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Attualità
giugno, 2019

Boxe in sacrestia, la sfida di don Antonio nel Rione Sanità

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La basilica di uno dei quartieri più difficili di Napoli trasformata in palestra di pugilato e frequentata da una cinquantina di ragazzi della zona. Il parroco Loffredo punta sullo sport per combattere il degrado e la criminalità organizzata

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Si muove veloce sulle gambe e sferra un pugno dritto al sacco azzurro Nazar, un ragazzone biondo alto quasi un metro e novanta. Sotto lo sguardo della Madonna, raffigurata in un dipinto, e al cospetto di don Antonio Loffredo, il prete che sta facendo la rivoluzione nel suo quartiere, il Rione Sanità, con le armi della cultura, dell’arte e dello sport. Infatti, dopo aver lanciato una serie di attività per i ragazzi della zona - musica, teatro, danza, pittura - adesso il parroco sessantenne punta sulla boxe per combattere il degrado. Con lo spirito di sempre: lanciare il cuore oltre l’ostacolo nonostante l’assenza delle istituzioni e la diffidenza di parte della sua gente.

Sembrava impossibile, eppure è già un successo: invece di trascorrere i pomeriggi al muretto o sul motorino, cinquanta ragazzini del quartiere ai piedi della collina di Capodimonte, uno dei più densamente popolati e difficili di Napoli, indossano i guantoni e si allenano gratuitamente nella sacrestia della seicentesca Basilica di Santa Maria della Sanità, la chiesa più importante del rione, quella con la cupola coperta di maioliche gialle e verdi, trasformata in palestra e all’occorrenza in ring. Un colpo d’occhio notevole, tanto che a qualcuno queste scazzottate (seppur sportive) in mezzo a statue, affreschi e arredi sacri potrebbero sembrare una profanazione. «Me l’hanno chiesto i ragazzi, sono richieste che vengono dal basso a cui il parroco risponde», replica senza scomporsi don Antonio in abito talare, mentre maestri e adolescenti si fronteggiano, spinti da motivazioni diverse.
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Tra i tanti c’è Carlo, adolescente agile e mingherlino, che si diverte come un matto e sogna di fare il pugile per mestiere. Poi c’è Nazar, 21 anni, che ha cominciato a boxare da ragazzino per farsi rispettare. Arrivato in città a nove anni dall’Ucraina insieme ai genitori senza sapere una parola d’italiano - figuriamoci di slang napoletano - ha affrontato subito la strada e le sue insidie. «Un giorno sette ragazzi più grandi mi hanno fermato e circondato, volevano mettermi le mani addosso. Ho capito che dovevo fare qualcosa, reagire», dice Nazar in una delle sue giornate fitte: studia Economia all’università Federico II, fa il volontario in un’associazione, lavora come cameriere part time e, quando lo chiamano, come fotomodello. Ma non rinuncia alla sua passione. «Mi impegno al massimo, sono felice. Se capiterà di passare al professionismo non mi tirerò indietro», dice entusiasta.

Piove a dirotto fuori dalla basilica, che da queste parti chiamano chiesa di San Vincenzo ’O Munacone perché custodisce la famosa statua del monaco domenicano spagnolo San Vincenzo Ferreri, venerato per aver protetto la città dall’ennesima epidemia di colera nell’Ottocento. Un gruppo di adolescenti, ragazze e ragazzi, si mette al riparo tra gli schiamazzi sotto il ponte che taglia la Sanità, un pilone del quale cade proprio nel chiostro ellittico della basilica, deturpandolo.
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Gli scooter sfrecciano, slittano sul selciato bagnato, si sfiorano, in sella i ragazzi si assomigliano: vestiti di nero, la barba lunga e scura in stile talebano come Emanuele Sibillo, il boss della cosiddetta “paranza dei bambini” di Forcella, ucciso nel 2015 a 19 anni nella guerra di camorra per il controllo di parte del centro storico.

Negli ultimi tempi, tuttavia, nel quartiere qualcosa è cambiato. Nei vicoli e nelle piazze sempre più spesso si incrociano i turisti, soprattutto francesi, seduti in pizzeria o in giro a sbirciare cortili e palazzi. A febbraio i carabinieri del comando provinciale hanno arrestato una trentina di persone ritenute affiliate al clan camorristico Sequino, che si contende il predominio sugli affari illeciti con i Vastarella anche attraverso le “stese”, raid a colpi di pistola che lasciano a terra morti e feriti. Inoltre, è nata un’associazione in nome di Genny Cesarano, 17enne vittima innocente di camorra, che riunisce professori, sportivi, cittadini.

