Attualità
24 ottobre, 2019

Non solo Chiara Ferragni e Giulia De Lellis: ecco come si fabbrica un influencer

Giulia De Lellis
Giulia De Lellis

Accerchiate da blogger e star dei social, le case di moda rispondono creandosi talenti in proprio. E puntano sui micro-vip

Giulia De Lellis
L'ultima sugli influencer? Non è il primo posto fra i libri più letti d’Italia di “Le corna stanno bene su tutto” di Giulia De Lellis (4,3 milioni di seguaci su Instagram) e nemmeno il successo del documentario “Unposted”, dedicato alla vita e alle opere della papessa social Chiara Ferragni (17,5 milioni di follower su Instagram contro i 15 milioni di Donald Trump).

La novità è che le imprese della moda, del beauty, del lusso, dei viaggi, dei videogiochi stanno organizzando al loro interno i vivai dove allevare, mantenere e sviluppare i propri influencer senza - occhio alla terminologia - trasformarli necessariamente in “ambassador”, la figura che si identifica in un unico marchio o in un’unica azienda come per esempio Martina Luchena (672 mila follower Instagram) con Naj Oleari.

Per comprendere bene il valore della nascita della “cantera” social basta mettere sullo stesso piano partiti e aziende. L’ondata populista, alimentata dalle piattaforme digitali, sta sommergendo i consigli di amministrazione, luoghi sacri del capitalismo, come ha fatto con le segreterie politiche. Amministratori delegati e direttori marketing sono sempre più scavalcati da orde di sconosciuti sbucati da qualche talent show come “X Factor” o assurti alla fama con qualche comparsata tv da Maria De Filippi.

Un marchio internazionale come Dolce & Gabbana mostra con quale rapidità si stia diffondendo un senso di pericolo. La casa di moda nel 2017 ha organizzato la sua sfilata milanese mandando in passerella soltanto influencer, tutti millennial. Alla fashion week del settembre 2018, la tendenza è stata confermata con la presenza sulla catwalk di Cameron Dallas, numero due della classifica mondiale (oltre 20 milioni di follower su Instagram) insieme a mamma e sorella.

Pochi mesi dopo, alle sfilate invernali dello scorso febbraio, D&G ha chiuso le porte ai parvenu digitali ed è tornata all’antico, se non all’archeologia, cioè alla carta stampata. I video pubblicitari della maison, diffusi dai social e boicottati dalla Cina, evidentemente hanno lasciato un segno. E ad agosto un padre fondatore del made in Italy come Valentino Garavani ha emesso la sentenza definitiva, ovviamente via post: «Questo incredibile mercato del cattivo gusto si infiltra sempre più nel mondo dei giovani grazie a influencer che propongono scelte ridicole e sbagliate».

Non è lo sfogo di un uomo di 87 anni che non capisce più il mondo in cui vive. È che il vecchio detto anglosassone “se non puoi batterli, unisciti a loro” sta mostrando la corda di fronte allo tsunami digitale di star del web con un seguito nell’ordine delle decine di milioni. I persuasori non occulti faranno anche aumentare le vendite ma spesso si trasformano in rivali pericolosissimi con le loro collezioni di moda, come quelle di Ferragni, della cantante Rihanna (500 milioni di dollari di ricavi negli ultimi due anni), dell’ex modello Mariano Di Vaio, under 30 titolare di un’azienda con 22 dipendenti, e di Huda Cattan, la numero uno assoluta di Instagram (oltre 39 milioni di follower e 18 mila dollari di incassi per ogni post) che con la sua Hudabeauty ha un giro d’affari annuale arrivato a 200 milioni di dollari in un battito di piegaciglia.

È il mondo anticipato dallo psicologo Usa Robert Cialdini, docente alla University of Arizona e autore nel 1984 di un testo premonitore (“Influence: the psychology of persuasion”) che indica le sei armi della persuasione (reciprocità, impegno, prova sociale, simpatia, autorità, scarsità).

Come accade con gli endorsement pubblicitari delle grandi star del calcio, dominatori di Instagram su cifre precluse agli umani (Cristiano Ronaldo 186 milioni di follower, Leo Messi 132 milioni), resta vero che l’appoggio degli influencer assicura alle imprese l’aumento di giro d’affari. Ma già sui margini il discorso cambia. I pezzi grossi dei social per immagini, gli youtuber, i blogger, i vlogger (videoblogger) e gli stessi sportivi di fama mondiale pretendono sempre di più dalle aziende che promuovono, anche quando non diventano diretti concorrenti.

All’erosione tendenziale del profitto bisogna aggiungere i trucchi per gonfiare il seguito, dai quali l’azienda è costretta a difendersi con una vera e propria attività di intelligence digitale, e la diffusione delle agenzie che intermediano - non gratis - la vendita di influencer a pacchetti, proprio come fanno gli agenti delle star dello spettacolo o i procuratori dei calciatori.

«L’attività di detecting», dice Riccardo Scandellari, consulente di social marketing e autore di libri sulla promozione dei marchi via web, «è alla portata soltanto dei grandi gruppi. Le imprese medio-piccole non hanno i mezzi. Sulla stima del seguito, per Instagram servono numeri altissimi. Con con blog e Youtube si può essere su livelli più bassi. Ma oggi molte imprese preferiscono investire 20 mila euro su dieci piccoli influencer sfruttando le nicchie di mercato».

