

Una visione che mi sembra non esista o sia condivisa tra le leadership politiche. Si può addirittura presumere che molti diano per scontata per le organizzazioni civiche una funzione del tutto ancillare al boccheggiante welfare pubblico. Del resto un tal ruolo appare, malauguratamente, il centro dell’ancor incompleta riforma del Terzo Settore. Ma lo status quo non è adatto alle sfide che abbiamo di fronte. Chi si impegna nel proporre soluzioni allo Stato lo fa anche perché consapevole che la somma di azioni non produce da sola un impatto sistemico sulla politica. Oltre a mettere in campo tanti interventi solidali, oggi un’avanguardia di associazioni si è dotata di impianti concettuali solidi e coerenti e ha formulato proposte che trasformano l’esperienza di campo in capacità prescrittiva per il pubblico, da cui ci si devono attendere risposte di merito, non solo di processo (né di cortesia). Non è accettabile che vengano scartate opzioni articolate dai cittadini senza nemmeno darne conto ai milioni di persone in attesa (come per il cosiddetto reddito di emergenza). Che democrazia è quella in cui si loda retoricamente chi offre volontariamente risorse e tempo per perseguire interessi generali, ma in cui non si fa tesoro delle loro esperienze e opinioni?
Se anche ci si volesse accontentare di un ruolo soltanto complementare a quello dello Stato, sarebbe necessario stabilire modalità efficaci di discussione tra questo e il Terzo Settore, riconoscere il legame con il territorio come elemento portante di una relazione da valorizzare con risorse e luoghi di confronto permanenti e discutere anche delle risorse pubbliche necessarie, e dei modi con cui mobilitare quelle private. E sarebbe necessario riconoscere l’ampiezza della platea di riferimento: un numero di potenziali beneficiari raddoppiato o triplicato renderà inadeguate risposte ordinarie. Il Terzo Settore di oggi, non può farsi carico dell’“ultimo miglio” con risorse immutate o persino ridotte. Bisogna continuare a valorizzare ciò che si fa nei territori, ma non possiamo più accettare di sostituirci al pubblico “a qualunque condizione”, mossi da un volontarismo che diviene inefficace e dispersivo se ancillare alle scelte della politica. Non possiamo garantire universalità di accesso a servizi e opportunità, da soli. Vanno negoziati con lo Stato ruoli e risorse, smettendo di rappresentarsi come serbatoio di manodopera a basso costo. Serve ridisegnare il ruolo della cittadinanza per rispondere alle sfide di un mondo nuovo.