Emergenza climatica
Hanno le idee chiare, si impegnano in prima persona, spesso sono giovanissimi. Sono di tutte le nazionalità perché la loro è una battaglia comune: «Se non agiamo subito pagheremo noi le decisioni degli adulti»
di Erika Antonelli
C’è una nuova generazione, cresciuta con il mito di Greta Thunberg e l’acqua nella borraccia. Attenta a non sprecare, impegnata sul fronte dei diritti sociali, intenzionata a proteggere quell’angolo di futuro che «i grandi», siano essi i leader mondiali o gli adulti, hanno bistrattato: l’ambiente. Chiedono ascolto, offrono proposte. Se fosse un’immagine, il conflitto generazionale avrebbe il volto di Greta Thunberg e del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, ritratti insieme a Milano qualche settimana fa. Lei in silenzio. Lui intento a spiegarle qualcosa, con il naso fuori dalla mascherina.
Alessandro Bausilio, tredici anni e il volto allegro incorniciato dagli occhiali neri, di stare in silenzio non ha più voglia. Racconta cosa lo ha spinto a impegnarsi in prima persona: «Ogni tanto penso al passato, all’incuria degli adulti. Ma io voglio rimediare. Alcuni temi mi stanno a cuore, ridurre l’inquinamento, favorire la raccolta differenziata». «Cosa fare, però, di pratico?» Incalzato, sciorina idee con lieve accento campano: «Riciclare gli oggetti e la plastica, ridurre l’uso dell’aria condizionata, abbassare le temperature di alcuni elettrodomestici. E poi incentivare l’uso di energie rinnovabili e limitare l’acquisto di cibi che durante la produzione generano grande quantità di gas serra». Anche se la sua regione, la Campania, secondo il report “Italy for climate” elaborato dalla Fondazione dello sviluppo sostenibile è quella con le emissioni di gas serra più basse per abitante. Alessandro, che ama le scienze e da grande vorrebbe fare il neurochirurgo, punzecchiato sui programmi futuri rivela la sua natura di bambino: «Da grande? Non so, mi vedo ancora così. Spero di rimanere invariato».
Come gli altri, anche Aurora Ametrano, coetanea di Alessandro, è stata coinvolta nel progetto “Fuori classe”, promosso da Save the children. «Continuerò a interessarmi di ambiente, non smetterò di dar voce ai piccoli seguendo l’esempio di Greta Thunberg che è riuscita a farsi ascoltare dagli adulti», dice. Il fulcro del loro attivismo è qui, nella contrapposizione tra generazioni, che potrebbe diventare risorsa e non rimanere conflitto. «Credo che i grandi prendano decisioni comode per loro, senza pensare che le pagheremo noi», dice. Ha le idee chiare Aurora, che sogna di diventare scrittrice. «Vorrei fare qualcosa per migliorare l’aria che respiriamo. Chiederei ai politici di installare più colonnine per ricaricare le auto elettriche, così da favorirne l’uso e ridurre l’inquinamento». Nella sua città, Napoli, le piacerebbe organizzare delle uscite con le scuole per raccogliere i rifiuti e tenere le strade pulite.
Alessandro e Aurora, entrambi in terza media all’Istituto Miraglia-Sogliano, hanno diverse ragioni per preoccuparsi del loro futuro. In base al rapporto pubblicato da Save the children, “Nati in crisi climatica”, il costo del cambiamento climatico grava principalmente sulle spalle delle giovani generazioni. I dati mostrano che i bambini nati oggi sono esposti sette volte in più dei loro nonni alle ondate di calore, mentre il rischio di siccità e inondazioni è quasi triplicato. Il team di ricercatori, coordinato dalla Vrije Universiteit Brussel, ha anche sottolineato la correlazione tra inquinamento e squilibri sociali: l’86 per cento delle emissioni globali di Co2 è responsabilità dei Paesi più ricchi, ma sono i piccoli abitanti di quelli a basso e medio reddito a farne le spese maggiori. Le conseguenze sono devastanti: fame, malnutrizione, morte. Eppure, scrivono gli esperti, una soluzione ci sarebbe, limitare l’aumento della temperatura a 1,5 gradi, come sancito dall’Accordo di Parigi.
