Utopie e distopie

Da chirurgo, vi spiego perché nel mondo post-Covid neanche i chirurghi serviranno più

di Ignazio Marino   29 maggio 2020

  • linkedintwitterfacebook
marino-jpg

Organi stampati in 3D e molto più facili da impiantare. Alter ego digitali. Bolle che simulano la nostra relazione con la natura. Una mostra a Philadelphia svela come la scienza e l’arte immaginano la vita dopo la pandemia

marino-jpg

Tracciati, seguiti, controllati. E grazie a questo salvati? È ciò che sostengono molti governi, tra cui quello italiano, alle prese con strumenti tecnologici mai utilizzati prima ma ritenuti indispensabili oggi. Le rassicurazioni rispetto all’utilizzo massiccio di una app per tracciare le persone contagiate dal Coronavirus spaventano, nonostante i chiarimenti volti a rassicurare. La diffidenza è legittima ma in fin dei conti si tratta di un mondo che esiste già, un mondo su cui vale la pena riflettere.

Pochi giorni prima del lockdown planetario ho trascorso alcune ore al Philadelphia Museum of Art. Una visita che ha influenzato molto i miei pensieri durante la pandemia. Con la mostra “Designs for different futures” la curatrice Kathryn B. Hiesinger ha affidato il racconto del nostro futuro alla creatività di artisti che in maniera quasi profetica ne hanno disegnato uno, che allora mi turbò e considerai disorientante. In queste settimane di vite colpite o stravolte dal Coronavirus, in cui il mondo ha chiuso le porte e alcuni miliardi di noi vivono e lavorano attraverso strumenti elettronici, ho cambiato idea. La scienza, per nostra fortuna, è instancabile nel trovare soluzioni e risposte. Tutti attendiamo con ansia i risultati dei vaccini in sperimentazione. È la scienza che guarda sempre al futuro, lo anticipa e in parte lo determina. Ma a volte ciò che gli scienziati non riescono a fare è descrivere il mondo che verrà. L’arte lo fa.

marino3-jpg

Nella mostra “Designs for different futures” il servizio di accoglienza è affidato a Q, una guida virtuale genderless perché si ritiene scorretto identificare una voce con un timbro femminile o maschile. Nel futuro non saremo definiti dal nostro genere ma potremo sceglierlo noi stessi: un futuro genderfluid. Q introduce il visitatore in spazi tematici diversi: il corpo umano, il potere, il possesso dei dati, il cibo, la terra e, soprattutto, la nostra privacy. Ed è impossibile non immergersi in un mondo trasformato in futuro dall’arte e dalla scienza. Colpisce “AlterEgo” un oggetto simile alle cuffie di un i-phone che manderà in cantina Alexa.

Perché AlterEgo sa quasi leggere nel nostro pensiero, raccoglie i piccoli movimenti che faremmo per articolare una parola o una frase, ma senza pronunciarla, per poi trasmettere un comando via Bluetooth a un elettrodomestico oppure eseguire una serie di calcoli algebrici solo dalla articolazione dell’equazione, senza neanche pronunciarla a voce alta. Insomma, di umano resta il pensiero ma tutto è mediato da strumenti dotati di intelligenza artificiale che si occupano di noi. Come non riflettere sul fatto che nelle ultime settimane molti si sono affidati ad Alexa o agli algoritmi di Amazon per acquisire ciò che utilizziamo ogni giorno?

Neanche i chirurghi serviranno più a molto. Nella visione di un’altra artista, Agi Haines, gli organi per trapianti, anziché prelevati da una persona deceduta, saranno realizzati da una stampante 3D biologica, simile a quella utilizzata in diverse aziende per produrre mascherine e altri strumenti medicali nelle ultime settimane. E che dire dell’esoscheletro, una struttura robotica da indossare, immaginata per consentire a un soldato di portare pesi molto elevati per distanze impensabili per un essere umano grazie alla forza di un motore che supporta il movimento. Uno strumento che potrebbe, domani, far camminare di nuovo una persona dopo un ictus o condurre all’ospedale più vicino un paziente colpito da un misterioso virus, ammalato ed esausto in una città deserta.

