Trombe d'aria, piogge alluvionali, grandinate. Il nostro paese è un hotspot del cambiamento climatico con costi per centinaia di miliardi. Ma il Piano elaborato nel 2017 è rimasto nel cassetto

Il nubifragio su Verona del 23 agosto
I numeri sono impressionanti: 163 trombe d’aria da inizio anno, 204 piogge alluvionali, 459 grandinate con chicchi di diametro superiore ai 2 centimetri. L’incidenza sempre maggiore dei fenomeni meteorologici estremi - misurata dalla banca dati europea European severe weather database - dimostra in modo inequivocabile quello che decine di studiosi ripetono ormai da anni: l’Italia è un hotspot climatico, un luogo dove le conseguenze del surriscaldamento globale sono più evidenti che altrove. Non passa giorno senza che un’area del paese non sia colpita dagli effetti di quello che viene genericamente definito “maltempo”, ma che in realtà è il portato dei mutamenti del clima.

Condannata dalla sua morfologia complicata, da un territorio fatto di colline e montagne, ma anche da anni di cementificazione selvaggia e di consumo di suolo ipertrofico (2 metri quadri al secondo, secondo l’Ispra), l’Italia è oggi particolarmente esposta alla violenza dei fenomeni atmosferici. Si tratta di un’emergenza permanente, che trascina con sé costi colossali: secondo un rapporto recente dell’Agenzia europea per l’ambiente, dal 1980 al 2017 il nostro paese ha subito danni per eventi estremi pari a 64,6 miliardi di dollari.

Nonostante questi dati allarmanti, rimaniamo clamorosamente privi di una strategia di adattamento. Tra i diciassette stati europei che stanno realizzando piani per adeguarsi al mutato scenario climatico, il nostro brilla per la sua assenza.

Ambiente
Clima, in Italia nell'ultimo anno 1.665 eventi estremi. Nel 1999 erano stati solo ventuno
23/9/2020
A dire il vero,
un processo era stato avviato. Nel 2017 il Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici ha stilato per conto del governo un Piano nazionale di adattamento. Nelle più di 400 pagine del documento si leggono previsioni inquietanti - come una stima tra i 4,5 e gli 11 miliardi di euro l’anno di danni solo per fenomeni alluvionali al 2050. Ma si sottolinea come questi danni siano computati in uno scenario statico, cioè in assenza di azioni di adattamento: se si interviene con politiche puntuali, si possono ridurre in modo rilevante.

Queste previsioni sembrano trovare conferma in quello cui assistiamo ogni giorno: le trombe d’aria che colpiscono le nostre coste, le piogge torrenziali che inondano le città, le prolungate ondate di calore che si susseguono ogni estate dovrebbero spingerci a tirare fuori quel piano dal cassetto e agire in modo tempestivo.

Per fare questo, è necessario tuttavia un cambio di passo. E un rovesciamento di prospettiva: invece di ritenere il cambiamento climatico una calamità irreversibile, che possiamo solo osservare inermi e terrorizzati, dovremmo cominciare a considerarlo un’opportunità. Uno stimolo per cambiare modello di sviluppo, promuovere politiche più sostenibili, ridurre il consumo di suolo, accelerare la transizione energetica. E rendere così i nostri territori fragili più capaci di assorbire gli shock presenti e futuri. Oggi abbiamo un’occasione unica: i 209 miliardi di euro previsti dal Recovery Fund sono una pioggia di denaro che non si vedeva dal Piano Marshall.

I vincoli ambientali del piano ci stimolano peraltro a muoverci in quella direzione. La domanda è: saremo in grado di cogliere quest’opportunità?