A parole è una priorità, nei fatti una Cenerentola. L'Italia è l'unico Paese a sacrificare l'istruzione. Tanto si sa, gli studenti non votano

Troppo precipitosamente e con eccessiva magnanimità avevamo promosso il governo delle chiusure totali di primavera (lockdown, lasciamolo agli inglesi, abbiamo una lingua meravigliosa). Salvo poi scoprire che le decisioni drastiche dell'ora più dura erano dettate dall'incapacità di scegliere. E la politica è scegliere.

L'autunno fa cadere come le foglie gli alibi e mostra il re in tutta la sua nudità. La cartina di tornasole dell'incapacità dell'esecutivo è la scuola. A parole una priorità, nei fatti una Cenerentola. E dovrebbe stupire che i più ostinati nel considerarla tale sono governatori e ministri della stampella di sinistra del governo. Anche la divisione tra destra e sinistra è stata precipitosamente pensionata, quando invece sopravvive nella visione del mondo alternativa di ciascuna delle due parti. La destra è conservazione. La sinistra è futuro. E quale coniugazione di futuro è più evidente della scuola? Prepara i cittadini di domani, il Paese di domani. Ma il ministro Roberto Speranza (Liberi e Uguali!) dice che “la scuola aperta non ce la possiamo permettere”. Enrico Franceschini (Pd) rincara, gli altri si accodano. Certo gli studenti non votano.

Qualunque inchiesta fatta sugli esiti della didattica a distanza (DAD) ha messo in luce i buchi formativi di una generazione sventurata. E che sarà costretta a competere sulla scala globale con coetanei meglio preparati. Il pianeta si è fatto più complicato. L'Italia è la nazione che già tenne più a lungo chiuse le aule, di fatto dal 24 febbraio al 14 settembre o giù di lì. Un abbrivio e subito una vacanza per le elezioni. Ma non si poteva votare in altri edifici patrimonio dello sterminato demanio statale? Molti ragazzi la famosa DAD l'hanno dovuta subire, almeno a turno, fin dall'inizio del nuovo anno.

L'estate da cicale e dalle discussioni sull'apertura delle discoteche ha fatto dimenticare che la seconda ondata del virus era in agguato, largamente pronosticata dagli esperti. Bisognava prepararsi, programmare. Programmare: verbo sconosciuto nel Paese che riesce a dare il meglio di sé sull'orlo del precipizio e subito dopo se ne va al mare. Scoprendo nel settembre del redde rationem che i mezzi pubblici viaggiano troppo carichi e con i ragazzi troppo vicini. Che sorpresa!

Sarebbe bastato dare un'occhiata anche distratta al numero di abbonamenti acquistati per ogni tratta e fare qualche calcolo aritmetico. Semplice aritmetica senza scomodare la matematica. Non ci voleva poi molto ad aggiungere carrozze ai treni o raddoppiare gli autobus, requisendo magari quelli privati, sconsolatamente rimasti negli hangar per mancanza di turisti, di passeggeri. E usando, per migliorare la rete, i soldi graziosamente messi a disposizione dal Mes, pronti subito e a tassi vantaggiosi. Ah già c'era l'opposizione dei 5 stelle e non sia mai che una sinistra su una questione cruciale come la scuola batta i pugni sul tavolo.

Noi non ce lo possiamo permettere, dice Speranza. La Francia di Macron che ha il doppio dei nostri casi sì però. In primavera aveva confinato i ragazzi per un mese scarso e ora la serrata vale per quasi tutto, meno che per loro. La Germania della Merkel tiene aperti pure gli asili. E si va in classe in Gran Bretagna, Olanda, Austria, Grecia, Portogallo. Hanno, questi Stati, sacrificato moltissimo, non l'istruzione.

Da noi il 2 novembre, in tanti istituti (non so se in tutti) si è fatto il ponte dei morti. Niente lezioni nemmeno a distanza. Il ponte di lunedì. Benvenuti a Bengodi.