Il percorso indicato da Q porta al padiglione bianco per l’allevamento dei grilli: serve per fare crescere decine di migliaia di insetti utilizzati per creare una sorta di farina ricchissima in proteine. Con la rarefazione sociale scomparirà l’agricoltura e l’allevamento come li abbiamo conosciuti per migliaia di anni e certamente le proteine dei grilli potrebbero risolvere il problema della scarsità di risorse alimentari a causa di una catena produttiva che si è interrotta.

In un’altra sala si viene accolti da un grande video dal quale parla il presidente Obama. È il suo volto, sua anche la voce. Ma non possono essere sue le parole: nel video, che risale al 1990, pronuncia infatti parole di trent’anni dopo in cui commenta la sua elezione a presidente degli Stati Uniti, nel 2009. Magie, o pericoli, dell’elettronica. Con la tecnica del deepfake è infatti possibile insegnare a un computer ad associare le immagini dei movimenti della bocca ai suoni che pronunciamo e sostituirli con un effetto reale.

È impressionante pensare all’uso che se ne potrebbe fare in un futuro dove la conoscenza sarà sempre più basata su cosa ci trasmettono i social e saranno sempre più numerose le persone che per costruire le proprie opinioni si accontenteranno di facili scorciatoie evitando ogni approfondimento. Oggi quanti di noi verificano una notizia trasmessa dai social media? Soprattutto, se si tratta di una chat o di un sito a cui riconosciamo attendibilità crediamo a tutto e sviluppiamo convinzioni e decisioni sulla base di informazioni non verificate.

D’altra parte, si deve riconoscere che è utile poter visionare i giudizi di altri utenti nella scelta di un albergo o di un ristorante. Ma oggi forse in molti scelgono anche i propri parlamenti e i propri governi con lo stesso metodo. Ci sembra di essere liberi e invece siamo sempre più controllati nelle nostre scelte che sia una vacanza, l’acquisto di una automobile o il voto con cui speriamo di eleggere chi possa migliorare la società.

A quanti dati o informazioni abbiamo creduto nelle ultime settimane senza cercare verifiche sulle fonti? Alzi la mano chi non ha letto anche una sola volta le teorie complottistiche sulla creazione del Coronavirus. È probabile che tutto sia stato provocato da qualcuno che ha mangiato un pipistrello o un pangolino ma è certo che l’economia mondiale ne uscirà devastata. Per questo la salute dovrebbe essere considerata un investimento e non un costo.

Al World Economic Forum di Davos, alcuni giorni prima dell’annuncio della pandemia, Arnaud Bernaert ha spiegato come sia nel nostro interesse investire grandi somme per debellare la tubercolosi. Anche se non ci interessassero le vite perdute, la tubercolosi costerà in termini di Pil e di perdite sui mercati globali 983 miliardi di dollari nei prossimi 15 anni. Da non credere. Eppure non mi sembra che sia divenuto un argomento di discussione pubblica né abbiamo visto suscitare preoccupazione il rischio di perdere migliaia di posti di lavoro se ci sarà il crollo di alcuni mercati africani.

E proprio a due artisti africani, Olalekan Jeyfous e Wale Lawal, si deve uno degli elementi espositivi più attuali nella loro provocazione. In un video essi immaginano una città del futuro: ispirandosi alla periferia di Lagos in Nigeria, descrivono un luogo per alcuni aspetti simile alla scenografia di Blade Runner del 1982, ma con il sole al posto della pioggia. Siamo nel 2115 e nel mondo è illegale non essere “connessi” alla rete. Ogni analogia con il discorso in Senato del presidente Conte è puramente casuale. Tutti sono sempre rintracciabili e visibili per le autorità, le aziende, per chi controlla i mercati. E così sorgono luoghi illegali dove per denaro ti affittano un dispositivo che ti permetta di scollegarti dalla rete per un’ora. Non mi è sembrato un video frutto della fantasia di artisti pessimisti sul nostro futuro: mi è sembrato possibile e preoccupante.

