Lo scienziato Giuseppe Cataldo è tra i progettisti del nuovo super telescopio che sta per essere lanciato nello spazio. E racconta la sua avventura di cervello in fuga

«Dalla Puglia alla Nasa il mio sogno si è realizzato»

Quando da bimbo esplorava la natura con i boyscout di Lizzano, qualche volta Giuseppe Cataldo si incantava a guardare il cielo pugliese con la meraviglia negli occhi. «Ho passato tante notti a fissare le stelle. Ero molto curioso, mi affascinava l’idea di imparare ad orientarmi osservando le costellazioni. Credo che la mia passione per l’astrofisica sia nata così». Il suo sogno è sempre stata la Nasa. «Ma non avrei mai immaginato di arrivarci davvero». Men che meno così presto, visto che il primo piede al Goddard Space Flight Center, a pochi chilometri da Washington, lo ha poggiato nel 2009 a 23 anni. «Mi guardavo in giro e mi chiedevo se fossi sveglio. Non mi sembrava vero». E invece dopo dodici anni, l’ingegnere aerospaziale non solo è ancora lì, ma ha anche messo la sua firma su uno dei progetti più ambiziosi dell’agenzia americana, ovvero il James Webb Space Telescope. Grande quanto un campo da tennis, il successore di Hubble è la più sofisticata “macchina del tempo” mai concepita prima d’ora; uno sforzo internazionale congiunto di Nasa, Agenzia Spaziale Europea e Agenzia Spaziale Canadese, costato oltre dieci miliardi di dollari.

Abbiamo incontrato Cataldo a Washington, per farci raccontare quanto il suo lavoro sia stato determinante per l’avventura del telescopio spaziale è prevista partire il 25 dicembre dalla Guyana Francese sull’Ariane 5. Classe 1985, Giuseppe Cataldo è direttore tecnico di due missioni astrofisiche. È stato a capo di un processo innovativo per la validazione dei modelli matematici usati per progettare il sistema termico di Webb - il più critico, date le condizioni in cui il telescopio si troverà a funzionare nello spazio - per poi proseguire con altri sistemi come quello strutturale e quello ottico (che servirà ad analizzare le deformazioni dello specchio causate dalle variazioni di temperatura). Ha poi diretto il gruppo di lavoro che si è occupato della quantificazione delle incertezze nei modelli, fino ad arrivare alla verifica dei requisiti di progetto. Cataldo ha anche partecipato alla fase di collaudo. «Per mesi con i colleghi abbiamo lavorato senza sosta. Turni continui, di giorno e di notte. Abbiamo messo alcuni sistemi del telescopio in una immensa camera vuota che riproduceva le condizioni dello spazio e abbiamo controllato tutti i dati per capire come Webb avrebbe reagito».

La Nasa ha riconosciuto il suo ruolo, conferendogli l’Early Career Public Achievement Medal, una medaglia per il contributo essenziale al telescopio; il Group Achievement Award per i risultati raggiunti durante la fase di collaudo; e l’Engineering Award per l’innovazione portata nel processo di validazione dei modelli matematici. È l’unico italiano ad aver ricevuto tre premi così prestigiosi legati al Webb.

Questo telescopio, ci spiega Cataldo, «cambierà i libri di scienze, ci permetterà di trovare la risposta a tante domande che ancora ci poniamo, scopriremo cose che oggi non riusciamo neanche ad immaginare. In particolare ci permetterà di capire le origini dell’universo, l’evoluzione delle prime stelle e galassie, quelle che si sono formate subito dopo il Big Bang». L’altra area di interesse sarà quella dei pianeti al di fuori del nostro sistema solare. «Gli strumenti a bordo sono stati concepiti per studiare la composizione chimica dell’atmosfera di questi pianeti. Riusciremo a capire di cosa sono fatti e soprattutto se possano ospitare qualche tipo di vita».

Per conquistare le stelle, Cataldo ha studiato in contemporanea ai Politecnici di Milano (Ingegneria Aeronautica) e di Torino (Ingegneria Aerospaziale) e in Francia all’Institut Supérieur de l'Aéronautique et de l'Espace di Tolosa (Ingegneria Aerospaziale). L’avventura alla Nasa comincia quando, ancora studente, vince un concorso bandito dall’Esa per la Nasa Academy. Dopo meno di un anno gli chiedono di restare. Torna in Europa solo il tempo di discutere la tesi nel 2010. Dai lavori universitari sono venute fuori tante pubblicazioni successive. «Eppure - ci dice con un po’ di amarezza - sono stato penalizzato a Milano in sede di laurea perché la mia tesi era stata fatta all’estero su un progetto non nato in collaborazione diretta con il Politecnico». Ma Cataldo non ha neppure il tempo di elaborare il dispiacere: lo aspettano all’agenzia aerospaziale americana, con un ufficio pronto al Goddard Space Flight Center, un premio e una borsa di studio offertigli dal Nobel John Mather, lo scienziato capo di Webb. La Nasa gli permette anche di frequentare in simultanea il prestigioso Mit di Cambridge, dove fonda le basi per il lavoro svolto per il telescopio sin dal 2014.

Dopo anni di duro impegno, il conto alla rovescia per il lancio è iniziato. La tensione c’è, inutile negarlo. «È tanta. Spero di festeggiare la sera di Natale!», dice ridendo. «Sarò a Milano; da italiano sono felice di seguire l’operazione dal mio paese». Al momento i preparativi procedono senza grossi intoppi. «Dopo il lancio, ci saranno trenta giorni cruciali, in attesa che il telescopio arrivi nell’orbita finale».

Giuseppe Cataldo, intanto, è già proiettato alla prossima sfida: Marte. Sta dirigendo tutta la modellistica del programma di protezione planetaria per l’imminente missione che porterà sulla Terra i campioni di roccia prelevati dal pianeta rosso. Il terzo è stato appena raccolto dal rover americano. «Stiamo progettando la capsula che partirà dalla Terra verso Marte per raccoglierli e riportarli indietro. L’obiettivo è proteggere il nostro pianeta da eventuali contaminazioni che potrebbero derivare dalla presenza di microrganismi marziani. Ci assicureremo di isolarli in modo da non avere problemi quando apriremo i campioni». Si partirà intorno al 2026 e i frammenti arriveranno non prima del 2033.

Cataldo non esclude di tornare “a casa” un giorno. «Ne sarei fiero. Negli ultimi anni l’Italia è diventata un paese molto attivo nel settore aerospaziale. Da questo punto di vista, sta vivendo un risveglio. Sono in contatto con tanti neolaureati che lavorano in aziende innovative che stanno facendo la differenza». E continua: «L’Italia non ha nulla da invidiare a tanti altri paesi. Il problema è la quantità di risorse destinate a questo settore che non è assolutamente paragonabile a quella impiegata qui negli Stati Uniti».

Le sue radici sono ancora vive: un piede è piantato a Lizzano, in provincia di Taranto. «Mio padre e mio nonno erano meccanici. Grazie a loro ho avuto a che fare per la prima volta con l’ingegneria, quella di macchine e camion. Mia madre invece è maestra e mi ha trasmesso l’amore per i libri, per la musica, l’arte». Quando torna, spesso incontra gli alunni della mamma. «Mi piace parlare con i bambini, rispondere alle loro curiosità. Ho conosciuto tanti giovani che sognano di arrivare alle stelle, come succedeva a me. Molti pensano che sia impossibile farlo partendo da un paesino di diecimila abitanti come il mio. Eppure, io sono la dimostrazione che piuttosto bisogna trovare la strada. E poi seguirla fino in fondo».

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