Una settimana fa ho chiesto a mio figlio P, sul punto di addormentarsi, cosa desiderasse sognare. P si è stretto a me e ha detto: vorrei sognare la scuola, i miei amici e la maestra di musica, mamma.
E aveva una voce squillante, la voce che gli conosco. Il suo tono, la sua cifra. Ma appoggiata su un volto che per la prima volta in quasi quattro anni ho visto malinconico. Ho taciuto qualche secondo, il tempo di depurare la mia risposta dalla rabbia e dalla frustrazione. Gli ho detto: è una risposta bellissima P, perché si desidera sognare le cose belle, quelle ci mancano. E la fortuna è che sappiamo che un giorno torneremo a fare tutte le cose che ci mancano.
Non ho dormito quella notte e il giorno dopo ho preso un quaderno e dieci matite colorate.
Ho chiesto a P se avesse voglia di giocare alla scuola, sul suo banco bianco, accanto alla piccola lavagna della sua stanza. E P, con la logica dei bambini, si è voltato rimproverandomi.
Tu non sei la mia maestra, mamma. Rosa, Annamaria e Clara sono le miei maestre. Tu sei mamma.
E ho sorriso, pensando che P, nella sua nostalgia avesse capito cosa è per noi l’educazione. P ha capito che l’identità di un bambino è un incastro di tanti tasselli che non devono sovrapporsi, che non devono confondersi. Che la sua identità si fonda sul nostro amore, e sul fuori. Laddove non c’è famiglia. Laddove si costruisce con fatica la sua autonomia. La sua personalità libera da noi, dai vincoli familiari.
E mi sono sentita sola. Non perché costretta come tutti a sacrifici – sono pur sempre i sacrifici dei privilegiati, e non ci si lamenta – mi sono sentita sola perché ho avvertito con nettezza che i nostri figli non siano considerati in queste settimane atipiche, drammatiche, cittadini di questa costituzione come tutti gli altri. Cittadini di oggi e soprattutto cittadini di domani.
Che non parliamo di loro, a loro. Non parliamo come non si parla della cose che non si sanno affrontare.
In quella solitudine di donna e poi madre ho chiesto ad altre madri cosa stessero vivendo.
E queste sono le testimonianza che hanno condiviso con me.
Francesca Mannocchi
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Rita G.
Le giornate trascorrono lunghe e intense, è bello stare insieme e riscoprire il tempo familiare.
Ma gli aspetti positivi cominciano a essere sostituiti da quelli negativi.
Nostra figlia, 11 anni, non è stata fortunata con la DAD, a dirla tutta non è stata fortunata con la scuola in generale. E comincia a chiudersi. Facciamo fatica a farla uscire anche sul terrazzo condominiale, da 10 giorni dice che non le manca nessun compagno di scuola, e rifiuta le chiamate dei compagni nella chat della classe.
Mia figlia sta manifestando segni di regressione, è tornata a dormire nel lettone, ha altre comportamenti attribuibili a neonati o bambini di pochi anni.
Proprio ieri è scoppiata in un pianto a dirotto, dicendo che si sente sola…
Ci sentiamo soli anche noi, la discussione con altri genitori è infernale, e per quanto riguarda la didattica se non rinunciassimo a lavorare per seguire nostra figlia nei compiti resterebbe indietro. La scelta è tra il nostro lavoro e la sua istruzione, delegata a noi.
E non possiamo permettercelo a lungo.
Nella nostra scuola ci sono stati problemi con le insegnanti che hanno fatto riferimento al loro diritto sindacale di scegliere i mezzi più idonei scelti da ciascuno, con il risultato che al 21 aprile mia figlia non ha mai più avuto nessun tipo di contatto con l’insegnante di matematica, ne feedback sui compiti svolti sulla base di 3 piccoli video e schede su argomenti nuovi inviati.
Ad oggi ancora attendiamo dalla scuola una risposta sulle modalità di calcolo delle assenze e su come verranno valutati gli alunni…
Quello che mi è evidente è che chi è più fragile rimarrà indietro.
Cerco di raccogliere i lati positivi, il fatto che stiamo superando insieme, come famiglia, questo momento e che la paura la si impara ad affrontare passo passo.
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Barbara A.
Sono madre di un bambino di 9 anni.
L’assenza della scuola è in grande vuoto nella vita di tutta la nostra famiglia.
È il luogo della socialità, della scoperta, dell’apprendimento.