Un impegno riaffermato anche da don Luigi Ciotti, presidente di Libera, che qualche tempo fa ha fatto visita al quartiere. A maggio, inoltre, sono arrivati il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il capo della polizia, Franco Gabrielli, a Napoli per “gli incontri di Paolo Mieli” con personaggi che hanno avuto successo puntando su impegno e lavoro, ideati e organizzati dal gruppo di comunicazione Hdrà. Il capo della polizia ha incontrato i ragazzi e gli istruttori di pugilato, Donato Cosenza e Vincenzo Picardi, medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Pechino del 2008, formulando ai tecnici una precisa richiesta: allenare un campione del Rione Sanità che possa partecipare ai Giochi di Parigi del 2024. Gabrielli è stato accolto con entusiasmo, ha assistito a un’esibizione sul ring, ha sostenuto il progetto voluto dal questore di Napoli, Antonio De Iesu, e da Luca Piscopo, direttore tecnico delle Fiamme Oro, il gruppo sportivo della polizia di Stato.
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La palestra di pugilato per la prima volta ha messo insieme Stato, Chiesa, Comune, Circoscrizione e Polizia per un obiettivo comune: creare un’alternativa alla strada, alla violenza e al bullismo in un quartiere ad alta concentrazione criminale e dispersione scolastica. «Vengo da Casoria, conosco bene le difficoltà dei territori come questo. La nostra iniziativa ha ricevuto una bella accoglienza, molti ragazzi non hanno i soldi per pagarsi la palestra. Purtroppo non riusciamo ad accogliere tutti», dice Picardi, snello e brevilineo, circondato da allievi e genitori in una pausa degli allenamenti. Ad esempio Giuseppe Pirro, 39 anni, è il papà del piccolo Alberto. Cresciuto nella zona, qualche reato alle spalle, sei mesi di carcere a Santa Maria Capua Vetere. «Ho spacciato, è vero, ma ’o sistema (la camorra, ndr) non mi è mai piaciuto. Qui ho trovato una famiglia, vorrei che andasse avanti per sempre. E ai maestri dico: “Se mio figlio sbaglia, “alluccatelo” (sgridatelo, ndr)», sottolinea davanti al bambino.

A coinvolgere i giovani abitanti ci pensano operatori di prossimità come Davide Marotta, che dopo un passato turbolento oggi è in prima linea nella dura battaglia per la legalità e per il riscatto del quartiere. «Abbiamo parlato con i ragazzi, alcuni non volevano fare né teatro né musica, chiedevano la boxe. All’inizio ero scettico e invece ha funzionato», dice Marotta: «È una cosa inaspettata per due motivi: anzitutto gli allenamenti si svolgono in chiesa, che normalmente è un posto per pregare. E poi i maestri sono poliziotti delle Fiamme Oro. Le famiglie hanno scoperto che sotto la divisa ci sono persone, non il nemico».
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Lo sport è l’ultimo tassello del mosaico realizzato in tanti anni da don Antonio Loffredo. Un lavoro certosino, una tessitura complessa tra associazioni, fondazioni, parrocchie, famiglie, da cui nel 2014 è nata la Fondazione di comunità San Gennaro onlus, promotrice di tutti i progetti in campo sociale e culturale. Non lontano dalla Basilica di Santa Maria della Sanità ha preso vita nel 2008 il progetto Sanitansamble, ispirato a “El Sistema” del maestro venezuelano José Antonio Abreu, che oggi coinvolge oltre 100 giovani, bambini e adolescenti, oltre a un team di 14 maestri guidati da Paolo Acunzo. All’inizio l’orchestra contava 28 bambini fra gli 8 e i 14 anni, poi le orchestre sono diventate due: quella junior e l’Orchestra giovanile regionale (15-26 anni), che ha varcato i confini del rione per accogliere ragazzi di altre zone di Napoli e di altre città della Campania.

Dal prossimo anno l’esperienza dell’orchestra Sanitansamble verrà replicata nel vicino quartiere di Forcella. «C’è un filo rosso che unisce tutte le nostre attività, musica, teatro, danza, pittura, e anche lo sport: vincere il degrado con le armi della cultura e della bellezza», prosegue don Antonio: «Secondo un vecchio cliché i figli dei camorristi sono geneticamente destinati a diventare camorristi. È una bugia. Anche chi fa parte del sistema per i propri figli vuole una vita migliore. E allora, quando ce li affidano per il catechismo, per la musica o per la boxe, dobbiamo approfittarne, puntare sulle nuove generazioni per cambiare le cose».

