
Personale sanitario effettua tamponi rapidi a Linate
Regione che vai, tampone che trovi. O che, più spesso, non trovi (se non a caro prezzo). Dalla Lombardia, che sta demandando il compito di effettuare le analisi a laboratori e ospedali privati al costo di 97 euro (ovviamente a carico del cittadino), alla Liguria che non ha previsto alcun punto di screening per chi sbarca al porto di Genova. E ancora, dall’Emilia Romagna, dove si sta sperimentando un nuovo test in grado di offrire un risultato in meno di 13 minuti, al Lazio dove teoricamente l’azienda sanitaria dovrebbe contattare chi rientra dall’estero entro 48 ore per effettuare il test di positività al Covid-19, ma in pratica non va esattamente così, ogni Regione interpreta a modo proprio le disposizioni emanate dal ministero della Salute per contenere e contrastare il diffondersi del Coronavirus.
Risultato? «C’è una grandissima disomogeneità di trattamento, non solo fra una Regione e l’altra, ma anche fra una provincia e quella a fianco. Questo sta creando una grande confusione e, soprattutto, è causa di enormi disuguaglianze, con cittadini di serie A e di serie B a seconda del luogo di residenza», avverte Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva, associazione che vigila sulla qualità del servizio sanitario italiano, che per l’Espresso ha realizzato un dossier utile a raccontare l’arcobaleno di leggi e regolamenti, alcuni dei quali contraddittori, emanati dai governatori e dalle amministrazioni locali per affrontare il rientro dalle ferie dei cittadini.
L’esempio più eclatante lo forniscono Alessia e Daniele, 36 anni lei, 34 lui. Per motivi di privacy chiedono l’anonimato, vivono insieme a Milano, ma lei è residente in Lombardia, lui in Veneto. «Siamo rientrati da una vacanza in Toscana il 17 agosto. Il mio compagno era andato in Veneto a far visita ai genitori, io ero rientrata direttamente a Milano per motivi di lavoro. Il 18 agosto un’amica frequentata durante la vacanza ci informa di essere risultata positiva al Covid», racconta Alessia. Entrambi, nella propria Regione, parlano con il medico curante: Alessia viene chiamata dall’azienda sanitaria di Milano, che per lei dispone subito la quarantena e la informa che verrà presto ricontattata per fissare l’appuntamento dove effettuare il tampone. Anche Daniele chiama il proprio medico, che gli consiglia di presentarsi al più vicino ospedale, dove è stato predisposto un triage apposito per effettuare il tampone. In meno di 24 ore Daniele scopre di essere positivo al Covid-19, entra in quarantena, viene fissato un secondo tampone a due settimane di distanza e richiesto l’elenco delle persone con cui è entrato in contatto in quelle ore. L’intera famiglia di Daniele effettua il test in ventiquattro ore.

Nel frattempo, in Lombardia, le cose vanno diversamente: «Ho atteso oltre tre giorni che qualcuno mi contattasse per effettuare il tampone, ma nessuno si è fatto vivo. Così, grazie a un nulla osta del medico di base, mi sono recata all’ospedale privato San Raffaele per effettuare l’analisi, al costo di 92 euro. Nonostante il tampone avesse dato esito negativo, sono stata comunque confinata dall’Ats in quarantena. L’isolamento, mi è stato detto, terminerà solo quando avrò due esiti negativi di fila. Visti i tempi lunghi per effettuare l’analisi e avere il responso, mi aspetto di trascorrere più di tre settimane relegata in casa, sempre che il secondo tampone confermi il primo esito negativo». Ma la norma dei due tamponi negativi consecutivi, in Lombardia, non vale per tutti: «È a discrezione del medico di base far cessare la quarantena dopo un primo esito negativo», riferisce Alessia, avendo scoperto che altri amici lombardi, che si trovavano nella sua stessa situazione, dopo un primo tampone negativo sono stati esentati dall’obbligo di proseguire la quarantena dal medico di base. Insomma, Veneto batte Lombardia uno a zero: «Abbiamo avuto l’impressione che in Veneto si faccio il possibile per individuare i positivi, anche asintomatici, per mappare i contatti e arginare la diffusione dei virus. Mentre in Lombardia si punta molto sulla quarantena preventiva, sperando che le due settimane di confinamento vengano rispettate per ridurre il contagio».
In base all’indagine di Cittadinanzattiva, solo alcune Regioni hanno recepito in pieno le disposizioni contenute nel decreto ministeriale dello scorso 7 agosto e l’ordinanza del ministero della Salute: in Campania ad esempio, vige l’obbligo di segnalarsi alle Asl entro le 24 ore dal rientro da viaggi in Croazia, Grecia, Malta e Spagna, oltre all’isolamento domiciliare fiduciario di 14 giorni dal rientro, mentre l’obbligo di effettuare il test viene posto in secondo piano. Sempre in Campania, non sono stati allestiti presidi di controllo al porto di Napoli, ma chi torna dalla Sardegna, o altre aree fortemente colpite dal virus, può recarsi all’ospedale Domenico Cotugno per sottoporsi al tampone.
