Il padrino che viene dalla Cina: come funziona (e fa soldi) la Piovra asiatica in Italia

Estorsioni, usura, droga, prostituzione, omicidi. E fiumi di denaro cash. Per la prima volta le indagini fanno luce sugli affari italiani del boss Zhang Naizhong soprannominato “L’uomo nero”. Contro cui da pochi giorni è cominciato il processo

Le auto di lusso si fermano una dopo l’altra davanti all’ingresso di un ristorante cinese a Prato. È sera. Dalle berline tirate a lucido sbucano uomini di bassa statura e robusti, magri e alti, eleganti o vestiti con abiti alla moda. Hanno tutti gli occhi a mandorla e uno dopo l’altro si infilano nel locale con passo svelto. Arrivano a pochi minuti di distanza l’uno dall’altro - sembra quasi fila indiana - ed entrano composti, in silenzio, puntando dritti al centro della sala del ristorante dove ad attenderli in piedi c’è un signore piccolo e magro, dai capelli corti e neri che indossa un abito scuro. E davanti a quest’uomo s’inchinano tutti con deferenza. Non pronunciano alcuna frase. È un segno di rispetto, anzi un omaggio a quest’uomo che chiamano “il capo”. Poi girano i tacchi, riprendono l’uscita del ristorante e vanno via a bordo delle loro auto.

All’anagrafe la persona al centro della sala si chiama Zhang Naizhong, detto anche “L’uomo nero”. Ha 58 anni, è nato nello Zhejiang, provincia orientale costiera della Cina che ha stretti legami con il nostro Paese: lo Zhejiang meridionale e in particolare, la città-prefettura di Wenzhou e i distretti di Qingtian e Wencheng sono la terra d’origine del 90 per cento delle comunità di immigrati cinesi in Italia e in Europa.

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L’inchino a Zhang non è un semplice saluto a un connazionale venuto dalla Cina, ma il riconoscimento al “capo” che sovrasta sulla comunità cinese di Prato, la seconda più grande d’Europa dopo quella di Parigi.


Lui vive a Roma, dove gestisce i suoi affari milionari e i business illegali, e a Prato periodicamente porta il suo saluto come lo porta in giro per le comunità italiane, da Padova a Milano a Torino, fino a Parigi. E in ogni posto in cui arriva è accolto con deferenza. Perché gran parte dei cinesi che vivono in Italia e nelle più grosse comunità europee hanno paura di Zhang, conoscono la sua potenza, sono consapevoli di ciò di cui è capace servendosi della manovalanza criminale. E poi ha un potere economico vastissimo.

A gennaio dello scorso anno - quando gli agenti della polizia di Stato sono andati a notte fonda ad arrestarlo su richiesta della procura antimafia di Firenze perché accusato di essere al vertice di una grande organizzazione mafiosa cinese (accuse che il tribunale del riesame toscano ha poi fatto cadere) - Zhang Naizhong dormiva sonni tranquilli, anche perché ai piedi del suo grande letto vegliava su di lui un robusto cinese residente a Prato: seduto su una poltrona, come usano fare i guardaspalle, con il compito di proteggerlo. Da chi non si sa. Ma anche quando dorme Zhang viene guardato a vista dai suoi uomini. Nulla però ha potuto fare il bodyguard quando hanno fatto irruzione i poliziotti: ha alzato le mani e si è limitato a vedere come veniva portato via il suo boss.

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Gli investigatori hanno osservato e controllato Zhang per anni, registrandone le mosse e le conversazioni. Così ne hanno tracciato, attraverso i fatti documentati, un quadro in cui emerge il suo ruolo di vertice di una grande organizzazione che fa affari in vari campi. Non sono episodi parcellizzati, ma legati da un unico filo giallo.


Ufficialmente Zhang è imprenditore del settore trasporto merci, con centinaia di tir e furgoni che viaggiano per l’Italia e l’Europa. Queste società però non sono intestate a lui, benché poi “l’uomo nero” incassi tutto. Zhang fa anche prestiti ad usura ed è accusato di controllare sale da gioco illegali, prostituzione, traffici di droga, estorsioni e riciclaggio.

Obiettivo: invisibilità
“L’uomo nero” oggi è a piede libero anche se da pochi giorni per lui è iniziato a Firenze un processo in cui è imputato per diversi reati.

Tra questi non c’è la mafia, che però resta ancora in piedi nelle inchieste e pende come una spada sulla sua testa: per farlo arrivare a processo per mafia occorre saper cucire bene i tantissimi fatti documentati dalla polizia di Prato e dal Servizio centrale operativo, dimostrando ai giudici che si tratta di un’unica organizzazione gerarchicamente strutturata che miete terrore e morte non solo in Toscana, ma anche nel resto delle comunità cinesi in Italia e in Europa.

