Le parole durissime di Luca Fusco, presidente del comitato delle vittime Covid di Bergamo: «La seconda ondata? Una tragedia annunciata. Abbiamo ripetuto gli stessi errori. Il nostro sacrificio è stato vano. E la Regione Lombardia ha responsabilità paurose»

«Avevamo la speranza che i morti di Bergamo avrebbero difeso il resto d’Italia. E invece il nostro sacrificio non è servito a nulla. I pazienti sono stati lasciati un’altra volta da soli a casa perché è saltato nuovamente il sistema». Non si dà pace Luca Fusco, presidente del comitato delle vittime Covid di Bergamo «Noi denunceremo», il primo nato in Italia in memoria e in difesa dei deceduti della prima ondata. La loro pagina Facebook, aperta il 22 marzo, conta 70 mila iscritti. E oggi è inondata di testimonianze che vengono anche dal centro-sud, come racconta l’inchiesta sulla strage silenziosa dell’epidemia. Le centinaia di racconti dei parenti delle vittime sono stati allegati a un esposto depositato alla Procura di Bergamo che indaga per epidemia colposa. Fusco, che ha perso il padre l’11 marzo scorso in una delle Rsa lombarde flagellate dal virus, oggi è «furente» perché i tremila morti della Bergamasca nella prima ondata non hanno evitato una nuova strage. «Qui da noi c’era il libro mastro degli errori da non ripetere: la scarsa disponibilità di test, il tracollo dei dipartimenti di prevenzione, le chiusure decise in ritardo, l’ospedalizzazione del virus, la carenza di bombole di ossigeno».

E invece cosa non è cambiato rispetto a marzo e aprile?
«Non è cambiato nulla: stiamo facendo gli stessi errori. Una tragedia annunciata. Le zone che oggi sono più colpite, Milano, Varese, Como e Monza, hanno vissuto il disastro che in primavera è toccato a Bergamo, Brescia, Cremona e Pavia. Ci giungono testimonianze relative a persone che sono morte in casa perché non arrivava l’ambulanza. Una farmacista racconta che a Milano negli ultimi 15 giorni non c’erano più le bombole di ossigeno per le cure domiciliari. La moglie di un medico morto in aprile ha scritto alle autorità sanitarie per chiedere come mai il marito non c’è più e i suoi colleghi dicono che ancora adesso non hanno mascherine, calzari, guanti, vaccini».

Ora però con la zona rossa la situazione in Lombardia sembra migliorata.
«Ma non è vero che le cose vanno meglio. Anzi, lancio un appello: lasciateci la zona arancione perché la Lombardia non è pronta per una zona gialla. Domenica qui si riaprirà e questa settimana di liberi
tutti prima di Natale sarà pericolosissima. Altro che Natale, qui in Lombardia ci saranno 30 mila sedie vuote. E la Regione ha delle responsabilità paurose. Ma come fa un assessore come Giulio Gallera, che gestisce la sanità lombarda in questa fase, a trovare il tempo di fare jogging e di postare le foto come un ragazzino? Io non riuscirei neanche a prendere sonno. Ricevo telefonate di medici di base che devono scegliere chi vaccinare e chi no contro l’influenza tra soggetti a rischio. E il governatore Attilio Fontana che scrive alla Procura di Milano per assumersi la responsabilità di avere ordinato senza gara vaccini in Svizzera. Ma dove viviamo?»

La situazione ormai è difficile in tutto il Paese.
«Infatti, ormai ci scrivono da tutta Italia. Da Roma, da Napoli, dalla Puglia, dalla Calabria. E leggere questi messaggi che vengono dal Sud con storie uguali alle nostre ci dà tanta amarezza. Se avessero guardato cos’era successo a Bergamo e a Brescia la seconda ondata non ci sarebbe stata. Tra l’altro nessuno della giunta della Regione Lombardia si è mai degnato di farci anche solo un colpo di telefono, anzi continuano a dire che è stato gestito tutto perfettamente. Chiediamo che chi ha sbagliato paghi. Abbiamo famiglie che hanno perso il papà cinquantenne e la mamma che non lavora è rimasta a casa da sola con tre figli. Li lasciamo lì? Non se ne parla».