Pronunciamo spesso parole che biasimano l’uso della tecnologia e la nostra dipendenza da essa. Ma cosa facciamo per impedire che colossi mondiali acquisiscano tutti i nostri dati e ci analizzino con algoritmi per capire se durante la giornata beviamo una bevanda analcolica oppure caffè? Non voglio dire che la tecnologia sia una sventura: grazie ad essa viviamo molto meglio che nel passato. In medicina sono state introdotte più tecnologie salvavita negli ultimi cinquanta anni che nei precedenti due mila. La nostra aspettativa di vita è più che raddoppiata dal 1900 a oggi. Ma siamo sicuri che non ci siamo avviati su un sentiero che porterà alla perdita della democrazia e della libertà di scelta? Perché qualcuno sceglierà per noi, e non saranno coloro a cui crediamo di aver affidato il governo con il nostro voto.
marino2-jpg

Terminando un percorso suggestivo ma inquietante, la placida voce di Q conduce alle sezioni della mostra dove è la speranza a prevalere. “Another Generosity” occupa una sala con sfere gigantesche di un colore bianco latte. Sono riempite di aria e acqua, gli elementi essenziali per la vita sul nostro pianeta. Alcuni le avranno già viste alla Biennale Architettura di Venezia del 2018, esposte dalla Finlandia. Sono rivestite di piccolissimi sensori che percepiscono i cambiamenti nell’ambiente circostante e la presenza o il contatto con un essere umano. Rilevano le variazioni di anidride carbonica e sospirano in modo lento e ipnotico, sgonfiandosi e rigonfiandosi leggermente, mentre il loro colore si accende alla percezione del cambio di temperatura che il corpo dei visitatori determina. Insomma, come la Terra, reagiscono alla nostra presenza e con il loro respiro queste grandi sfere ci ricordano di come sia essenziale ed empatico il nostro legame con il pianeta.

L’artista ci spinge a riflettere su come dobbiamo spostare la nostra relazione con la natura, da antropocentrica a simbiotica; come, adesso, dovremmo riflettere sulle foto dei satelliti che mostrano una terra quasi sgombra da inquinamento. E sulla lettera di una bambina di 13 anni che scrive: «Il lato positivo dell’essere rinchiusi è che mentre stiamo vivendo questo problema, tutti gli altri problemi sembrano migliorare come, per esempio, l’inquinamento e il cambiamento climatico dato che non possiamo più utilizzare i macchinari che producevano tutto quello smog. Dal mio balcone riesco a notare come giorno per giorno la natura cambia, ho visto gli alberi fiorire per poi cominciare a fare i frutti e ho notato grazie a internet che posti come Venezia stanno cambiando drasticamente, ci sono foto che mostrano come lungo i canali l’acqua stia tornando cristallina dopo essere stata per diversi anni stagnante e come i pesci e le anatre inizino a ripopolarla. Spero vivamente che dopo aver visto come può essere il mondo non ritorneremo alla normalità, ma ci renderemo conto di quanto bella può essere la natura se non è contaminata dall’essere umano...».

Come non pensare all’ultima sala della mostra, con le foto del gigantesco caveau localizzato alle isole Svalbard, a poche centinaia di chilometri dal Polo Nord, realizzato per garantire la biodiversità e la sopravvivenza alimentare della Terra? Tutte le nazioni del mondo custodiscono i semi dei propri territori in questo deposito che permette di riprodurre decine di migliaia di piante di ogni luogo del pianeta. Una sorta di back-up storage dei beni più preziosi per il genere umano.
marino4-jpg

Il caveau è costruito in uno spazio profondo centoventi metri all’interno di una montagna e i semi vengono conservati sottovuoto ad una temperatura di 18 gradi sotto zero. È stato sfruttato una sola volta, nel 2015, per dare i semi alla città di Aleppo dove se ne era perduta la disponibilità a causa della guerra in Siria. Nel 2017, dopo essere stati utilizzati e riprodotti, furono restituiti a questa remota zona dell’Oceano Artico, per proteggerli dalla follia dell’uomo. Tante volte ho sentito affermare che la scienza fosse un’arte. Oggi è molto più tecnologia che arte.

Come la scienza, così l’arte vede ciò che esiste e immagina ciò che ancora non esiste o, per adesso, popola solo i nostri sogni. Ma l’arte è più libera della scienza nell’interpretare il passato, muoversi nel presente e nutrire il nostro inesauribile anelito di speranza nel futuro. Anche adesso, dopo la lezione del Coronavirus.

Ha collaborato Alessandra Cattoi