Un piccolo miracolo senza aiuti da parte dello Stato e delle istituzioni, realizzato da uno sparuto esercito pacifico e silenzioso costretto a sfidare la burocrazia, anche quella ecclesiastica. «Quando si scrive una pagina nuova c’è sempre qualcuno che si oppone e vuole mantenere le cose come stanno. Chi ha un ruolo di responsabilità si ferma, non firma un documento per non essere chiamato a risponderne in futuro, non accade solo a Napoli», aggiunge il parroco. E allora che fare, bisogna infrangere la legge? «Non era scontato fare la boxe in chiesa. Non è una palestra, non ci sono docce, avrei dovuto chiedere il permesso al vescovo e anche al ministero dell’Interno, proprietario della basilica. A Matteo Salvini insomma. Invece ho deciso di fare subito, di non aspettare perché esiste un’altra regola, altrettanto importante: l’uomo viene prima di tutto. Così come ha fatto il cardinale polacco che ha riattaccato l’elettricità nel palazzo occupato a Roma», prosegue il sacerdote.
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A volte i luoghi di culto possono essere destinati, anche temporaneamente o in parte, a scopi diversi. Una palestra, una sala per le prove d’orchestra, un teatro. Don Antonio è in sintonia con papa Francesco, che qualche mese fa, in occasione di un convegno, scrisse in un messaggio che i beni culturali della Chiesa «non hanno un valore assoluto, ma in caso di necessità devono servire al maggior bene dell’essere umano e specialmente al servizio dei poveri». Inoltre, il Pontefice ha sottolineato che, dal momento che molte chiese un tempo necessarie oggi non lo sono più, per mancanza di fedeli e di clero, occorre ripensare questi spazi senza ansia, adattarli a esigenze nuove. Una spinta ulteriore all’azione del prete napoletano.

«Don Antonio si è sostituito allo Stato, è fin troppo concreto in una città che di concreto ha ben poco», ragiona Carlo Geltrude, 28 anni, che da adolescente ha frequentato le attività del quartiere, diventando poi attore teatrale (ha recitato in “La paranza dei bambini” di Roberto Saviano e Mario Gelardi, in tournée in tutta Italia) e regista del Nuovo Teatro Sanità, diretto da Gelardi e riconosciuto dal MiBac per la formazione di nuovi drammaturghi.

Nella chiesa settecentesca dell’Immacolata e San Vincenzo, trasformata in palcoscenico per spettacoli e corsi teatrali, incontriamo Geltrude e gli attori della compagnia, che di recente ha messo in scena “Tur de Vasc”, spettacolo itinerante nel ventre del quartiere dove nacque Totò e nelle case dei suoi abitanti, sponsorizzato dalla rete commercianti della Fondazione Comunità di San Gennaro. «Siamo un clan di bravi ragazzi», scherza Geltrude, poi si fa serio: «Don Antonio è stato il nostro Masaniello, si è messo a fare da ponte tra noi e la burocrazia. Insieme abbiamo fatto tanto, molti di noi in passato hanno fatto errori e forse oggi siamo salvi, ma nel Rione Sanità devi scegliere ogni giorno da che parte stare».

I ragazzi della cooperativa “La paranza”, tutti della zona, la loro scelta l’hanno compiuta tredici anni fa, per creare lavoro attraverso la valorizzazione del patrimonio storico-artistico del rione, il cosiddetto “miglio sacro” punteggiato di basiliche, chiese, palazzi e il Cimitero delle Fontanelle, affascinante e terribile, un grande ossario ospitato in una cava di tufo. All’inizio erano cinque volontari, oggi sono 13 soci, 25 dipendenti e tanti volontari, che si occupano principalmente della gestione delle Catacombe di San Gennaro e di San Gaudioso, nel sottosuolo della Basilica di Santa Maria della Sanità.

Dopo decenni di declino, a partire dal 2009 i ragazzi della cooperativa hanno reso il sistema più efficiente e portato turisti: oltre 130 mila nel 2018 (nel 2006 erano appena 10 mila), con un bel più 15 per cento nei primi mesi di quest’anno. Insieme a uno dei giovani soci, Antonio Della Corte, visitiamo le Catacombe di San Gennaro, la meravigliosa città sotterranea scavata nella collina di Capodimonte dove tra il 413 e il 431 dopo Cristo furono traslate le reliquie di San Gennaro. «Tutte le nostre attività, il teatro, la musica, le visite alle catacombe, per quanto importanti in sé, sono orientate al recupero e alla valorizzazione delle persone. È questo il nostro obiettivo primario», spiega Della Corte.

Don Antonio annuisce: dopo tanti anni di impegno senza aiuti da parte delle istituzioni adesso guarda con fiducia all’intervento annunciato dal governo per la riqualificazione del centro storico di Napoli: 90 milioni, quasi la metà dei quali verranno impiegati tra Capodimonte e Rione Sanità. «Per tanto tempo abbiamo fatto da soli, ora finalmente lo Stato ci ha raggiunto. Per il momento è un annuncio, ma siamo fiduciosi e controlleremo che i soldi vengano spesi bene», conclude il parroco allargando le braccia.

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