Diminuiscono le interruzioni di gravidanza, ma non gli obiettori di coscienza. E troppo spesso abortire diventa una tortura. Così apriamo questo spazio per raccogliere le vostre testimonianze, per far sì che ogni storia diventi quella di tutte le donne

Non tutte le storie hanno bisogno di un nome. Non tutte hanno bisogno di un volto. Una inizia il 22 febbraio 2020 e l'abbiamo raccontata su L'Espresso. Una voce che non appartiene a una sola donna, ma a tutte quelle che troppo spesso subiscono in silenzio un sistema che ostacola un loro diritto: l’interruzione di gravidanza.

Per questo L’Espresso lancia l’hashtag #innomeditutte e mette a disposizione uno spazio in cui condividere anonimamente la propria esperienza. Spesso fatta di solitudine, vergogna, umiliazioni. Perché è giusto raccontare, in uno spazio sicuro e anonimo, ciò che accade a molte di noi. Ma è necessario specificare dove avviene. Per disegnare una cartina che mostri un fenomeno silenzioso in crescita.






La legge 194 regola il diritto all'interruzione volontaria di gravidanza dal 1978. Che spesso e (non) volentieri si scontra con un altro, di diritto: quello dei medici che si rifiutano di praticare aborti secondo personali convinzioni etiche o religiose. Da una parte una legge di Stato, dall'altra la possibilità di non adempiere un dovere. 

Il Ministero della Salute fornisce una percentuale, divisa per regioni, di questi obiettori di coscienza sparsi in tutta Italia. I dati ufficiali si fermano al 2018. Le cifre sono più alte rispetto all’anno precedente, specialmente tra i ginecologi. Salgono al 69% contro il 68,4% del 2017. Gli anestesisti raggiungono il 46,3%, mentre il personale non medico il 42,2%. Perché nonostante diminuiscano le IVG, i valori di obiezione di coscienza sono tra i più alti mai registrati. E nelle regioni del Sud Italia le percentuali crescono.




Per avere un dato più aggiornato, c’è una mappa creata da Obiezione Respinta, il progetto nato tre anni fa dal movimento femminista Non Una Di Meno. Ognuno manda la propria esperienza, che viene poi condivisa anonimamente. Ci sono consultori, farmacie, ospedali e centri antiviolenza dove si pratica l’obiezione di coscienza.
Vergogne
Il diritto di aborto trasformato in tortura. Vi racconto la mia cicatrice, in nome di tutte
28/9/2020
Anche nomi e cognomi dei professionisti. In verde le esperienze positive, in rosso quelle negative. E sono tante. Raccontano di medici che si voltano dall’altra parte, che ridono in faccia alle pazienti che richiedono la pillola del giorno dopo o le convincono a lasciar perdere. Raccontano di donne colpevolizzate, di donne arrabbiate. Per aiutarle ulteriormente, Obiezione Respinta ha creato un canale telegram insieme al blog IVG, ho abortito e sto benissimo. Si chiama “Sos aborto_covid19”. Perché durante il lockdown numerosi servizi di IVG sono stati sospesi, trasferiti o limitati, senza troppe informazioni a riguardo. Dei già pochi consultori in Italia - uno ogni 35mila abitanti - alcuni sono rimasti chiusi o hanno ridotto gli orari di apertura. E così - mentre si diffondeva la paura del contagio - moltissime donne hanno dovuto cambiare città, provincia o addirittura regione per trovare una struttura disposta a farle abortire. 

Poi, ad agosto, ecco un passo avanti sull’interruzione di gravidanza con metodo farmacologico: con le nuove linee guida - le ultime risalivano al 2009 - il Ministero della Salute ha annullato l’obbligo di ricovero e allungato a nove settimane il periodo di utilizzo della pillola abortiva. Il ricorso all’aborto farmacologico potrebbe aumentare. Nel 2018 è stato impiegato nel 20,8% dei casi. Per avere dati più recenti, bisognerà aspettare.