Girolamo Sirchia ha bandito la nascita di centri di raccolta privati. È consentito spedire all’estero le cellule del proprio bambino e poi conservarle lì, ma farle rientrare in Italia per un trapianto può risultare poi difficilissimo per motivi di tracciabilità, idoneità ed efficacia sul paziente. A oggi nessuno dei cordoni ha fatto ritorno nel nostro paese per uso clinico.

In Italia è permesso invece il cosiddetto uso allogenico, cioè l’utilizzo delle staminali emopoietiche proveniente da donatori compatibili: un trapianto in grado di curare 60 diverse patologie. Ma non è la donazione per altri ad alimentare il business, ovviamente: è invece la promessa di proteggere il proprio bambino da future malattie conservando le sue stesse cellule prese dal cordone il giorno in cui è nato. Sicché la frase chiave che viene pronunciata senza esitazione dai banchieri di staminali è: «Si tratta di un’assicurazione biologica sulla vita del suo bambino e della sua famiglia». Poi si aggiunge: «Se vuole abbiamo anche la possibilità di conservare il tessuto del cordone ombelicale e non solo il sangue».

Altra banca, stesso sistema. La FamiCord, con sede in Polonia, ha prezzi che vanno dai 1.190 immediati e 60 euro annui ai 2.290 euro, più spese doganali. Anche loro propongono un pacchetto: sangue e tessuto del cordone ombelicale, «quest’ultimo può essere provvidenziale per la cura dell’autismo, lo stiamo sperimentando nei nostri centri». Prima di riagganciare arriva l’esortazione a decidere presto «perché le procedure sono lunghe», poi la richiesta di un indirizzo di posta elettronica per spedire un fac-simile del contratto. Tra “consensi informati” e modalità di pagamento si arriva alla voce “Bassa Conta Cellulare” dove si legge: «Consigliamo ai nostri clienti di proseguire con la conservazione anche in caso di basso numero di cellule». Nessuna di queste banche spiega però che il sangue del cordone ombelicale, perché possa essere efficace per il trapianto, deve contenere un numero minimo di staminali emopoietiche, in Italia fissato nella cifra di almeno un milione e seicentomila a sacca.

I report pubblicati dal Ministero della Salute chiariscono che la comunità scientifica internazionale è d’accordo su un punto: «Non esistono evidenze consolidate a sostegno della reale utilità della pratica della conservazione autologa», cioè proprio quella venduta dalle banche di staminali illudendo le madri di proteggere così i propri figli dalle malattie. E ancora: «Non è la migliore opzione terapeutica poiché le cellule potrebbero essere già compromesse e procurare un danno al paziente». Tradotto: effettuare un trapianto con le proprie staminali potrebbe significare la ricomparsa della leucemia.

Non solo, per il dottore Maurizio Caniglia, responsabile del reparto di onco-ematologia pediatrica del Santa Maria della Misericordia di Perugia, il «trapianto di cellule staminali da cordone ombelicale negli ultimi anni si è ridotto, poiché sono prevalse tecniche ancor più sofisticate». La maggior parte della comunità scientifica per Caniglia è chiara su un punto: «In Italia privilegiamo il sistema solidaristico, ma non è solo questo il problema: è difficile valutare la qualità delle cellule che provengono da banche private ed è per questo che io non ne farei mai uso». Parla di spese ingenti chieste ai privati cittadini, senza però specificare che «allo stato attuale non c’è nessuno terapia acclarata per l’utilizzo di queste cellule in medicina rigenerativa».

Le banche private hanno agenti di commercio radicati in ogni regione propensi a incontrarti e seguirti, guidandoti nella compilazione del contratto. Solitamente si inizia con il classico «siamo i leader mondiali» per poi proseguire con un ancor meno veritiero «è fondamentale per la cura della leucemia». Nel 2011 l’Antitrust era intervenuta per chiedere a sei società di modificare i messaggi pubblicitari perché risultavano ingannevoli. Da allora hanno ampliato il listino di offerte, infarcito i siti internet di storie miracolose, aperto pagine Facebook dove pubblicizzano la loro offerta commerciale. Dalla crioconservazione del cordone ombelicale si è passati in poco tempo all’aggiunta della polpa dentale e del tessuto, sempre del cordone. E se il trapianto con le proprie cellule in Italia non viene praticato, nessuna di queste banche specifica che per i cordoni ombelicali rientrare in Italia può rasentare l’impossibilità. Alla domanda «Sono stati già usati per trapianti da noi?». La risposta è sempre «Sì» e c’è chi addirittura, come Scienta Fides, azzarda: «Abbiamo un ematologo di riferimento al San Camillo».

Il  direttore del Centro Nazionale Trapianti, Alessandro Nanni Costa, è chiaro: «I nostri ospedali per i trapianti usano solo cellule provenienti da banche autorizzate. Cellule quindi certificate e considerate idonee. In tutti i nostri ospedali è vietato l’utilizzo di cordoni ombelicali conservati in centri privati non autorizzati dalla competente authority». La stessa cosa vale per il tessuto cordonale che, non solo non può essere utilizzato, ma - aggiunge Nanni Costa - «non può uscire dall’Italia se non come residuo del corpo ed è quindi inutilizzabile per qualsiasi scopo di trapianto». Il Sistema sanitario nazionale prevede una sola eccezione: la crioconservazione dedicata (del fratellino o sorellina) per bambini ai quali è già stata diagnosticata o rischiano «malattie genetiche determinanti». L’Italia in questi casi promuove la donazione del cordone.

Alla Fondazione Policlinico Gemelli di Roma sorge una delle 19 banche pubbliche autorizzate alla conservazione del sangue ombelicale. Poche stanze, accessibili solo agli operatori. Appesa sui muri la scritta «dona il cordone». La professoressa Gina Zini, responsabile del centro, fa strada nelle sale off-limits. Indica le sacche scartate perché contengono una quantità di cellule troppo bassa, poi guardando i grandi contenitori carichi di azoto liquido, si lascia scappare un profetico: «Questo è un diritto equiparabile all’essere curati». Spiega che «in Italia l’unico trapianto che ha riscontro scientifico è quello allogenico», cioè con cellule non proprie ma ottenute da un donatore. Il contrario esatto di quello che propongono le banche private alle future madri. Zini chiarisce un altro punto: «L’Italia fa parte di una rete mondiale». Le sacche contenenti le importanti cellule vengono trasportate infatti in ogni angolo della terra, qualora ne venga fatta richiesta da un paziente che risulti compatibili per un trapianto.

«Si chiama solidarietà e diritto alla cura», dice Giuseppe Garrisi il presidente nazionale dell’associazione Adisco, che aggiunge: «Scegliere la conservazione autologa è egoistico e anche inutile, visto che queste riserve rimangono inutilizzate soprattutto in un tempo, il nostro, in cui purtroppo ci sono sempre meno genitori che donano il cordone». Negli ultimi anni si è assistito a una diminuzione drammatica di donazioni, mentre le banche private promettono falsi miracoli.  

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