Il potere di Zhang Naizhong è ben recepito dalla base della comunità cinese. L’uomo nero riesce a muovere ogni giorno, attraverso i suoi mezzi di trasporto, scatoloni pieni di banconote da 500 euro che formano complessivamente milioni di euro. Cash a volontà consegnato a domicilio ogni giorno in città diverse direttamente a prestanome che acquistano attività commerciali, investono in attività lecite, inquinano l’economia legale di intere città, minano l’imprenditoria sana che paga le tasse.

Durante le indagini la polizia ha intercettato una conversazione fra alcuni componenti del clan di Zhang: parlavano tra loro del fatto che la Guardia di Finanza di Roma, in una sua indagine sul traffico di droga, aveva fermato un tir dell’organizzazione proveniente dalla Spagna con un carico di stupefacenti. I cinesi però non erano in fibrillazione per aver perso il carico di droga, ma per uno scatolone pieno zeppo di banconote nascosto fra i trecento colli che trasportava il tir. I finanzieri, controllando, i pacchi hanno fatto la scoperta e il denaro è stato sequestrato.

Fino a pochi anni fa, secondo i dati della Banca d’Italia, da Prato partiva ogni giorno verso la Cina un milione e mezzo di euro attraverso money transfer o bonifici bancari. Questi sono i volumi di denaro che circolano nella comunità cinese. E rendono potenti personaggi come Zhang Naizhong ai quali i suoi connazionali si rivolgono per risolvere ogni genere di problema.

La strategia di dominio di Zhang nella comunità cinese si è divisa tra la necessaria politica di formale rispetto delle leggi, comprese quelle economiche di mercato, e la gestione degli interessi delinquenziali del clan dell’uomo nero. Rispetto alle istituzioni, la mafia cinese non è mai stata troppo visibile, non si è mai messa in aperto antagonismo con lo Stato, cercando anzi di apparire il meno possibile. Meno ci si fa vedere, meno c’è il rischio di entrare nel mirino delle forze dell’ordine e dei magistrati. Per questo i clan cinesi procedono nell’invisibilità, sfruttando però al massimo il metodo mafioso.

Nel tempo, Zhang Naizhong è riuscito a creare una rete e una struttura piramidale della sua organizzazione, mettendo la comunità cinese in uno stato di profonda soggezione e omertà, tanto che molti hanno paura anche solo a pronunciare i nomi dei leader del gruppo davanti alle forze di polizia.

L’associazione criminale ha mostrato di possedere una pervasiva influenza e una riconosciuta autorità nell’ambito della comunità cinese in generale - e non limitata ai territori classici di competenza - derivatagli dalla capacità dei vertici del sodalizio di risolvere qualsiasi tipo di problematica e controversia riguardante i propri connazionali.

Proprio in virtù di questa autorità riconosciutagli - e della forza intimidatoria esercitata - in svariate circostanze la comunità cinese ha investito i capi del clan del compito di risolvere le loro questioni, riconoscendo a Zhang e ai suoi il ruolo di veri e propri “giudici” informali ma potenti. Ci sono conversazioni registrate in cui donne e uomini si rivolgono al boss per avere aiuto, e la considerano «una cosa logica e giusta».

Basta una telefonata
La necessità della criminalità organizzata cinese non è quella di radicarsi in un territorio, ma in una comunità. Ecco perché l’epicentro di tutti gli affari è Prato, area intorno alla quale ruotano i maggiori interessi del gruppo che, da qui, coinvolgono tutta l’Europa.

A Prato c’è tutto il gruppo di Naizhong, c’è la base dell’associazione e tutti gli uomini più importanti dell’associazione, sia a livello di vertici sia a quelli più bassi. Controllare Prato, essere forti a Prato - come spiegano gli investigatori - consente di essere forti in tutta Europa. Il centro degli interessi dell’associazione di Zhang Naizhong è dunque questa cittadina toscana, trampolino per l’egemonia in Italia e in Europa.
Basta pensare che le estorsioni ai cinesi le fanno gli stessi connazionali e il taglieggiamento all’interno della comunità è estremamente diffuso.

Fino a pochi anni fa capitava che alcuni titolari di aziende di Prato che fanno capo agli asiatici (sono quasi cinquemila le imprese cinesi nella cittadina toscana) denunciassero alla polizia la richiesta di pizzo che ricevevano dai propri connazionali. Gli agenti, indagando, erano riusciti ad arrestare in flagranza di reato gli esattori. Dopo decine di arresti però i malavitosi cinesi hanno cambiato strategia: hanno capito che andare di persona a riscuotere il pizzo era diventato pericoloso e così si sono organizzati diversamente. Adesso imprenditori e commercianti ricevono direttamente dalla Cina la chiamata con la quale viene imposto il pizzo, con conseguente minaccia. Al telefono dicono: «Se non paghi ti bruciamo l’azienda». Bastano poche parole e la vittima capisce che non è uno scherzo, si convince subito. Per il pagamento viene dato un numero di conto bancario in Cina su cui vengono versate con un bonifico on line le somme estorte.