È il luogo dove mio figlio si sente accudito, seguito e spronato alla vita da maestre competenti e attente ai bisogni di tutti i bambini e bambine. Competenze che noi genitori non abbiamo e che fatichiamo ad inventarci in mezzo alle nostre call di lavoro.
S., nostro figlio è diventato irrequieto è sfuggente.
Ha delle ‘regressioni’ emotive (ha ripreso a venire al lettone e pur passando il tempo con noi ha bisogno di costanti rassicurazioni fisiche e psicologiche, proprio gesti fisici e di contatto). Anche dal punto di vista scolastico ha fatto delle piccole regressioni rispetto al primo semestre ma crediamo sia normale, dopo esserci confrontati con le maestre.
Due ore a settimana di videocall con la classe non sono sufficienti e lo vediamo (giustamente) sempre meno autonomo.
La assenza dei nonni che non possiamo vedere è per lui forse una tra le cose più drammatiche.
Più che l’assenza dei suoi amici.
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Sonia F.
Mia figlia A. non vuole piu’ dormire da sola, è a rischio apatia.
Nella sua scuola le insegnanti ci provano. Le difficoltà però non sono solo gli strumenti, le connessioni, il disinteresse di alcuni genitori, ma il metodo: perlopiù frontale.
Siamo in 5^ elementare. I bambini sono in grado, per fortuna, di sviluppare insieme dei ragionamenti. Ma lo fanno in gruppi spontanei. Così la dispersione dei Badr, dei Jerome, dei Mohamed, delle Riham è disperante.
Di fatto la scuola non ha mai reso i suoi muri davvero penetrabili alla cittadinanza.
Le proposte per una condivisione di progetti e di intenti inclusivi difficilmente accolte. Anche quando a costo 0.
Perché associazioni e volontari sono visti come alieni, come agenti contaminanti. E ora, che è il terzo settore che si sta muovendo spontaneamente, creando corridoi per aiuto a distanza, per procurare strumenti, per rispondere dove può al disorientamento, viene accettato in sordina.
Ora che molto è assegnato alla famiglia… non viene nemmeno in mente di attivare una formazione per gli adulti/educandi/educanti in casa. E nemmeno di dare a questi giovani attori del futuro la possibilità di scegliere: puoi stare con gli altri se impari ad abbandonare le vecchie abitudini. Non si pensa che magari a questo prezzo accetterebbero e parteciperebbero in modo costruttivo al superamento di questa situazione? Insegnare loro che: "Se tieni le distanze, se ti lavi le mani, se indossi la mascherina, se rispetti le regole per salvare gli adulti, allora gli adulti non ti temeranno e ti permetteranno di sviluppare la libertà che avanza in questa uniforme di restrizioni".
E dal lato didattico secondo me un disastro: "Se accedi alle classroom, se hai un genitore che ti segue, se hai un posto in cui sentirti libero di agire, formulare domande e generare possibili risposte, seppure in clausura, allora forse qualcosa apprendi". Insomma, una montagna di se.. Aggiungi, sottrai e poi dividi per fare una statistica e generare una curva di probabilità di riuscita. A spanne emergerebbe quanto sia ingiusta, iniqua, ingiustificabile la situazione.
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Cristina C.
Mi chiamo Cristina, sono un’insegnante, con una formazione in servizio sociale.
Sono madre di 4 figli, studenti, impegnati nella DAD. Qual è la mia, nostra esperienza? Si potrebbe scrivere una commedia tragicomica. I miei figli hanno ricevuto un'educazione lontana dai modelli di scuola che agisce sfornando alunni competenti.
I miei figli sono incompetenti, non sono curiosi nei confronti del sapere scolastico, hanno difficoltà nell' apprendere contenuti didattici, non sono felici di imparare, la scuola li annoia, li riempie di rabbia, a casa c'è conflitto perenne quando li invito ad impegnarsi di più e ad essere resilienti.
Sa, la verità è che ho paura che i miei figli stiano indietro, ma non indietro nella perenne competizione di chi è migliore, ma indietro da opportunità, occasioni di riscatto, crescita importante grazie alle quali potrebbero diventare i futuri cittadini consapevoli e responsabili.
Sarà che io primogenita di 6 figli, figlia di un operaio in cassa integrazione, che abitavo nel quartiere popolare so che cosa significa andare avanti e ricordarsi da dove si è venuti e fare di quelle radici la propria fortuna sputando in faccia ad un destino classista, io che ho studiato al classico, io dislessica, io l'ultima... Vede ho paura di quel sistema che mi diceva sempre da dove arrivavo e che mal tollerava che andassi avanti... Non vorrei mai che facesse fuori i miei figli e nessuno dei miei alunni...