Ma bisogna agire ora, esorta Justina Kasongo, 15 anni, nata in Zambia. È ambasciatrice della lotta al cambiamento climatico, vissuto in prima persona nel suo Paese. «Le persone che abbattono gli alberi pensano sia normale e giustificano la scelta con motivazioni economiche. Invece è una pratica che andrebbe condannata, perché ha causato inondazioni nella mia comunità, colpendo soprattutto i bambini», denuncia. Sembra di sentire l’eco di Vanessa Nakate, la giovane attivista ugandese che ha conquistato il palco milanese della Youth4Climate, la conferenza dei giovani sul clima, settimane fa: «Molti africani hanno perso la vita, altri i loro beni. La siccità e le inondazioni hanno lasciato dolore, agonia, sofferenza, fame e morte».
Come Nakate anche Justina è appassionata, stanca ma fiduciosa: «Fatico a trovare le parole, non riesco a piangere. Ma se gli artefici dei danni siamo noi, possiamo essere anche salvatori», scrive in una poesia dedicata al cambiamento climatico. «Le inondazioni allagano le strade, i bambini sono costretti a rimanere a casa e non possono andare a scuola. L’acqua sporca causa malattie, acuite dagli scarsi servizi sanitari», dice. Per questo, «il governo dovrebbe favorire il rimboschimento ed educare la popolazione all’importanza di piantare alberi».
Quel verde tanto agognato che ha spinto anche Leo Bezhi, 18 anni, a diventare attivista a Durazzo, in Albania. «Nella mia città mancano parchi, luoghi dove i giovani possano giocare o incontrarsi. Mi impegno in prima linea perché voglio essere il vero cambiamento, altrimenti saremo noi a pagare le conseguenze più drammatiche». Leo dice che i giovani possono essere ambasciatori della consapevolezza, ma sarà poi compito degli adulti introdurre le misure per metterla in pratica.
In Italia, intanto, a conclusione della Youth4Climate, il primo ministro Mario Draghi ha incontrato Nakate, Thunberg e Martina Comparelli, attivista e portavoce di Fridays for future Italia. Si è detto d’accordo sulla necessità di agire subito, ma Comparelli frena l’entusiasmo: «È utile aver parlato con lui, però sono le piazze a cambiare le cose».
Eppure, anche la sinergia tra politica e giurisprudenza potrebbe farlo. Ne è prova il dibattito sull’articolo 9 della Costituzione: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Secondo il presidente emerito della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick la tutela costituzionale dell’ambiente è già contenuta nell’articolo 9, «che esprime il principio di salvaguardare il futuro guardando alle esperienze del passato, senza limitarsi a un presentismo in cui profitto, efficienza e velocità rischiano di diventare i valori dominanti dell’esperienza umana». Mentre per il senatore Gianluca Perilli del Movimento 5 Stelle, promotore della proposta di legge per modificare l’articolo nove, serve un passo in più: «La nozione di “paesaggio” non ricomprende del tutto quella di ambiente, è figlia di un altro periodo storico. Inserirlo invece nella Costituzione significherebbe annoverarlo tra i principi fondamentali, aggiungendo l’accenno alla protezione di ecosistemi e biodiversità per le generazioni future».
A cui non bastano le promesse ma servono fatti. Perché il domani è nostro, dicono, e il cambiamento climatico corre veloce. Più dei «bla bla bla» e delle conferenze sull’ambiente, la prossima a Glasgow, in Scozia, organizzata dall’Onu. Più delle promesse di quei «grandi», ancora una volta termine ombrello per indicare i leader e gli adulti. E finché avranno la percezione di parlare senza essere ascoltati, si terranno stretto quell’unico momento in cui la voce diventa una, e sola, dunque fortissima: la piazza, dove possono urlare.