In questo modo il clan fa capire alle sue vittime che può sfuggire alle indagini italiane (inutile provare a far denuncia) ma fa comprendere anche l’ampiezza dell’organizzazione piramidale e legata dalla Cina all’Italia fino in Europa. Sono una cosa sola.

In qualche modo, si potrebbe paragonare alla ’ndrangheta: ciò che viene ordinato nel piccolo paesino della Locride, può essere eseguito anche in Australia o in Germania.
Basta quindi una telefonata dalla Cina in cui le vittime vengono minacciate in Italia e queste eseguono gli ordini, pagano ciò che gli viene richiesto, perché la comunità cinese riconosce la potenza criminale e internazionale del clan.

Ci sono intercettazioni sull’organizzazione di Zhang Naizhong in cui si ascoltano persone che chiamano dalla Cina e chiedono ai “colleghi “di Prato se sono stati loro a fare delle estorsioni ad alcuni commercianti amici di Padova. «Sì, sono i miei che hanno fatto l’estorsione», dicono a Prato; e dalla Cina ribattono: «Si potrebbe evitare?». Dalla Toscana rispondono: «Certo, se sono veri amici si può evitare». In Cina insomma sanno perfettamente che l’organizzazione a Prato è abbastanza forte da poter fare estorsioni anche a Padova.

L’alleanza strategica
Il braccio destro di Zhang Naizhong oggi è Lin Guochun detto Laolin, 51 anni, capo della malavita proveniente dalla regione del Fujian in Cina, che opera soprattutto nell’area pratese e fiorentina, ma il cui ruolo è riconosciuto da tutti i fujianesi in Europa.

In passato i due gruppi erano separati: quello di Zhang Naizhong e quello di Laolin. C’erano stati anche scontri e conflitti tra i due clan per il controllo del territorio a Prato. Ora questa guerra è stata superata: Zhang e Laolin sono alleati, anche se quest’ultimo ha dovuto accettare un ruolo subordinato, per garantire tranquillità al suo gruppo e mantenere un peso all’interno della criminalità.

Quando Zhang Naizhong ha avuto un problema a Parigi con i fujianesi Laolin è andato con lui all’incontro e di fronte a tutti lo ha chiamato “capo”, così legittimando il suo ruolo anche per i fujianesi in Francia.

Laolin si è poi trasferito in Cina, ma continua a fare il numero due del clan italiano attraverso il suo luogotenente Xue Bin detto Xiaoliao e viene periodicamente in Italia per mantenere i contatti diretti con Zhang Naizhong e i suoi uomini di fiducia.

I due capi hanno stretto un patto criminale che ha consentito al sodalizio di espandere sempre più la propria influenza e i propri guadagni.

Laolin, che già controllava i tradizionali settori delinquenziali in mano alla mafia sinica, grazie a Naizhong è entrato da protagonista nel redditizio settore del trasporto merci, mentre Zhang, in virtù dell’alleanza con Laolin, ha potuto contare su un’imponente schiera di affiliati particolarmente inclini alla violenza, temuti nel territorio pratese, ma anche in altre aree, che gli hanno consentito di accrescere la propria influenza ed il proprio incontrastato dominio nel settore trasporti e in altri ambiti criminali.

L’alleanza tra i due non si esaurisce al settore trasporti, ma passa anche da altri business illegali, tra i quali il controllo del gioco clandestino, e ogniqualvolta l’uno necessiti dell’assistenza dell’altro: come nel caso di alcune azioni intimidatorie e violente messe in atto dal braccio armato del sodalizio di origine fujianese a Prato, sollecitate da Naizhong o dai suoi uomini di fiducia che gravitano in Toscana.

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Questo patto tra i due, secondo gli investigatori, non è difficile da spiegare. Laolin era il capo di un’associazione criminale forte, temuta e rispettata a Prato, dove controllava bene il territorio ed era stata in grado di imporsi e affermarsi, anche con la forza, compresi gli omicidi. Numerose indagini lo hanno dimostrato nel tempo. Ma la sua forza non era tale da potersi confrontare con quella di Naizhong e quindi giocoforza ha voluto che tra i due si stringesse una necessaria alleanza dove, comunque, l’ultima parola spetta sempre a Naizhong.

È sembrato, in numerose sfumature dell’indagine, che Naizhong sia stato “imposto” a Laolin dalla Cina e che - e questo il capo dei fujianesi lo ha capito perfettamente - se fossero arrivati allo scontro, lui ne sarebbe uscito perdente. Da qui la ovvia decisione di allearsi, di proseguire insieme. Allo stesso tempo, però, Naizhong ha sempre riconosciuto a Laolin un ruolo speciale, quasi di suo pari, apprezzandone le doti criminali e le sue potenzialità di leader. Naizhong è il capo, ma Laolin ricopre una posizione del tutto privilegiata all’interno dell’organizzazione e questo ruolo gli è riconosciuto da Naizhong in più occasioni.

E di tutto ciò le vittime innocenti della comunità cinese ancora oggi ne sono a conoscenza. E obbediscono.

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