Centri antiviolenza e case rifugio in attesa dei fondi. Finanziamenti bloccati. Ritardi cronici. Niente prevenzione. I numeri del monitoraggio realizzato da ActionAid

Sono sufficienti pochi secondi per riempire di calci e pugni il corpo di una donna. E basta qualche minuto per accoltellarla, violentarla, bruciarla con l’acido. Quest’anno sono state uccise 103 donne, una ogni tre giorni, ricorda l’Osservatorio analisi criminale della Polizia di Stato, che negli ultimi cinque anni ha contato 599 vite umane portate via da un rapido atto d’ira. Al contrario, ci vuole oltre un anno perché i fondi nazionali antiviolenza siano trasferiti dal Dipartimento per le Pari Opportunità alle Regioni e da queste alle case rifugio e ai centri antiviolenza, ovvero alle uniche porte a cui una donna, sfiancata dalle botte, possa bussare.

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L’Espresso pubblica in esclusiva i dati del monitoraggio fondi antiviolenza “Cronache di un’occasione persa”, realizzato da ActionAid Italia in occasione del 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Giovedì le istituzioni saranno compatte nel denunciare il fenomeno, ribadire l’impegno e promettere fondi. Come ogni anno, però, alle parole non seguono i fatti: «A più riprese il governo ha rilasciato nel 2020 dichiarazioni di pronta attivazione per supportare le donne nel pieno della crisi pandemica, ma non è seguita un’azione tempestiva», si legge nel rapporto.

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I tre milioni stanziati nel 2020, per tenere in vita le strutture antiviolenza, non sono mai entrati nelle casse dei centri a tutela delle donne; altri 10 milioni, finanziati nel 2021, sono fermi alla Conferenza Stato-Regioni, che risale allo scorso 3 novembre. Forse saranno sbloccati in occasione della giornata internazionale contro la violenza, così le istituzioni avranno qualcosa di importante da annunciare quel giorno. Com’è successo l’anno scorso: proprio il 25 novembre il Senato aveva approvato all’unanimità un disegno di legge relativo ai dati statistici sugli abusi femminili: a un anno di distanza quel testo non è ancora stato esaminato o calendarizzato dall’aula della Camera. Scomparso dall’agenda delle priorità anche il piano antiviolenza per il triennio 2021-2023: «È scaduto un anno fa e quello nuovo non è ancora stato reso pubblico. A maggio ci sono state delle consultazioni con le parti sociali, la società civile e le associazioni specializzate, ma non se ne sa più nulla, non è possibile sapere quante e quali risorse le amministrazioni centrali stanzieranno», dice il report ActionAid. 

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Si sa invece che il Dipartimento per le Pari Opportunità, diretto dalla ministra Elena Bonetti, ha erogato sei milioni di euro nel 2021 per consentire alle regioni di potenziare i servizi di protezione delle donne, promuoverne il sostegno abitativo e l’inserimento lavorativo e implementare i progetti di prevenzione. Solo dieci Regioni – Basilicata, Calabria, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Sardegna, Umbria e Veneto - hanno reso pubbliche le informazioni, consentendo di conoscere come sono stati spesi 2,7 milioni di euro, mentre per i restanti 3,3 non è dato sapere se e come sono stati spesi. La maggior parte delle risorse (35 per cento) è usata per aiutare le donne a rifarsi una vita, in una nuova casa e con un lavoro che le renda indipendenti. «Mentre poco o nulla viene destinato alla prevenzione. L’Italia continua ad adottare un approccio emergenziale e, nonostante la politica sia d’accordo nel sostenere che si tratti di un fenomeno strutturale, non fa nulla per prevenirla, ad esempio aggredendo le norme sociali che favoriscono comportamenti violenti e intervenendo tempestivamente per porre fine ai fenomeni di violenza», suggerisce l’indagine.

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Altri dieci milioni l’anno sono garantiti dal Decreto Legge 93 del 2013 per prevenire e reprimere la violenza domestica e di genere. Significa che, in teoria, ogni anno il governo trasferisce quel denaro ai centri antiviolenza e alle case rifugio per assicurarne il funzionamento. In pratica «le risorse per il 2021 non sono ancora state trasferite dallo Stato alle Regioni», nonostante la ministra Bonetti, secondo quanto dichiarato lo scorso aprile, avesse promesso di destinare ben 30 milioni alle strutture. ActionAid lo definisce un grande passo indietro, perché nel 2020, per porre un freno all’exploit di femminicidi e abusi provocati dal lockdown, le risorse erano arrivate ai centri in dieci mesi, anziché nei circa 15 mesi degli anni precedenti: «Scemata la pressione mediatica, la tempestività della politica è drasticamente diminuita e infatti il Dipartimento per le Pari Opportunità ha impiegato sette mesi per trasferire le risorse alle Regioni che, a loro volta, a ottobre 2021, risultavano aver erogato solo il due per cento dei fondi alle case rifugio».

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Dal 2013 a oggi, in base al Decreto Legge 93 del 2013 sono stati stanziati quarantasei milioni, ma per una questione burocratica solo una parte di quei soldi sono finiti per davvero nelle tasche delle case rifugio. Il sistema di liquidazione impone alle strutture di accoglienza di fornire dettagliate rendicontazioni, una polizza fidejussoria e documentazioni che i centri antiviolenza, essendo sprovvisti di personale amministrativo, non sanno fornire.

A conti fatti anche le risorse extra, stanziate nei mesi di lockdown, non sono arrivate a destinazione: dopo un anno e mezzo, solo l’uno per cento dei tre milioni promessi alle case rifugio per far fronte alle spese straordinarie generate dal Covid è stato effettivamente liquidato. Mentre il reddito di libertà, finanziato con due miliardi per contribuire all’indipendenza delle vittime, è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale solo nel mese di luglio, mentre l’Inps ha dato il via libera alle domande solo a novembre di quest’anno, ovvero con quindici mesi di ritardo. Anche lo sgravio fiscale per le cooperative che assumono a tempo indeterminato chi è stato inserito in percorsi di fuoriuscita dalle violenza è stato approvato solo a metà settembre.

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Infine, c’è la totale assenza di un riferimento ai maltrattamenti di genere nel piano di ripresa e resilienza, il Pnrr. Nella prima versione, la violenza contro le donne era esplicitamente riconosciuta essere un ostacolo alla piena partecipazione femminile alla vita sociale, economica e politica del Paese. Nella programmazione degli interventi era stata prevista una sola azione rivolta alle vittime di abusi, nello specifico l’accesso al credito per la creazione di imprese. Uno strumento limitato che, per altro, nell’ultima versione del Pnrr è stata tolta. L’unico breve riferimento alla violenza di genere riguarda la possibilità di comprendere nella platea dei beneficiari di housing sociale anche le donne in uscita da percorso di contrasto alla violenza. Non una riga in più. Ma c’è da scommettere che un fiume di parole verrà speso dalla politica il 25 novembre, per dire che la priorità assoluta è la parità di genere.

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