Parla Fabrizio Bianchi, epidemiologo dell'ambiente del Cnr. «L'associazione tra smog e Covid 19 è ipotesi ancora non verificata. L'aria della pianura padana è certamente insalubre. Ma oggi vediamo che ci sono aree più pulite in cui l’incidenza del patogeno è comunque elevata. E zone molto inquinate dove il coronavirus circola poco»

«No, non c'è ancora alcuno studio verificato su un rapporto stretto tra smog e Covid 19. È necessario che gli scienziati non parlino a vanvera». Fabrizio Bianchi, direttore di epidemiologia ambientale dell'Istituto Fisiologia Clinica del Cnr, entra nel dibattito sull'eventuale associazione tra diffusione virulenta del coronavirus in zone del mondo (come la Cina e la Pianura padana) particolarmente colpite.

Ci sono scienziati che ipotizzano invece un nesso strettissimo.
«Io ragiono in tre mosse: 1) La relazione tra inquinamento atmosferico e malattie tumorali, cardiovascolari, respiratorie e altre, è provata da tempo in modo inequivocabile; 2) c’è una plausibilità generale che la popolazione che respira da tempo aria inquinata sia anche più suscettibile all’azione di virus che aggrediscono le vie respiratorie 3) l’associazione tra smog e Sars-Cov2 è un’ipotesi non verificata. E quindi, al massimo, uno stimolo di lavoro per dimostrarla».

Perché alcuni esperti scrivono di un nesso come fosse già dimostrato?
«Valutazioni descrittive, come quella svolta da alcuni ricercatori, in maggioranza chimici, di varie università con la Società Italiana di Medicina Ambientale, danno una fotografia su macro-scala, e generano o rafforzano ipotesi. Tuttavia per approfondire il legame tra smog e Covid-19 occorrono studi in grado di osservare nel tempo e nello spazio l’andamento sia dell’inquinamento sia dell’epidemia, tenendo conto di molte altre caratteristiche che possono influire sia sull’inquinamento che sull’epidemia. Occorre cioè un filmato e non una singola fotografia. Bisogna essere scrupolosi»

Che difetti vede negli studi citati?
«L’osservazione è stata svolta non su valori di inquinamento misurati o modellati, ma sul numero di
superamenti del limite di legge del PM10 (50 ?g/m3), rapportato al numero di centraline attive per Provincia, su dati giornalieri in breve periodo di tempo (19-24 febbraio). E’ stato considerato il numero assoluto di casi di Covid-19 per provincia, senza tener conto della dimensione della popolazione residente. Emerge una correlazione che può dipendere da molti fattori non considerati e che non è in grado di spiegare fenomeni ben visibili: in molte aree inquinate dentro e fuori la pianura padana l’evoluzione del Covid-19 è stata diversa e differenziata».

Dunque una correlazione chiara finora è impossibile da definire?
«Esatto. Ci sono aree inquinate in cui l’incidenza di Covid-19 è elevata, ma ci sono anche aree non particolarmente inquinate in cui si registra una notevole incidenza di Covid-19, così come ci sono aree molto inquinate in cui Covid-19 è cresciuto recentemente mentre l’inquinamento è calato.
In una situazione così complessa studi di correlazione su base provinciale, come quello che in questi giorni fa discutere, sono utili a supportare ipotesi di lavoro, come d’altra parte sostengono gli stessi autori che usano il condizionale a proposito di una azione del particolato come vettore di trasporto e impulso alla diffusione virulenta».

L'Agenzia regionale per la protezione ambientale del Veneto, quella dell'Emilia Romagna, e una settantina di scienziati di varie università italiane, hanno firmato un documento che critica duramente chi fa nessi diretti tra inquinamento e diffusione del coronavirus. Dicono che le ipotesi «sono stati proposti prematuramente alla stampa», e che si sono «scatenati dibattiti improvvisati». È d'accordo?
«Si. In una fase così critica come questa per il nostro Paese, bisogna dare ai cittadini informazioni incentrate su ricerche accurate, e non suggestive e/o incomplete. Può darsi che alla fine un rapporto tra smog e virus esista davvero, ma ad ora non possiamo affermarlo con certezza come fa qualcuno. Come epidemiologi ambientali stiamo lavorando a pianificare studi in grado di indagare in modo affidabile la relazione causa-effetto, utilizzando dati sulla evoluzione dell’inquinamento, delle condizioni meteo, e sulle malattia a livello individuale, che potremo avere nei prossimi mesi».

Non è che le Arpa si difendono perché , dovendo controllare il livello di smog a livello regionale, si sentono attaccate?
«Guardi, questo non lo so. So che sul tema bisogna fare ricerca e analisi accurate senza steccati, necessariamente avvalendoci della collaborazione multi e interdisciplinare. Sicuramente l’inquinamento deve essere contenuto maggiomente da tempo immemore, e non bisogna dimenticare il carico di malati e morti che genera. Solo in Italia, ce ne sono circa 60 mila l'anno. Numeri che dovrebbero fare impressione e che riproporremo presto, ma ora occorre il massimo sforzo per contrastare Covid-19. Aderendo scrupolosamente alle misure tese ad evitare i contatti sociali».


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MARCO DAMILANO

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