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Merito di un’opinione pubblica in Europa, ma non soltanto, che farà sentire la sua voce per almeno una settimana, dalla Valletta a Londra, da Bruxelles a Berlino, tra marce di protesta, veglie, mostre di fotografia e presentazione di libri. Alla presenza, tra gli italiani, di don Luigi Ciotti e del sindaco di Palermo Leoluca Orlando. In particolare, nella capitale belga, a onorare la memoria di una grande professionista ammazzata per tapparle la bocca, si incontreranno rappresentanti di Transparency International, il Comitato per la protezione dei giornalisti, la Federazione europea dei giornalisti, la Federazione internazionale dei giornalisti, l’Osservatorio per la protezione dei diritti umani e Reporter senza frontiere.
Domenica 6 ottobre è un giorno speciale, il giorno di uno scoop che apre la strada a nuove rivelazioni. “Times of Malta”, il giornale più antico del paese, lancia la notizia sul primo, di tre mandanti, nel mirino degli investigatori: un imprenditore facoltoso, insieme ad altri due, legati al sottobosco del gioco e del contrabbando, il marchio di fabbrica della criminalità organizzata che là agisce a due passi dalla Sicilia. Nessuna accusa ufficiale, nessun interrogatorio, solo indizi, che comunque rimandano all’attività di Daphne, morta a 53 anni, abituata a “scavare” da decenni.
Quella sera stessa Corinne Vella, sorella di Daphne, guarda la tv, curiosa di sapere se il servizio di “Times of Malta” verrà ripreso in qualche modo, perché ricco di altri dettagli: la trappola doveva scattare ai primi del 2017, poi il progetto era stato fermato, fino alla decisione finale presa in agosto. Ma in tv niente. Silenzio assoluto. Così lei si sfoga su Facebook: «Ecco che cosa ha fatto vedere ieri notte la televisione di Stato: il cane di Michelle Muscat; Michelle Muscat che si fa dei selfie alla Valletta; Michelle Muscat che fa un giro in motocicletta. Ecco invece l’informazione che mancava in tv: “Identificata, ma non arrestata, una persona chiave nella cospirazione per far fuori mia sorella”». Michelle Muscat è la moglie di Joseph Muscat, premier laburista dal 2013, anche lei, come alcuni ministri del governo del marito, toccata dalla penna di Dafne.
Michelle sarebbe stata la beneficiaria finale di una società offshore, Egrant, custodita nell’immenso archivio segreto dei Panama Papers, creato dallo studio legale Mossack Fonseca. I documenti che lo provano, sosteneva Caruana Galizia, sono nascosti nella Pilatus Bank, un istituto sorto proprio nel 2013 a Malta. Furibondo, il primo ministro incarica un magistrato di andare a fondo, giurando di dimettersi se si fosse trovato un collegamento tra lui stesso, Michelle e la Egrant.
Sono seguiti vari sequestri di carte in molti Stati, i maltesi erano anche riusciti a farsi dare dalla Germania una copia dei Panama Papers. Alla fine, non è successo niente: si è parlato di firme false e il caso è stato chiuso per mancanza di prove, con un giudizio severo sulla scarsa credibilità di Daphne Caruana Galizia e della sua fonte, un’impiegata russa della Pilatus, fuggita in Grecia dopo lo scandalo. Nove mesi dopo, questo magistrato, che doveva indagare sul suo presidente del consiglio, è stato promosso da quest’ultimo in una nuova posizione.
Che la Pilatus fosse un buco nero, lo conferma un’iniziativa della Commissione europea datata 23 ottobre 2017, sette giorni dopo l’autobomba di Bidnija. Da Bruxelles si chiede a Parigi, presso la sede della Eba (European banking authority) di indagare su alcune violazioni della legge europea.
Come mai l’organo di controllo maltese sui servizi finanziari, la Financial intelligence analyis unit (Fiau), non ha vigilato sulle falle della Pilatus Bank, soggetta alle norme antiriciclaggio e anti-terrorismo? Prendendosi una bacchettata per le sue mancanze.