E allora si, capita che mi arrabbio con i miei figli se saltano le dirette, se non consegnano i compiti, se sparano a zero sui docenti e sulla scuola e chiedo loro di adattarsi nella speranza che tutto termini presto... Capita, forse troppo di rado e lei me lo ha ricordato, anche che io sia fiera di loro, perché alla loro età io stessa mi ribellavo ad una certa scuola attenta alle apparenze, che riempiva le teste, che umiliava, mortificava e rendeva incapaci di pensare criticamente...
E allora penso che dovrei fare solo la mamma e non il surrogato della docente a distanza e lottare per ciò in cui credo, che dovrei essere felice di questa non omologazione dei miei figli, del loro essere liberi e ribelli ad una scuola che vuole solo che diventino i migliori lavoratori riservando ai "migliori" che hanno risorse, strumenti, occasioni in più, di rivestire gli incarichi più prestigiosi. Spero allora che siano fortunati e testardi come me, perché contribuiscano a migliorarlo questo mondo oggi a portata solo di pochi.
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Katia S.
Sono Katia, mamma di L.
Con L. abbiamo lottato da sempre, quando 8 anni fa lei è apparsa nella mia vita abbiamo combattuto con altre donne per rivendicare il diritto al lavoro di chi aspetta un bimbo o una bimba. Da lì, abbiamo continuato a crescere e a interpretare il mondo insieme. Io ho portato con me le mie radici: nasco in una famiglia molto semplice, i libri me li mise in mano la mia maestra delle elementari e quei libri, quei racconti sono diventati i miei strumenti di vita. L. in queste settimane è stata molto resiliente, come tanti bambini e bambine, o almeno quelli che vivono in case dove non si perpetrano violenze.
Ha letto, ha fatto i compiti, si è inventata degli spettacoli, ha scritto una canzoncina, ha giocato con le Barbie, ha giocato con papà e mamma. Non ha infatti sorelle o fratelli.
L’altro giorno però, dietro a tutta questa forza e capacità di adeguarsi, si è commossa: le manca andare dalla nonna, ma soprattutto spera che la nonna non muoia a causa del virus. Siamo a Roma e la nonna sta bene, ma la costrizione forzata non aiuta. La nonna, mia mamma, vive nella casa popolare dove ho speso la mia adolescenza e oggi penso a quando ero bambina io, penso a quei bambini e quelle bambine che prima ero io a 7, 10, 14… anni. Penso ad alcuni compagni di classe di Lara e mi sento in difficoltà nella chat di scuola, quella che durante il lockdown è diventata bollente: girano foto, saluti, ma il tanto acclamato senso di collaborazione e di attenzione verso gli altri, nella crescita dei figli viene un po’ meno. Pensa, siamo una classe di una scuola montessoriana… apparenti paradossi. Le maestre si barcamenano con collegamenti dove per la maggior parte del tempo esprimono ai bambini il loro affetto e poi un po’ goffamente provano a prendere confidenza con la tecnologia. Già la tecnologia, la scuola digitale: sembra sia divenuto un fine ultimo, ci si dimentica che è uno strumento, importante ma pur sempre uno strumento.
Per me la scuola, oggi più ieri, è un diritto: è la possibilità di dare delle chiavi di interpretazione della vita che hai introno. Da comparsa, ti restituisce un ruolo vero. È un posto diverso dalla strada, dai portoni rotti e dagli ascensori che non funzionano, fermi a sbeffeggiarti con le porte aperte. È la possibilità di un pasto diverso, è l’occasione per una socialità che usa un altro alfabeto. Allora mi spiace tanto vedere Lara da sola, attaccata a messaggi ed emoticon con i quali dà e riceve il buongiorno dagli amici e con i quali si danno la buona notte. Però mentre vivo con lei, ho sempre accanto quella piccola me, che sa bene cosa sta avvenendo in altre case. Sa che ci sono bambini e bambine che stanno perdendo delle opportunità, che si stanno ancora di più allontanando dalla scuola, dalla possibilità di incontrare una maestra, una persona capace di illuminare la loro strada. Già, perché ancora oggi l’istituzione scuola non è capace di dare risposte concrete, strategiche, lungimiranti. Lo fanno i singoli, lo fanno coloro i quali vivono con passione il loro lavoro, e per nostra fortuna sono molti.