
Presto i sociologi e gli statistici ci diranno quante famiglie, da nord a sud, in questo periodo sono andate a ingrossare i numeri della povertà assoluta, ma per chi fa volontariato, a contatto con le persone, questa tendenza è già una realtà indiscutibile. Si parla di decine o centinaia di migliaia di persone che erano già in difficoltà prima, e che ora, con il confinamento domiciliare, hanno visto spezzarsi quei legami che gli consentivano di rimanere a galla.
Ma, per fortuna, accade anche che tanti ristoratori costretti ad abbassare la saracinesca dai decreti del governo hanno scelto di rimanere ai fornelli per dare una mano a chi cliente non è e forse non lo diverrà mai. Un profumo di solidarietà che, lungo tutta la penisola, sta impegnando attivamente piccolissime realtà, grandi multinazionali, gruppi alimentari e una rete di associazioni che da tempo fanno da argine nei contesti più a rischio. «Noi siamo la Ristorazione Sociale e non possiamo tirarci indietro proprio adesso», spiega Renzo Sacco, presidente della cooperativa Coompany& di Alessandria, una persona abituata ai problemi ma soprattutto a trovare soluzioni.
Alla Ristorazione Sociale lavorano ex detenuti, persone messe in prova, ex tossicodipendenti e immigrati. Questo posto è un punto di riferimento per la città, anche in questo momento. «All’inizio consegnavamo pasti a 4 persone, oggi grazie al passaparola abbiamo 50 utenti da servire ogni giorno. E una ex insegnante che il mercoledì ci fa trovare sull’uscio di casa quattro torte che dividiamo in porzioni e aggiungiamo al menu», racconta Sacco. «Aiutiamo soprattutto anziani over 70, persone con disabilità, malati oncologici. Circa un 15 per cento della domanda arriva da chi è in quarantena per il Covid. E non solo col cibo: c’è chi ha bisogno di mascherine o di farmaci perché ha finito le scorte e non può uscire».
Sono in tanti a essersi chiesti come potevano rendersi utili e ad aver trovato una risposta guardando alla propria comunità, intercettandone i bisogni. Un giovanissimo pizzaiolo di Civitanova Marche, Thomas Sparacio, ha sfornato pizze Margherita finché ha avuto gli ingredienti freschi in dispensa. E alla domanda sul perché le abbia regalate la risposta esce naturale come quella di un bambino: «Sono figlio e nipote di infermieri, mi è sembrata la cosa più giusta aiutare chi è impegnato in prima linea contro questo virus».
Con la stessa naturalezza parla Marco Mantellini titolare di “Small Pizza” nel piccolo comune di Monte Roberto in provincia di Ancona, che ha donato 900 chili di pasta alla Protezione Civile per aiutare le famiglie dei quattro comuni dove solitamente effettua le consegne a domicilio. «Ho pensato ai piccoli imprenditori che animano il tessuto produttivo della Vallesina, che hanno dovuto chiudere dall’oggi al domani. È solo un po’ di pasta che può aiutare a tenere a galla chi si trova in difficoltà, sperando che presto tutto quello che stiamo vivendo rimanga solo una brutta storia da dimenticare».
«Tante persone sono diventate povere un minuto dopo il lockdown e per questo sono fuori dalla rete dei servizi sociali», conferma a distanza Ercole Giammarco che a Milano, grazie ad una piccola web radio di quartiere, Radio Corvetto, coordina una rete di solidarietà che raccoglie 13 piccoli ristoratori e alcune decine di rider in bicicletta. Dal giorno di Pasqua forniscono pasti caldi ai nuclei segnalati dalla cooperativa La Strada e dalla comunità di Sant’Egidio e alle mamme in difficoltà della comunità Nocetum. La rete sta consegnando anche tablet a quei ragazzi che devono seguire le lezioni da remoto, ma a casa non hanno supporti tecnologici adeguati.
Già, perché la convivenza forzata ha portato a galla anche altri problemi. «Ci sono famiglie dove c’è solo uno smartphone e deve servire per seguire le lezioni e fare i compiti, perché non esiste il pc o la connessione a casa», conferma la presidente delle Acli di Roma, Lidia Borzì, che grazie a Mc Donald’s Italia ha distribuito fino al 3 maggio, circa 200 pranzi. Un panino che per molti bambini rappresenta l’opportunità di mangiare carne almeno una volta a settimana. La multinazionale degli hamburger ha chiuso i suoi punti vendita ma ha donato circa 100 tonnellate di cibo che erano ancora in frigo al Banco Alimentare e ad altre associazioni.
«Dalle case si capisce molto. Spesso entriamo in abitazioni decorose, dove sembra che ci sia tutto: lì capiamo che la crisi si è abbattuta all’improvviso. Sono i luoghi dove c’è più imbarazzo a chiedere e anche a ricevere», racconta Alessandro Pinna, presidente dell’associazione Isola solidale che distribuisce i menu di Mc Donald’s una volta a settimana, insieme ai pacchi alimentari, nei quartieri di Roma sud. Spesso sono le case di badanti o manovali in nero che da un giorno all’altro sono rimasti senza lavoro, ma anche senza un pezzo di carta utile ad accedere a uno degli indennizzi messi in campo dal governo. Persone che non avevano mai avuto bisogno dei servizi sociali, che magari avevano anche qualche risparmio, ma non sufficiente per coprire questo fermo prolungato.