Per far luce su tutti questi gravi fatti, dal 2017, si è mosso il Consiglio d’Europa, una organizzazione internazionale che, composta da 47 Stati membri, con sede a Strasburgo, promuove la democrazia e il rispetto dei diritti umani. Dopo un lungo lavoro, condotto soprattutto dall’olandese Pieter Omtzigt, responsabile del comitato affari legali e diritti umani, ne è scaturito un rapporto scioccante, reso pubblico il 26 giugno. Un pesante “j’accuse” contro Malta, per i ritardi nel «portare a processo i killer o a individuare chi ha ordinato la morte (di Daphne Caruana Galizia)», per l’inefficienza di «pesi e contrappesi che non hanno impedito lo scoppio di grossi scandali… mettendo in pericolo lo stato di diritto». È un’antologia lunghissima. “Passaporti d’oro” e “visti d’oro”, ceduti a cittadini russi, cinesi o del Medio Oriente per dare loro l’accesso all’Unione europea e a Schengen, un meccanismo in grado di generare 200 milioni di euro all’anno.
Ma è “l’affare Electrogas” l’esempio più importante della commistione tra politica e business. Come si legge nella relazione di Omtzigt, «un mese dopo aver vinto le elezioni del 2013, il nuovo governo laburista cerca sul mercato una società privata per la fornitura di gas naturale ed elettricità alla Enemata, controllata dallo Stato». Prevista anche la costruzione di una centrale elettrica alimentata a gas. Viene selezionata la Electrogas Malta, un consorzio del quale fa parte anche la Socar, società energetica statale dell’Azerbaijan. Sullo sfondo, un finanziamento alla stessa Electrogas con garanzie del governo maltese per 450 milioni di euro. Ma si scopre che il costo dell’energia prodotta dalla centrale è largamente fuori mercato, di almeno l’80 per cento. Un pasticcio dietro l’altro.
Supervisore dell’operazione, l’allora ministro dell’energia Konrad Mizzi, attualmente al Turismo. Poi si chiarisce il ruolo di due società offshore pescate dal bacino dei Panama Papers, su cui aveva fissato la sua attenzione Daphne Caruana Galizia. Due società dietro le quali si stagliano lo stesso Mizzi e Keith Schembri, capo dello staff del premier. E che avrebbero ricevuto «150 mila euro al mese, per un totale di 2 milioni di dollari, anche da una società di Dubai, la “17 Black”, posseduta dal finanziere Yorgen Fenech, director di Electrogas e titolare di una delle società del consorzio». Tutti negano, nessuna contestazione criminale viene elevata. Ci pensa il rapporto del Consiglio d’Europa a colpire duro: «Schembri e Mizzi sono compromessi in numerosi episodi di abuso d’ufficio, corruzione e riciclaggio di denaro. Si sono rifiutati di assumersi la responsabilità politica (dei loro atti, ndr) rassegnando le dimissioni. Essi continuano a godere della protezione del primo ministro Muscat». E quindi godono di impunità.
Un quadro raggelante. Una serie di preoccupazioni, indotte anche dai ritardi nella celebrazione del processo contro i tre, presunti, esecutori del killing, formalmente rinviati a giudizio soltanto lo scorso agosto. «Per questo», spiega all’Espresso Pieter Omtzigt, «abbiamo sollecitato Malta a istituire un’inchiesta pubblica indipendente, entro tre mesi». E proprio allo scadere del termine, il 20 settembre, Joseph Muscat ne ha nominato il board, formato da tre membri: il presidente Michael Mallia, ex giudice, e due commissari, Ian Refalo, già rettore della facoltà di Legge, e Anthony Abela Medici, perito giudiziario.
Subito irrompono le polemiche. Riserve vengono avanzate da Pieter Omtzigt: «Non soddisfa le nostre aspettative». Ma anche dalla famiglia Caruana Galizia. Ne è convinto Matthew, uno dei tre figli, giornalista, che aveva anche preso parte alla serie Panama Papers. Dice all’Espresso: «Refalo ha un conflitto di interessi e Abela Medici è un chimico, è “unfit”, inadatto, non ha le credenziali che lo qualificano per questo tipo di lavoro».
Refalo ha rappresentato come avvocato la Fiau. Inoltre, è stato anche il legale di un manager attaccato da Daphne nei suoi articoli. Abela Medici ha rapporti con il governo. Pertanto, pollice verso. Matthew sa che senza la sua “benedizione”, e quella degli altri suoi parenti, è difficile che il board possa funzionare. Ritiene che altri elementi possono essere rintracciati tra magistrati anziani o in pensione, magari provenienti da corti europee. Non teme sovrapposizioni con il processo vero e proprio che, tra l’altro, non si sa nemmeno quando comincerà. Per lui l’obiettivo di un’indagine pubblica indipendente, che durerà nove mesi, non è scovare chi ha organizzato l’assassinio della madre, ma accertare se lo Stato non è riuscito, intenzionalmente, o con negligenza, a prevenirlo.