
Entrata in crisi negli anni ’80 e soppiantata dalle più raggiungibili e attrezzate piste abruzzesi, la stazione del Terminillo vuole oggi riassurgere agli antichi fasti. Dopo anni di tribolazioni e progetti respinti, la giunta regionale ha dato il via libera al piano “Terminillo stazione montana”, attraverso una valutazione di impatto ambientale che, con qualche appunto, ha approvato il progetto presentato da un consorzio di Comuni e dalla Provincia di Rieti.
Diciassette impianti di risalita e 7 rifugi per un totale di 37 chilometri di piste, che nelle ottimistiche previsioni degli estensori del progetto dovrebbero attirare 280mila visitatori l’anno e creare diverse centinaia di posti di lavoro. Un’occasione straordinaria di rilancio per un’area marginalizzata e fiaccata dai terremoti del 2016-2017, secondo i promotori. Uno scempio ambientale senza precedenti che, secondo gli oppositori, non ha alcuna speranza di portare i vantaggi promessi.
Facciamo allora un’analisi costi-benefici: per realizzare i nuovi impianti si dovranno abbattere 17 ettari di una faggeta ultra-centenaria. Per rendere usufruibili le piste, saranno consumati 175mila metri cubi di acqua all’anno - oltre a una quantità enorme di energia per trasformare quest’acqua in neve. Il business plan prevede due bacini e vari impianti di innevamento, per una spesa totale di 11 milioni di euro. Nel piano non si fa alcun cenno ai cambiamenti climatici. Si dà semplicemente per scontato che la neve non ci sarà. I dati d’altronde sono inequivocabili: dal 1958 a oggi la stagione sciabile dura in media un giorno in meno all’anno. La neve che è arrivata copiosa quest’inverno (con gli impianti chiusi per pandemia) sembra solo l’eccezione che conferma la regola.
Il progetto parla così di innevamento artificiale sull’80 per cento delle piste. In pratica, gli avventori si troveranno a sciare su manti erbosi coperti da neve sparata con i cannoni. Una sorta di grande luna park, che appare quanto mai inappropriato nel contesto dell’attuale crisi ambientale.
«I sistemi di innevamento richiederanno enormi quantitativi di acqua e creeranno problemi di ricarica delle falde già sottoposte a stress idrico per i cambiamenti climatici. In pratica si sottrarrà acqua ai residenti per far sciare i visitatori», analizza Ines Millesimi, attivista di Italia Nostra e tra i promotori di una petizione lanciata da diverse associazioni su change.org, che ha già ampiamente superato le 20mila firme.
«Colpisce l’unanimità con cui la politica da destra e sinistra difende quest’opera obsoleta», rincara Stefano Ardito, scrittore e viaggiatore, tra i più profondi conoscitori degli Appennini. Le associazioni annunciano un ricorso al Tar e avanzano una proposta alternativa per rilanciare l’area: rinnovare solo gli impianti già esistenti e promuovere un approccio alla montagna più sostenibile, non basato esclusivamente sullo sci da discesa. «È incredibile come nei piani di sviluppo venga sistematicamente ignorata l’“altra neve”, dalle ciaspole allo sci di fondo, dalle passeggiate sui sentieri battuti allo scialpinismo», sottolinea ancora Ardito. Che non lesina critiche alla giunta: «Con questo progetto, il presidente Zingaretti ha deciso di rinnegare il suo stesso programma, in cui indicava la green economy come una delle direttrici strategiche dell’azione di governo».