Riparte la cultura, hanno riaperto cinema e musei, ma per la musica dal vivo – dopo un'estate di convalescenza ed esperimenti, con eventi in versione lite e a capienza ridotta – l'autunno sembra allontanare il ritorno alla normalità. Da ottobre, infatti, in calendario ci saranno pochissimi appuntamenti: alcuni sono stati annullati, molti altri posticipati al 2021, per quanto ancora nessuno sappia con certezza quando si potrà riprendere a pieno regime. Quasi fosse un nuovo lockdown, che però riguarda solo i concerti. «La verità è che, in queste condizioni, col pubblico contingentano di un terzo, non è sostenibile suonare nei palasport e nei grandi locali tipici della stagione che sta arrivando», spiega all'Espresso Demetrio Chiappa, della Fondazione Centro Studi Doc.
La loro stima – riferita all'intero mondo dello spettacolo – è di 200mila lavoratori intermittenti, in un totale di oltre 400mila impegnati nel settore dell'eventistica. Sono le maestranze, e rappresentano ciò che si muove alle spalle degli artisti, ovvero musicisti e dj, ma anche fonici, tour manager, addetti alle luci, elettricisti, scenografi, sarti, assistenti e montatori di palco. Qualificati e altamente specializzati, sono raggruppati in cooperative per motivi di semplificazione burocratica, attivandosi su chiamata in base alle richieste dei cantanti. E scontano più di tutti la crisi: fermi da febbraio, col reddito di ultima istanza per i lavoratori colpiti dall’epidemia come unica indennità per i mesi di marzo, aprile e maggio (ottenuto tra l'altro a fatica, dopo una difficile equiparazione alle partite Iva), i mille euro una tantum del Decreto agosto per l'estate e la prospettiva di un inverno da disoccupati.
Lamentano di essere trattati come hobbisti e non come professionisti, quindi senza riconoscimenti specifici, nonostante siano il motore di un settore che – col proprio silenzio – secondo Assomusica l’estate scorsa ha segnato un rosso di circa un miliardo di euro, di cui 600 milioni relativi all’indotto. Ora ci si aspetta che continueranno a ricevere i 600 euro insieme agli autonomi, ma entrambe le categorie, dice Chiappa, «non potranno lavorare davvero almeno fino a primavera, ed è comunque tutto avvolto nell'incertezza. Una situazione insostenibile, insomma».
Un problema di occupazione
Intanto, si naviga a vista: nell'impossibilità di usufruire delle classiche location, alcuni organizzatori ne stanno sperimentando di nuove, mentre i piccoli locali valutano se protrarre fino a dicembre gli show outdoor, che garantiscono un afflusso di spettatori maggiore e più sostenibile rispetto a quello imposto dall'indoor. Rigorosamente seduti, ovviamente distanziati. Il modello è la Germania, dove di solito si suona all'aria aperta anche a dicembre. «E a noi, in questo senso, sta andando bene: coi grandi eventi fermi, in molti hanno iniziato a usufruire dei nostri servizi da 250-300 paganti, in cui al momento vince la creatività di chi organizza», racconta Alessandro Bottai di OOOH.Events, una piattaforma di bigliettazione indipendente. Operatori come lui sono fra i pochi, nel settore, ad avere visto una crescita dei fatturati con la pandemia. «Chiaro: come tutti, col lockdown abbiamo temuto di cambiare mestiere. Ma ora club e artisti di nicchia sono tornati, scegliendoci per i servizi di ticketing». Il problema, semmai, è la latitanza delle popstar: senza i loro show l'occupazione delle maestranze «resterà molto bassa», puntualizza Chiappa, perché quelle produzioni assorbono «fino a trecento operatori l'una», mentre complessivamente dietro agli eventi di musica popolare lavorano in 60mila.
E, nel frattempo, non è neanche detto che i soldi basteranno. Le piccole venue – fra crisi di liquidità e chiusure – provano a fare affidamento sui 10 milioni stanziati dal Mibact, convertendosi anche al food & beverage. Il fondo Music innovation hub, supportato da Spotify e promosso dalla FIMI (Federazione industria musicale italiana), ha invece raccolto oltre 500mila euro per le maestranze, con appuntamenti di solidarietà come i Seat Music Awards (due serate in diretta dall'Arena di Verona su Rai 1, il 2 e il 5 settembre scorso, con share rispettivamente del 22% e del 20%) e Heroes – Il futuro inizia adesso (6 settembre), il primo grande live italiano in streaming a pagamento. Entrambi hanno visto la partecipazione di decine di artisti (da Zucchero a Gianna Nannini, da Ligabue a Tiziano Ferro), a prova di quanto le difficilotà siano percepite anche fra i cantanti stessi, eppure le prospettive per il futuro latitano.