«Quello che colpisce di più a volte è il silenzio, la dignità di queste famiglie che si vedono recapitare un pasto o un pacco alimentare. Dove ci sono i bambini però si supera ogni vergogna e sopraggiunge il sollievo», racconta Borzì.
Nel Mezzogiorno, dove il virus si è mostrato con meno virulenza, quello che spaventa di più è proprio la crisi economica in un territorio già in fondo a ogni classifica di benessere.
Così la pandemia per tre under 30 di Catanzaro è diventata l’occasione per mettersi in gioco, dando vita a “Jamu-Nessuno indietro”, che oltre a essere il nome dell’associazione è anche un manifesto di intenti. Alessia De Siena, una cuoca di 28 anni, ha appena smesso di cucinare quando risponde al telefono. È entusiasta per la rete che si è creata e che oggi garantisce più di 140 pietanze calde. «Abbiamo diviso la città in zone e a ogni cuoco abbiamo affidato un volontario che si occupa delle consegne a domicilio. Con 50 euro possiamo garantire un pasto nutriente, come un piatto di pasta e legumi, a tante persone che fino a ieri vivevano di lavoretti e oggi non hanno di che campare». Per ora aiuti dal comune non ne sono arrivati, ma sono tanti i cittadini e commercianti che stanno contribuendo con donazioni e materie prime.
A Castelbuono, un comune di quasi diecimila abitanti sulle Madonie, in provincia di Palermo, è stata creata la Mensa sociale: chef di prestigio preparano ogni giorno pasti che vengono consegnati da volontari alle famiglie che ne hanno bisogno. Nell’iniziativa è coinvolta l’Associazione Ristoratori Castelbuonesi, che a turno vanno a cucinare per la mensa. Fra gli chef che partecipano ci sono nomi noti nella zona, da Francesca e Giuseppe Carollo a Natale Allegra e Salvatore Baggesi.
Sempre in Sicilia, nel Belice, Giuseppe Viola, titolare della braceria Fusion, ogni giorno cucina 400 pasti che poi i servizi sociali e i vigili urbani si occupano di distribuire in dieci comuni diversi. «Volevamo restituire qualcosa alla comunità che ci ha dato fiducia per la nostra attività aperta da pochi mesi», spiega. «Ma ovviamente non sappiamo chi sono i destinatari finali del nostro aiuto».
In questa emergenza alimentare l’attivismo talvolta va avanti da solo, talvolta invece si intreccia con quelle istituzioni che sanno ascoltare: è in questo caso che nascono le idee più originali. A Roma (dove ci sono state più di 60 mila richieste per il buono spesa) la Ong Terra e il III municipio si sono ad esempio inventati la “spesa sospesa”, un sistema con cui ogni cittadino può regalare a una famiglia una spesa di 15 euro che arriva direttamente a casa del beneficiario (www.terraonlus.it).
Sempre a Roma, nel quartiere della Garbatella, anche l’associazione La Casetta Rossa propone il “pasto sospeso” servendone 5 mila gratuiti a disoccupati, anziani e stranieri in difficoltà. Nelle ultime settimane, visto che il ristorante della Casetta è chiuso, i pasti sono stati sostituiti da pacchi alimentari contenenti riso, legumi, ma anche formaggi e prodotti freschi: sono un dono dei gruppi di acquisto solidale e arrivano alle famiglie che ne fanno richiesta alla rete del Municipio solidale. «E tra qualche giorno aggiungeremo anche un buono acquisto per comprare libri», anticipa Maya Vetri dell’associazione romana.
A Milano si è rimboccato le maniche un grande gruppo alimentare, il laboratorio gastronomico La Sorgente, che il giorno di Pasqua ha donato alla mensa dell’Opera San Francesco - dove ogni giorno trovano un pasto e una doccia 1500 persone - ottocento buste con fusilli al pomodoro e melanzane, un dolce e cracker: «In questo momento ogni aiuto può portare grandi benefici», chiosa l’amministratore delegato de La Sorgente, Giuseppe Multari. A Bologna le Cucine Popolari, che consegnano ogni giorno 400 pasti, stanno facendo il pieno di donazioni: dai fondi donati dall’Anpi per festeggiare il 25 aprile alle tonnellate di frutta e verdura consegnata ogni settimana dal Caab, il centro agroalimentare.
Il fermo produttivo insomma ha spinto molti a prendersi cura degli altri, attraverso un gesto, una parola o una piccola donazione. «Perché quelli che non ce la fanno sono una denuncia vivente: non possiamo lasciare nessuno indietro e dobbiamo misurare il passo su quello più debole, come quando si affronta una salita in montagna», spiega Lucia Ercoli di Medicina Solidale. Lo dice con la preoccupazione di chi sa che terminata l’emergenza Covid inizierà quella della miseria, ma anche con la speranza che il virus ci lasci migliori di come eravamo.