Il suo assassinio rivelò cosa stava accadendo ai nuovi schiavi. Ma dal 1989 a oggi la segregazione reale, sul lavoro e nella vita quotidiana, è perfino peggiorata

Jerry Masslo
Non voglio vivere in Italia le stesse cose che ho vissuto nel mio Paese. Queste parole furono pronunciate da Jerry Essan Masslo durante un’intervista televisiva. Jerry Masslo era un rifugiato politico sudafricano arrivato in Italia nel 1988 fuggendo dall’apparato repressivo del sistema di apartheid che vigeva in quegli anni nel suo Paese. La parola “apartheid” - che deriva dal vocabolo francese “à part” ossia “a parte” - significa “separazione” nella lingua degli Afrikaners o Afrikanders, ovvero discendenti dei coloni bianchi arrivati in Sudafrica nel corso dei secoli. Gli Afrikaners sono principalmente di origine olandese, francese, tedesca o scandinava e parlano l’afrikaans, una lingua che deriva dall’olandese del XVII secolo.

L’apartheid - ossia la dominazione della minoranza bianca sul resto della popolazione - fu ufficialmente instaurato in Sudafrica nel 1948 - ovvero 10 anni dopo l’entrata in vigore delle leggi razziste (pardon razziali!) in Italia - da Daniel Malan, primo ministro del Sudafrica dal 1948 al 1954. Questo sistema dell’apartheid fu un apparato di discriminazione razzista e di dominazione politico-economica che consisteva nel classificare la popolazione in quattro categorie distinte (bianchi, neri, indiani e meticci) attraverso leggi e regolamenti destinati a sottomettere socialmente, politicamente, economicamente e culturalmente la parte della popolazione ritenuta di razza inferiore rispetto a quella bianca.

L’apartheid fu un impianto crudele che costrinse la maggior parte della popolazione a vivere in condizioni atroci caratterizzate da confinamento socio-spaziale e residenziale, disuguaglianze, disumanità e privazione delle libertà. La necessità di un cambiamento per una società libera attraverso la lotta anti apartheid è sintetizzata nelle parole pronunciate da Nelson Mandela al Processo di Rivonia, nell’ottobre 1963, al termine del quale fu condannato, nel giugno 1964, a scontare l’ergastolo nella prigione di Robben Island: «Ho combattuto contro la dominazione dei bianchi e contro la dominazione dei neri. Ho amato l’ideale di una società libera e democratica in cui tutti i popoli vivano in armonia e con pari opportunità. È un ideale che spero di difendere per il resto della mia vita. Ma se necessario, è un ideale per il quale sono disposto a morire».

Jerry Masslo, avendo vissuto il calvario dell’apartheid, desiderava vivere i benefici della libertà che una democrazia compiuta e uno Stato di diritto garantiscono. Purtroppo, Jerry conoscerà in Italia, nel cuore pulsante dell’Europa democratica, solamente la precarietà. Da un lato vivrà una precarietà lavorativa, considerato che era esposto a forme disumane di sfruttamento lavorativo spoglie di tutele sul piano salariale e sindacale, e dall’altro lato una precarietà esistenziale, visto che il vuoto normativo in materia di asilo (nonostante quanto previsto e garantito dall’articolo 10 della Costituzione) lo ha costretto a vivere in uno stato di invisibilità che lo ha esposto ad una vulnerabilità e una ghettizzazione sociale.

Aboubakar Soumahoro

Questa duplice precarietà lo ha inoltre confinato nelle campagne di Villa Literno, nel casertano, dove lavorava come bracciante nella filiera agricola. Sarà in quelle terre che Jerry Masslo morirà il 25 agosto 1989, a soli 30 anni, durante una rapina organizzata da quattro giovani nel tentativo di derubare lui e i suoi compagni delle loro misere paghe. A distanza di 30 anni, la prematura e tragica morte di Jerry Essan Masslo dovrebbe far riflettere su alcune dinamiche sociali che continuano a creare metastasi in diversi processi fondamentali della nostra comunità umana. La tematica dei giovani, il tema della tutela dei rifugiati da parte dello Stato e la problematica legata al contrasto allo sfruttamento lavorativo sono alcune questioni che la vicenda drammatica di Jerry Masslo invita ad analizzare in un’ottica di un rinnovato impegno socio-politico e sindacale.

