«È ora di de-stigmatizzare l'aborto: diciamo addio alla retorica del dramma»
«L’interruzione di gravidanza è un tabù e sentiamo la volontà di renderla più pop». Così un blog ha raccolto testimonianze, anche positive, sulle Ivg. Una delle fondatrici ce lo racconta, tra progetti e battaglie sui diritti delle donne
Ho abortito e sto benissimo. Sembra un paradosso, ma è il nome della piattaforma che Federica Di Martino, psicologa, gestisce da due anni. Alle sue spalle una storia di attivismo, femminismo e militanza politica che riguarda salute riproduttiva, contraccezione e tutto ciò che ruota intorno a questi temi. Si ispira a “Ivg: je vais bien, merci”, lo spazio francese che da anni raccoglie storie e testimonianze di aborti. Insieme a Elisabetta Canitano, ginecologa e presidente dell’associazione Vita di donna Onlus di Roma, decidono di lanciare un format simile con l’idea di de-stigmatizzare l’aborto vissuto come dramma. Da qui il provocatorio “Ivg, ho abortito e sto benissimo”.
Come si è evoluta la piattaforma?
«All’inizio raccoglievamo le storie di Ivg che ci arrivavano via mail o tramite Facebook. Abbiamo pensato di restituire l’aborto alle donne, quando spesso erano gli uomini a parlarne. Le 150 esperienze raccolte erano anche accompagnate da dubbi e domande su consultori, ospedali, farmacie. Perché nonostante l’aborto sia regolato da una legge di Stato - comunque limitata -, quello che manca è un nucleo informativo serio e chiaro che permetta di capire come e dove muoversi. Spesso questa funzione manca anche all’interno dei consultori. “Quanto si paga la pillola?” è una delle domande più frequenti. Non sanno che è un servizio gratuito offerto dalla sanità pubblica».
Da queste carenze nasce la campagna “Insieme stiamo bene”.
«Sì, è un progetto di auto mutuo aiuto che va avanti circa da un anno e mezzo. Raccogliamo adesioni di persone - non solo donne, c’è stato anche un uomo -, che si rendono disponibili per aiutarne altre in difficoltà, o semplicemente fornire loro informazioni. Abbiamo creato una vera e propria rete solidale».
Durante il Coronavirus com’è andata?
«Se in Italia già di norma è difficile abortire, figuriamoci con una pandemia. Con Obiezione Respinta abbiamo creato un canale Telegram proprio per gestire più da vicino la situazione. Scoprendo, per esempio, che in alcune zone di Milano il servizio farmacologico era stato sospeso. Per quanto sia il sistema più semplice, è anche il primo ad essere messo da parte in caso di emergenza sanitaria».
C’è qualche storia, tra quelle ricevute, che ti ha particolarmente colpito?
«Ci ha contattate una ragazza minorenne, vittima di tratta, che aveva già effettuato tre aborti e doveva fare il quarto, l’unico volontario. Le sue visite venivano costantemente rimandate, le dicevano che il battito non si avvertiva solo per far sì che andasse avanti con i tempi. Tanto che poi è arrivata a dover fare un aborto chirurgico quando era perfettamente nei tempi per il farmacologico. L’idea diffusa è che la donna non si meriti questa “scorciatoia”».
Credi che queste pratiche siano concentrate in determinate zone d’Italia?
«In Campania, Calabria e Sicilia. Ricordo una ragazza di 24 anni, siciliana appunto, che aveva 4 figli e voleva abortire il quinto: non aveva mai utilizzato un contraccettivo in vita sua. Spesso al Sud ci sono meno risorse per accedere all’educazione sessuale o alla contraccezione gratuita. Molte ragazze devono cambiare regione o affrontano viaggi di ore per trovare un ospedale in cui effettuare un’interruzione di gravidanza».
Il vostro blog è diverso dai forum che trattano queste tematiche: è colorato, divertente, ironico. Non rischia di banalizzarle?
«Ci hanno accusato di trattare l’aborto come un’esperienza leggera, di appiattirlo, ma è sempre stata la narrazione drammatica a farlo. Non molto tempo fa in Italia si parlava di Ivg e di 194, ma se scrivevi aborto su Google uscivano solo siti pro-life. Uno dei nostri mandati - e qui ci siamo ispirati alla pagina americana “Shout your abortion”-, è stato renderlo un po’ più pop. In Usa hanno prodotto rossetti e magliette con la scritta “abortion is normal”. Anche Gucci ha dedicato una sfilata alla legge del 1978. Noi abbiamo inserito meme ironici e irridenti nel sito. Piccoli passi per normalizzare la pratica».
Quanto conta l’uso di una narrazione corretta quando si parla di Ivg?
«Moltissimo. Parlare di pro-life - e non di antiabortisti come andrebbe fatto - dà l’idea che chi sostiene l’aborto sia un anti-life. La donna incinta che decide di ricorrere all’Ivg viene definita fin da subito madre. E il cimitero dei feti? Molti lo chiamano “dei bambini mai nati” o “degli angeli”. In questo modo la pratica diventa omicidiaria. A Pescara piantano addirittura un albero per ogni feto abortito, spingendo sulla dicotomia tra morte e vita nascente. Destrutturare questo tipo di narrativa ci permette di riappropriarci anche di un linguaggio nuovo. Oggi c’è più consapevolezza dei propri diritti perché sono più numerosi i luoghi di confronto. C’è più spazio rivendicativo per le nuove generazioni, che invece è mancato alle donne che oggi sono adulte».
Cosa dovrebbero rivendicare queste nuove generazioni?
«La possibilità di abortire a casa tramite telemedicina, di estendere anche al personale sanitario - ostetriche e infermieri - la facoltà di eseguire la pratica, cosa che in Svezia funziona nel 96% dei casi. E soprattutto la pubblicazione annuale dei nomi degli obiettori. I report del Ministero della Salute mostrano che la percentuale è altissima, eppure il servizio viene garantito. Ma è davvero così? Quelle che sembrano piccole vittorie - come la possibilità di assumere la Ru486 senza ricovero - si rivelano dei palliativi sociali. Come lo è la stessa 194, che va riformata. Chi la tutela e poi non tollera gli obiettori di coscienza negli ospedali non ha capito che è proprio la 194 a permettergli di rimanere dove sono. Di solito sono proprio loro, gli obiettori, i più esperti di Ivg e i più disponibili a dare informazioni a riguardo. Forse è la dimostrazione che per fare carriera devi essere obiettore di coscienza. D’altronde il nostro è il Paese dei grandi paradossi, con una legge che ormai non serve più a niente. Io non la difendo più, preferisco difendere le donne.