Prova a immaginarle La musica che gira, un coordinamento di addetti che da un lato chiede sussidi a fondo perduto, riconoscimenti che ancora mancano, sgravi fiscali, e dall'altro propone riforme del settore e investimenti su innovazione e tecnologia. Ma per Doc, comunque, il prossimo inverno sarà «una stagione disperata, in cui c'è persino il rischio della crescita del sommerso. Quei pochi chiamati in causa, infatti, cederanno al ricatto di alcuni service, che per risparmiare pagheranno in nero». Un altro ostacolo, questo, per una mappatura degli operatori già difficile per la diversità delle mansioni in ballo, ma essenziale per garantire a tutti le tutele necessarie.
Stare fermi
Giordano Tricamo è tour manager per Teresa De Sio, organizzatore di concerti, batterista e direttore di una scuola di musica, dividendosi «per necessità e passione, fra partita Iva e intermittenza». La sua è una delle tante storie di precariato, fra multi-committenza e mobilità. Spiega: «Magari lavori tantissimo l'estate, guadagni bene, ma poi non sai che ne sarà in autunno. E le banche faticano a vedere in te una garanzia. Prima del lockdown avevo 15 date in programma come tour manager e un'altra situazione in rampa di lancio: ho perso tutto senza avere niente in cambio. E l'Inps mi nega i sussidi: come libero professionista (in veste di organizzatore, nda) perché essendo anche iscritto a una cooperativa come intermittente (da tour manager, nda) risulto dipendente, ma ovviamente senza cassa integrazione; e come intermittente stesso, continuando a rifiutare le richieste senza addurre motivazioni». Non è l'unico: in tanti, fra gli operatori, lamentano ritardi o esclusioni dalle indennità.
Se non altro, l'estate gli ha dato la possibilità di organizzare un festival nella sua città, a Civitavecchia, seppur fra difficoltà burocratiche e tempi ristrettissimi. «È servito per pagare i debiti, perché le spese, soprattutto con la scuola, non sono mai mancate. Però ora sono di nuovo fermo: ho seguito un solo live come tour manager in tutta la stagione, e per l'inverno non se ne prospettano altri». È lo stesso destino che si aspetta Marco Dal Lago, fonico intermittente già con Elisa e Fiorella Mannoia, fino a poche settimane fa in tour con Francesco Gabbani. «Il lockdown è stato durissimo economicamente e mentalmente, ho perso delle date e ora dovrò restare a casa almeno fino alla prossima primavera», dice. «Certo, tornare in giro è stata una boccata d'ossigeno anche a livello morale, perché il nostro è un mestiere difficile, spesso compensato dalla passione, e io sono stato uno dei pochi ad aver avuto entrate quest'estate». Per questo pensa che in inverno prenderà il sussidio di disoccupazione, ma il punto resta la mancanza di prospettive: «I concerti prevedono l'aggregamento di persone per loro stessa natura, quindi, per una vera ripartenza, serve un vaccino, o un miracolo».
E a rimetterci, comunque, sono anche gli stessi artisti, soprattutto emergenti e indipendenti: «Scrittura e registrazione di un disco valgono fino a due anni di lavoro, con costi da sostenere da soli o dall'etichetta, e che punti a recuperare con gli appuntamenti dal vivo, visto che le copie fisiche non si vendono più e lo streaming paga pochissimo in proporzione agli ascolti», racconta Colombre, nel 2017 in finale al Premio Tenco come miglior esordiente. Lo scorso 20 marzo ha pubblicato il suo secondo album: «Non rimandarlo, durante la pandemia, era questione di onestà, e non me ne sono pentito. Anzi: mi ha avvicinato agli ascoltatori. Però senza concerti i nostri piani sono saltati: per fortuna siamo rientrati con le spese quest'estate, quando mi sono messo in gioco con uno spettacolo nuovo, senza la band al completo ma con due archi; fra mascherine, distanziamento e formazione ridotta, sono stati show simbolici, non live veri. Ed è chiaro che, come i tecnici, anche i cantanti senza suonare vanno in crisi, oltre a perdere un passaggio fondamentale della promozione e dalla costruzione del rapporto coi fan. Per l'inverno non si sa nulla: un locale, in cui avrei dovuto suonare nel tour che da primavera ho rimandato a ottobre, nel frattempo ha chiuso; di cosa stiamo parlando?».
Per arrivare almeno a primavera, dice allora Dal Lago, occorrono ammortizzatori sociali. Quelli, oppure reinventarsi. Tricamo: «Nei prossimi mesi mi occuperò solo della scuola, cercando di recuperare gli investimenti persi. Con le incognite del caso, ovviamente; ma non possiamo fermare anche l'insegnamento». «In effetti, dedicarsi a professioni collaterali potrebbe essere una delle soluzioni più percorse», conferma Chiappa. Finché poi, alla ripresa, non bisognerà vedere chi – di questo personale – risponderà ancora presente, fra locali che chiudono e festival in crisi per mancanza di sponsor. Citando il motto del flashmob che lo scorso giugno ha messo in silenzio il mondo dei live per un giorno, in segno di protesta verso l'assenza di tutele, si rischia un futuro “senza musica”. E senza chi, a quella musica, contribuisce in prima persona.