Così intorno alle balene dei social stanno prosperando i nano e i microinfluencer con eserciti di fan da mille a centomila. Quelle che una volta erano chiamate con un certo disprezzo le “blogger dei campioncini” perché si accontentavano di ricevere una scatola di prodotti gratis a casa o di scroccare l’invito a una presentazione con apericena, stanno tornando in voga. Non solo costano poco ma sono più controllabili.

«Noi seguiamo da vicino chi ci manda proposte anche con qualche migliaio di follower», dice un direttore marketing di una grande azienda di beauty che chiede di non essere citato. «Se conviene alle nostre linee di prodotto, prima li compensiamo “in natura” e poi facciamo firmare un contratto fino a mille euro a post purché seguano con disciplina le nostre regole di ingaggio. Non di rado li usiamo per fare pubblicità negativa alla concorrenza cioè una cosa che nessuna azienda farebbe esplicitamente».

La metrica, ossia i sistemi a disposizione delle aziende per valutare il peso reale degli influencer, non è ancora riuscita a eliminare i margini di incertezza. La piattaforma di gestione dei social media Hootsuite, una delle principali e delle più antiche (2008) in un mondo che consuma in fretta, elenca non meno di sei sistemi per stimare il cosiddetto engagement rate, il coefficiente di coinvolgimento che valorizza parametri come il numero di follower, gli utenti mensili, gli upload (caricamenti di foto, video o post), le visualizzazioni, i like e i commenti.

Maggiori sono i numeri assoluti, minori sono i tassi di engagement. Così secondo le stime di Socialblade, Ferragni ha un engagement rate del 2,27 per cento contro il 6,22 per cento della cornificata De Lellis, che però ha un quarto circa di seguaci, nonostante l’impennata a ridosso dell’uscita del suo libro con 28771 nuovi adepti Instagram tra il 21 e il 23 settembre.

Per districarsi senza troppe fregature nel nuovo mondo, le imprese ricorrono sempre più spesso a società specializzate. In Italia, le principali sono tre. La napoletana Buzzoole (pronunciare basùl) è stata fondata sei anni fa da Fabrizio Perrone e nel 2019 si è classificata prima fra 350 imprese leader della crescita secondo la classifica dal Sole 24 ore. Buzzoole, che ha un accordo con l’agenzia media Nielsen, specializzata in rilevazioni di mercato, punta sui microinfluencer, ha 70 dipendenti, 850 clienti e ha aperto sedi a Londra e New York.

Nello stesso anno di Buzzoole, il 2013, Luca Casadei ha fondato Web Stars agency (14 milioni di follower Instagram, 3 milioni su Fb e 50 dipendenti), lanciando i video del comico Frank Matano e puntando oggi sui target kid, teen e millennials, come si chiamano in managerese. Completa il trio la Newco management di Francesco Facchinetti, ex dj Francesco trasformato in uomo d’affari e consulente online di fronte a una marea che sembra non avere confini. Nessun settore produttivo e nessuna fascia d’età è risparmiata dall’invasione del marketing social-digitale. Gli influencer cacciati dalle sfilate milanesi hanno trovato posto sul tappeto rosso dell’ultimo Festival del cinema di Venezia, città di gondole ma anche di grandi crociere come quelle che vengono recensite nel sito dell’influencer iperspecializzata Daniela Pisano (crazycruises.it).

Fa parte del mestiere qualche incidente diplomatico, come quello dell’ex di “Uomini e donne” Valentina Pivati, rifiutata da un ristorante di Mazara del Vallo dove voleva barattare crudité di pesce contro pubblicità. Ma nell’insieme la macchina pare inarrestabile.

Nell’editoria il caso De Lellis rischia di fare passare in second’ordine che un altro titolo finito fra i primi dieci in questo autunno è il romanzo “Come stai?”, pubblicato da Rizzoli e scritto o comunque firmato da Valeria Vedovatti, nata a Lugano nel 2003 con circa 600 mila follower Instagram e un suo canale su Youtube «per condividere le sue giornate e strappare un sorriso», come si legge nella sua biografia online.

La sedicenne autrice passerebbe per anziano rudere nei circuiti dedicati alla fascia 2-14 anni dove il fascino della nuova professione è in crescita esponenziale. Secondo una ricerca condotta dall’University college London (Ucl) su 13 mila bambini del Regno Unito nell’età 7-11 anni, il mestiere di “social networker” si piazza al quarto posto fra i più desiderati.

A livello internazionale EvanTubeHd raccoglie 10 milioni di followers aggregati tra il canale Youtube, Facebook, Twitter e Instagram. Fa ancora meglio Ryan Toys review (17 milioni) ispirato da un pargolo di otto anni che, a imitazione degli adulti, ha lanciato una linea di giocattoli con il suo marchio. Nella moda spiccano Millie Belle Diamond e Fashion Laerta, circuiti intestati a due bambine di quattro e sei anni rispettivamente.

In Italia guidano la classifica Ameli Tvit (2 milioni di iscritti ai canali della vlogger di sei anni) e Canale Nikita, il cui primattore ha nove anni. Essendo il nostro un paese saldamente dinastico, sta già crescendo nel contatore di seguaci Leone Lucia Ferragni, 18 mesi ben portati, primogenito del rapper Fedez (Federico Lucia) e dell’influencer bionda neodocente per l’università online eCampus. Nathan Leone Di Vaio, tre anni il prossimo novembre, ha oltre 200 mila follower Instagram contro i circa 60 mila del fratellino Leonardo Liam (un anno). Gestiscono tutto i genitori, ovviamente, ma non è mai troppo presto per imparare un mestiere.

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