Un collettivo femminista per rompere il silenzio in un ambiente profondamente machista. In cui le molestie sessuali sono solo una parte del problema. «Vorremmo creare un dialogo con tutta la comunità perché chi subisce certi comportamenti deve poi fare i conti con una sofferenza che nemmeno riesce a spiegarsi.»

Che il mondo del fumetto italiano fosse intriso di mascolinità tossica non è mai stato un segreto, ma come accade sempre quando si parla di ambienti in cui gli uomini sono dominanti era molto difficile parlarne. Lo sta facendo in questi giorni Moleste, un collettivo di donne attive nell’ambiente, “fumettist?, sceneggiatrici, disegnatrici, coloriste, letteriste, soggettiste, giornaliste, traduttrici, ghost writer”, come si legge nella home del loro sito.

«La scorsa estate ci sono stati dei casi di molestie in America commesse da autori molto noti, che proprio a causa della notorietà sono arrivate anche in Italia» racconta Francesca Torre, responsabile della sezione fumetti del sito Staynerd. «Quando si è cominciato a parlarne, alcune testimoni che sono rimaste anonime mi hanno scritto per raccontarmi le loro storie. È stata una reazione spontanea, dettata dal bisogno di confidarsi con una persona che avrebbe potuto forse scriverne ma che era, soprattutto, sensibile all’argomento. L’articolo che ne ho ricavato è andato poi in un’altra direzione, per questioni legali, ma erano rimaste in sospeso tutte queste testimonianze e un grande interesse per l’argomento. Una volta scoperchiato il vaso di Pandora, mi sono ritrovata con molte persone che non si conoscevano tra loro e che volevano continuare a parlare di questo tema, ed erano frustrate dal fatto di non poterlo fare.»


Moleste nasce così: con una chat che diventa un collettivo e inizia ad analizzare le dinamiche alla base dei piccoli e grandi abusi che rendono la vita difficile alle donne (e soprattutto alle ragazze) che si avvicinano all’ambiente del fumetto, o che ne fanno già parte ma non hanno ancora una visibilità e una stabilità sufficienti a poter prescindere dall’aiuto e dall’appoggio dei suoi membri più noti. E come sempre succede quando le donne cominciano a parlare delle proprie esperienze di abuso, ogni racconto ne genera altri, ogni voce apre la strada ad altre voci.

«Il nostro obiettivo immediato era di dare un messaggio alla comunità del fumetto, un messaggio di ascolto. Ci siamo rese conto che tanto silenzio è stato perpetuato negli anni perché non ci sono molte occasioni di confronto» spiega Torre. Un confronto che di per sé può far riaffiorare dei traumi: parlare delle proprie esperienze di molestie, stupri, abusi e umiliazioni non è semplice, anzi, è spesso molto doloroso per chi lo fa.

Ero in enormi difficoltà economiche, non riuscivo a vivere del mio lavoro. Mi ero rivolta a un autore che si era dimostrato disponibile e amichevole, per chiedergli una mano. Mi propose di fare sesso a pagamento con dei suoi conoscenti. E aggiunse che aveva contatti nel porno.” “Ci scambiavamo fotografie di nudi, pensavo fosse una cosa intima, fra noi. Poi mi raccontò di averle mostrate a un amico e collega, io in quel momento realizzai che la mia immagine non era al sicuro. Gli chiesi di cancellare le mie, mi rispose che chiedendoglielo stavo mettendo in dubbio il nostro rapporto di fiducia. Ne discutemmo, ma di fatto poi non ha cancellato nulla.” Sono solo due delle tante testimonianze che si possono leggere sul sito, testimonianze rigorosamente anonime e raccolte in modo da preservare la sicurezza di chi racconta e di chi raccoglie quel racconto. «Solo alcune di noi hanno il compito di raccogliere le testimonianze, principalmente per questioni di discrezione e sicurezza: un conto è che una testimonianza venga letta da due persone, un altro è che venga letta da trenta o quaranta. A quel punto è come se fosse pubblica.»

A dispetto del nome, Moleste non è un’iniziativa antimolestia: è un collettivo femminista che si batte per la parità di trattamento all’interno di un ambiente profondamente machista, in cui gli abusi sessuali sono solo una parte del problema, la più difficile da affrontare perché ammantata di vergogna, e ogni reazione è minata alla base dal terrore di ritorsioni, non solo da parte di chi compie gli abusi, ma anche dei loro amici e colleghi: la complicità maschile è un bastione impenetrabile. Anche e soprattutto per questo, il collettivo gestisce la sua comunicazione pubblica con il massimo del rigore: «Rifiutiamo il meccanismo della gogna mediatica e della shitstorm sui social. Il nostro è uno sforzo di ascolto per fare in modo di non sentirsi sole in un mondo in cui il lavoro viene svolto spesso individualmente. Con l’eccezione di manifestazioni e fiere, i fumettisti e le fumettiste si incontrano raramente. Con il Covid, poi, ancora meno.» A chi decide di condividere la sua esperienza, Moleste mette a disposizione gli strumenti per proseguire in un percorso di guarigione con l’aiuto di un centro antiviolenza; da qui, volendo, si può anche arrivare alla denuncia dell’abuso.

«Se avessimo pubblicato nomi avremmo avuto molta più attenzione, ma sarebbe stato molto più pericoloso. Noi abbiamo un confronto costante con dei legali che ci assistono a titolo gratuito per orientarci in una materia così delicata. Fare nomi finisce solo per attirare controdenunce per diffamazione, e quindi chi ha già subito un abuso finisce per subire più di prima.» Una cura che si estende anche alla gestione delle testimonianze da pubblicare, che vengono redatte in modo da renderle inattaccabili dal punto di vista legale.

Le reazioni all’interno dell’ambiente del fumetto? «Tanti silenzi, probabilmente anche di riflessione. Non sappiamo neanche bene come interpretarli: la solidarietà c’è stata, in pubblico e soprattutto in privato. Il primo obiettivo era comunque raggiunto: creare un clima di fiducia che permettesse alle persone di parlare.»

C’è da dire anche che tre anni dopo #metoo e #quellavoltache il pubblico è in gran parte anestetizzato rispetto ai racconti di molestie, che non sorprendono e non spiazzano più: la molestia succede, andiamo avanti. Mantenere un profilo basso e aspettare, in molti casi, è una strategia vincente per chi ha qualcosa da nascondere. «Noi comunque lavoriamo sul lungo periodo» commenta Torre. «Cambiare la mentalità sul breve periodo è utopistico: io non sono negativa, ma si tratta di un lavoro molto lungo e noi vogliamo agire ora, nel concreto. Stiamo preparando una campagna rivolta alle scuole di fumetto, che sono ambienti in cui facilmente si creano squilibri di potere. E vorremmo creare un dialogo con tutta la comunità del fumetto, perché ci sono alcuni comportamenti che sono talmente normalizzati che viene il dubbio che non ci sia consapevolezza del fatto che sono comportamenti abusanti. E chi li subisce deve poi fare i conti con una sofferenza che nemmeno riesce a spiegarsi.»