Nei porti toscani di Piombino e Livorno i presidi per i test sono stati allestiti dal 30 agosto, cioè quando il boom della stagione turistica è ormai alle spalle. Al porto di Genova e Savona, che servono l’intero Nord Italia per i collegamenti con Corsica e Sardegna, non viene misurata neppure la febbre all’imbarco dei traghetti, e lo stesso vale per il porto di Olbia, in Sardegna. In Sicilia e nel Lazio sono state create delle piattaforme web per la segnalazione del rientro da un viaggio all’estero, ma non sempre si viene ricontattati dall’Asl per effettuare il tampone. Marco M., cittadino italo-russo, è stato a Mosca per far visita ai genitori: «In Russia c’è l’obbligo di effettuare entro tre giorni dall’arrivo il test molecolare, che viene offerto gratuitamente. I risultati vengono pubblicati su un sito web. Tornato in Italia, a Fiumicino, la situazione mi è apparsa più confusa. Ad esempio, all’aeroporto dovrebbero essere stati allestiti dei covid taxi, ma non li ho trovati, così sono rientrato a casa con un normale taxi. Poi ho contattato il numero verde della Regione Lazio e sono stato posto in isolamento fiduciario in attesa del tampone, che ho effettuato una settimana dopo, mentre l’esito è giunto cinque giorni più tardi. Nonostante risulti negativo al test, per me continua l’obbligo di isolamento fiduciario, perché l’Ats mi ha spiegato che il tampone è solo una precauzione aggiuntiva e, per legge, devo terminare l’isolamento di 14 giorni. Il tutto è demandato all’onestà dei cittadini, che devono autodenunciare il proprio ingresso in Italia. E chi non la fa?». Nessuno se ne accorgerà, dal momento che le Ats locali, prive di personale aggiuntivo, faticano a stare al passo con le segnalazioni, i monitoraggi, i tracciamenti e tutto il lavoro extra venuto dal contenimento del Covid.
In base ai dati forniti dalla Fondazione Gimbe, ente di ricerca sulla sanità pubblica, nel mese di agosto sono stati effettuati 1.824.246 tamponi, i valori per 100mila abitanti variano da 1.390 della Campania a 6.505 del Veneto. Se si escludono i test effettuati due volte sullo stesso soggetto, i casi testati ad agosto scendono a 1.098.704, e si va dai 973 ogni 100mila abitanti in Sicilia, fino ai 3.479 della Provincia Autonoma di Bolzano. «In ogni caso, come già successo in precedenza, è andato in scena l’ennesimo ritardo organizzativo: un’impennata dei contagi nelle località turistiche era ampiamente prevedibile, ma ancora una volta abbiamo lasciato un vantaggio al virus, ponendoci il problema dei test sui vacanzieri organizzando lo screening “in emergenza”», commenta Nino Cartabellotta, presidente di Gimbe, che continua: «Sull’utilizzo dei test sierologici non esistono dati comparativi tra le varie Regioni, che peraltro utilizzano test con accuratezza diagnostica molto diversa tra loro, trascurando che nei primi giorni dell’infezione il test ha una probabilità elevata di false negatività. Riguardo ai tamponi, a livello nazionale si registra un netto incremento dei tamponi totali effettuati, ma con notevoli differenze regionali, che si enfatizzano ancor più se rapportate alla popolazione residente». Dunque, ancora una volta è la qualità del sistema regionale a fare la differenza. Del resto, proprio dalle linee di indirizzo emanate dai governatori delle Regioni dipenderà il livello di libertà personale che i cittadini potranno sperimentare il prossimo inverno.
Come spiega Cartabellotta, infatti, «in linea generale il servizio sanitario sta monitorando la situazione epidemiologica ed è ben organizzato per fronteggiare le emergenze ospedaliere, seppur con un livello di risposta differente tra le varie Regioni. Sicuramente bisognerà gestire in maniera ottimale la convivenza tra coronavirus e virus influenzale, sia aumentando le coperture per la vaccinazione antinfluenzale, sia potenziando i laboratori per effettuare rapidamente il tampone a persone con sintomi influenzali. In assenza di queste misure il rischio è che, con i primi malanni di stagione, i cittadini diventino di fatto ostaggio del sistema in attesa del tampone, con imponenti tassi di assenteismo dal lavoro e dalla scuola». Dunque, difficilmente gli italiani saranno costretti a un nuovo lockdown di massa, ma è molto probabile che molti finiranno ai domiciliari, specialmente in quelle Regioni dove scarseggiano sia le vaccinazioni antinfluenzali, sia il ricorso a tamponi e test sierologici veloci.