Veleni

In Veneto la Regione non controlla più i veleni nelle acque

di Andrea Palladino   5 gennaio 2021

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Il monitoraggio sulla contaminazione da Pfas nelle acque fluviali si è interrotta oltre un anno fa. Ma una ricerca, ancora non sottoposta a peer review, ipotizza un collegamento tra la presenza nel sangue di queste sostanze e il decorso grave del Covid-19

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Niente screening, tutto si è fermato. In Veneto nessuno sta più tracciando la presenza dei veleni invisibili nella popolazione contaminata dai Psas, la pesante eredità della fabbrica Miteni di Trissino, in provincia di Vicenza. La sigla sta per “Sostanze perfluoro alchiliche”, molecole artificiali che si sono diffuse nel mondo a partire dagli anni Cinquanta.

Le acque fluviali che bagnano alcune province venete ancora ne sono piene, come hanno confermato anche le più recenti analisi dell’Arpa, rendendo quella zona una delle più contaminate d’Europa. L’emergenza era scoppiata nel 2013, quando uno studio del Cnr raccontò per la prima volta la catastrofe ambientale. Subito dopo se ne occupò la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e la magistratura. La Miteni - la cui proprietà è passata negli anni scorsi ad una società tedesca - è nel frattempo fallita, lasciando in eredità centinaia di migliaia di persone esposte alle pericolose molecole, con procedimenti penali ancora in corso.

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La reazione della Regione Veneto è arrivata poco dopo. Installazione di filtri lungo gli acquedotti e, soprattutto, il monitoraggio epidemiologico delle persone colpite. L’azione di screening si è però fermata un anno fa, con un ultimo bollettino datato dicembre 2019. «Lo sa che c’è il Covid?», spiegano dalla Regione Veneto, area duramente colpita durante la seconda ondata. E proprio il Covid potrebbe essere un problema particolarmente grave per la popolazione esposta al Pfas.

A mettere in dubbio l’opportunità della scelta della giunta Zaia di sospendere lo screening epidemiologico è uno studio pubblicato il 26 ottobre scorso (in preprint e in attesa di peer review), realizzato da un gruppo di ricercatori danesi guidati dal professor Philippe Grandjean, che ha riscontrato un possibile link tra la presenza di alcuni Psas nel sangue e il decorso grave del Covid-19.

In particolare una molecola inclusa tra le sostanze perfluoro alchiliche, il Pfba - sostanza in grado di accumularsi nei polmoni, secondo i ricercatori - potrebbe essere la causa di un aggravamento delle condizioni di alcuni pazienti. Lo studio aveva come obiettivo la verifica dei fattori di rischio responsabili delle forme gravi della polmonite provocata dal nuovo Coronavirus. L’ambiente ha un ruolo importante: «Il decorso del Covid-19 sembra essere aggravato dall’inquinamento dell’aria e da alcune sostanze industriali, come le perfluoro alchiliche, che sono immunotossiche», si legge nella premessa della ricerca.

Per trovare la correlazione è stato analizzato il plasma di 323 persone, tra i 30 e i 70 anni, con una infezione dimostrata da Covid-19. Il 16 per cento di questo campione ha avuto un decorso grave della malattia, con ricovero in terapia intensiva e, in alcuni casi, un esito infausto. Il rischio relativo (Odds ratio), che doveva essere pari a 1 per escludere una relazione tra presenza di Pfas nel sangue e forme gravi di polmonite, è risultato essere 2,19. Un risultato preoccupante. La sostanza indicata nello studio come correlata ai decorsi più critici del Covid-19 è il Pfba, molecola ancora in uso nell’industria mondiale. La multinazionale 3M, detentrice del brevetto del composto chimico, per ora contesta i risultati della ricerca: «Lo studio non è stato ancora sottoposto a peer review - è il commento dell’azienda interpellata da L’Espresso - né è stato accettato o approvato dalla comunità scientifica». Gli autori della ricerca sono, però, sicuramente autorevoli: l’abstract pubblicato sul sito medRxiv è firmato, tra gli altri, dalla Harvard T. H.Chan School of Public Health di Boston, da due Università e da diversi dipartimenti clinici danesi.

La prima denuncia della pericolosità per l’uomo dei Pfas è del 2002, anno di pubblicazione di uno studio dell’Ocse. Alcune ricerche realizzate negli Stati Uniti - a seguito di un class action da parte della popolazione colpita dalla produzione della DuPont - confermò la pericolosità dei Pfas e la diffusione attraverso l’acqua e il consumo di verdure provenienti dai bacini idrici contaminati.

Sempre dagli Stati Uniti è arrivato un mese fa un altro studio estremamente preoccupante, che ipotizza una riduzione dell’effetto delle vaccinazioni per le persone contaminate da Pfas. La ricerca, condotta dall’Harvard School of Public Health, è in attesa di ulteriori conferme.

La presenza del Pfba, nelle acque venete, è ampiamente documentata dalle analisi realizzate dall’agenzia ambientale regionale. Negli ultimi rapporti disponibili le analisi rivelano una forte contaminazione nell’area del vicentino, con alcuni spot anche in altre province, con picchi di concentrazione di gran lunga superiori ai limiti considerati accettabili.

La relazione sui Pfas della commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti della scorsa legislatura, presieduta da Alessandro Bratti (oggi direttore dell’Ispra), indicava questa molecola come una delle più presenti nell’area di Trissino: «Le sostanze perfluoroalchiliche più frequenti e in concentrazioni più elevate, riscontrate presso la Miteni, sono quelle con quattro atomi di carbonio, cioè Pfba e Pfbs, nonché quelle con otto atomi di carbonio, Pfoa e Pfos».

All’interno dell’Unione europea, intanto, sta maturando la volontà di vietare l’utilizzo di tutte le sostanze Pfas, su iniziativa di Germania, Paesi Bassi, Danimarca, Svezia e Norvegia. Per ora la Commissione sembra adottare una posizione non drastica, annunciando in una comunicazione dello scorso 14 ottobre l’intenzione di vietare l’uso delle sostanze perfluoro alchiliche nelle schiume antincendio, avviando nel contempo la ricerca di molecole alternative. Contro questa scelta si stanno schierando le industrie chimiche, anche attraverso le lobby del settore accreditate presso l’Unione europea: «Stiamo lavorando con la Commissione e i rappresentanti permanenti per evidenziare i benefici dei Pfas», si legge sulla scheda di uno dei più importanti studi legali specializzato in attività di lobby, che opera per conto della multinazionale Chemours, pubblicata sulla piattaforma LobbyFacts.