Relativamente alla tematica dei giovani, è palese che nelle odierne società le nuove generazioni sono purtroppo esposte a diversi predatori che volteggiano nelle varie articolazioni della vita reale e dell’esistenza virtuale (che continua a essere un luogo di rifugio dove le relazioni sociali sono divenute ormai associali) alla ricerca di facili prede da artigliare. A questo riguardo, la classe dirigente dovrebbe delineare delle politiche volte a tutelare la gioventù consentendola di vivere una giovinezza caratterizzata dalla bramosia del sapere, dall’audacia del sogno, dalla saldezza della speranza e dalla pienezza della vita in ottica della ricerca della felicita. Abdicare a questo nobile e doveroso compito consegnerebbe i giovani nelle braccia di una vita incentrata sulla schizofrenia di un passato che scinde la persona reale dal personaggio virtuale narcisistico, sulla bulimia del presente che fagocita l’esistenza in un’impetuosa centrifuga del presentismo e sull’anoressia del futuro inabile ad una progettualità.

Circa il tema della tutela dei rifugiati da parte dello Stato - che siano essi politici, climatici o economici - è abbastanza ovvio che l’assenza di norme organiche sul diritto di asilo costringe le persone in uno stato di invisibilità legalizzata e di precarietà sociale. Inoltre, la mancanza di politiche efficienti di integrazione e di percorsi efficaci di accompagnamento, finalizzati ad un inserimento socio-lavorativo, rilega quest’ultimi ai margini della società esponendoli alla criminalità. In questi ultimi anni, i vari governi che si sono susseguiti hanno legiferato delle norme razzializzanti, istituzionalizzando di fatto l’invisibilità e la precarietà sociale. Purtroppo, le ultime leggi adottate hanno permesso alla cultura di deriva segregazionista di permeare il tessuto legislativo sdoganando nel contempo nelle nostre odierne società varie declinazioni di razzismo. Tuttavia, le conseguenze di questa politica non risparmieranno nessuno tra autoctoni ed allogeni soprattutto sul piano dei diritti sociali, che rischiano di diventare dei privilegi.

Riguardo la problematica legata al contrasto allo sfruttamento lavorativo, è da notare che gli ultimi impianti legislativi segnano la vita sociale e lavorativa di milioni di persone trasformate in categoria speciale, rispetto al resto della popolazione. Questa categoria speciale, che generalmente si rifà agli allogeni, è soggetta a leggi particolari che sono nella sostanza interventi sul mercato del lavoro, sulla previdenza e sulle politiche sociali. Oggi, milioni di persone sono vittime di queste norme che li spogliano della dimensione di lavoratori e lavoratrici negandogli così la possibilità di vedersi riconosciuti i diritti sindacali, salariali, abitativi, previdenziali e di sicurezza sul lavoro. L’insieme delle privazioni in termini di diritti e dignità inflitti a questo segmento di lavoratori sono destinati a coinvolgere inesorabilmente il resto della popolazione in ambito sia sociale sia lavorativo. A questo riguardo, la necessità di devulnerabilizzare i vulnerabili e di articolare ciò che è stato disarticolato in una prospettiva di ricomposizione, andando oltre la provenienza geografica e il colore della pelle, va ricercata partendo dalle persone in quanto esseri umani. Quindi considerare il lavoro non solo dal punto di vista quantitativo ma qualitativo - per un uguale lavoro uguale salario.

Perciò onorare la memoria di Jerry Essan Masslo non è celebrare ritualmente la ricorrenza della sua morte ma significa indagare e risolvere in modo definitivo quei fattori sociali ancora attuali e che hanno concorso a determinare la sua morte. A questo riguardo, diventa impellente promuovere una visione umana di società capace di incarnare le aspirazioni, i sogni e i desideri delle persone, soprattutto in questo contesto di smarrimento di valori culturali radicati nell’umanità.

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