La decisione del Comitato per i Diritti umani chiama in causa anche Malta. I due Stati dovranno ora risarcire i sopravvissuti. Nella strage dell'11 ottobre 2013 morirono 268 profughi siriani, tra cui sessanta minori

L'Italia ha centottanta giorni di tempo per spiegare al Comitato delle Nazioni Unite per i Diritti umani cosa intende fare per ripristinare la verità dei fatti sul naufragio dei bambini. Dall'11 ottobre 2013, dopo oltre sette anni dalla strage in cui morirono 268 profughi siriani e palestinesi, tra i quali 60 bambini quasi tutti dispersi in mare, il processo contro i comandanti delle sale operative della Marina militare e della Guardia costiera è ancora all'inizio. Ed è tuttora in corso l'inchiesta sul ruolo della comandante di Nave Libra, Catia Pellegrino, che su ordine del Comando in capo della squadra navale della Marina si era allontanata dal peschereccio alla deriva e nemmeno aveva lanciato in volo l'elicottero di bordo, per valutare al più presto la situazione.

Il pattugliatore della Marina era ad appena un'ora di navigazione: una distanza di diciassette miglia nautiche, percorribili dall'elicottero in una decina di minuti. Per questo il Comitato delle Nazione Unite per i Diritti umani, con una decisione presa in settimana, condanna l'Italia a risarcire i danni subiti dai sopravvissuti al naufragio, in compartecipazione con Malta. Il disastro è infatti avvenuto nell'area di ricerca e soccorso di competenza maltese e il coordinamento delle operazioni era stato assunto dal comando militare della Valletta: anche se dal punto del naufragio l'isola era a 118 miglia (218 chilometri), Lampedusa a 61 miglia (113 chilometri) e la Libra, appunto, a 17 miglia (31 chilometri). Proprio la presenza del pattugliatore italiano sul posto e l'ordine impartito di allontanarsi obbligano quindi l'Italia a una responsabilità maggiore e a rispondere sui gravi ritardi nelle indagini.
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Il ricorso alle Nazioni Unite è stato presentato da alcuni sopravvissuti, patrocinati dagli avvocati Andrea Saccucci e Roberta Greco, con la collaborazione della Human Rights & Migration Law Clinic dell’Università di Torino. Ma tutte le prove su cui il comitato ha fondato la sua decisione si basano sulla lunga indagine difensiva svolta dagli avvocati Alessandra Ballerini di Genova e Emiliano Benzi di Roma, che assistono tre dei sopravvissuti. Tra loro, il medico che con un telefono satellitare aveva chiesto soccorso alla Guardia costiera italiana ed era stato invitato a chiamare l'autorità maltese, nonostante la vicinanza di nave Libra.

Senza le ricerche approfondite degli avvocati Ballerini e Benzi, che hanno raccolto le testimonianze e le registrazioni delle comunicazioni di quella drammatica giornata, il caso del naufragio sarebbe stato inesorabilmente archiviato, come del resto avevano inizialmente chiesto le procure di Roma e di Agrigento. Lo scaricabarile tra l'Italia e Malta era stato rivelato da una lunga inchiesta de L'Espresso, poi raccontata nel 2017 nel film-documentario “Un Unico Destino” coprodotto con Repubblica e trasmesso in esclusiva da Sky Atlantic. Proprio l'inchiesta giornalistica e il film avevano provocato la riapertura delle indagini.

«Siamo molto soddisfatti per le decisioni rese dal Comitato dei Diritti umani, le quali segnano un rilevantissimo punto di svolta nella giurisprudenza internazionale in materia di soccorso in mare», spiega l'avvocato Saccucci: «Per la prima volta, si afferma chiaramente che gli Stati sono responsabili di ciò che accade nella zona Sar di ricerca e soccorso di propria competenza e anche al di fuori di essa, quando vi è la concreta possibilità di intervenire per salvare vite umane. Sono fiducioso che tale principio contribuirà a responsabilizzare gli Stati nelle attività di ricerca e soccorso e nella delimitazione delle proprie aree Sar, evitando qualsiasi vuoto legale di tutela con il pretesto dell’extraterritorialità».
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«La nostra battaglia non finisce qui», continua l'avvocato Saccucci: «L’Italia dovrà ora risarcire le vittime del naufragio, eventualmente concordando con Malta le quote di rispettiva responsabilità per l’accaduto. Malta dovrebbe anche rivedere la sua pretesa di mantenere una zona Sar così ampia, nella quale essa è di fatto incapace di assicurare un intervento in soccorso efficace e tempestivo».

L'Italia rischia ora di dover affrontare altre azioni legali di fronte alla Corte Europea. Mentre la seconda sezione penale del Tribunale di Roma ha avviato proprio oggi il dibattimento nel processo contro l'allora comandante della centrale operativa della Guardia costiera, Leopoldo Manna, e l'ufficiale responsabile quel giorno delle operazioni del Comando in capo della squadra navale della Marina, Luca Licciardi. Il pubblico ministero, Sergio Colaiocco, che aveva ereditato le indagini dopo una prima richiesta di archiviazione, ha contestato loro i reati di rifiuto d'atti d'ufficio e omicidio colposo.

Lo Stato italiano, è scritto nella decisione del Comitato delle Nazioni Unite per i Diritti umani, «ha omesso di spiegare il ritardo nell'invio di nave Libra che si trovava solo a un'ora di distanza dall'imbarcazione in pericolo, perfino dopo essere stata formalmente richiesta in tal senso dalla centrale operativa di Malta. Il Comitato rileva che lo Stato non ha chiaramente spiegato o smentito l'affermazione dei ricorrenti, secondo la quale le telefonate intercettate (registrate, NdR) indicano che alla nave Libra venne ordinato di allontanarsi dall'imbarcazione in pericolo. Alla luce di questi fatti, il Comitato ritiene che l'Italia non abbia dimostrato di aver adempiuto ai propri obblighi...».

Il comitato ritiene inoltre che lo Stato italiano «non abbia fornito una spiegazione chiara della lunga durata dei procedimenti interni in corso, se non un riferimento generale alla loro complessità... In queste circostanze, il Comitato ritiene che lo Stato non abbia dimostrato di aver adempiuto al proprio dovere di condurre un'indagine tempestiva sulle accuse relative a una violazione del diritto alla vita».