Nel 1981 Don Raffae’ negoziò con i Servizi la liberazione di Ciro Cirillo rapito dalle Br. Ammise il patto ma non rivelò i dettagli. Minacciò sempre di parlare ma si consegnò al segreto sulle trame italiane

Più segreti che misteri. A chi crede che le trattative Stato-Mafia siano iniziate dopo le stragi del 1992, la vicenda umana di Raffaele Cutolo, il feroce scalatore della Camorra napoletana, morto in carcere a Parma a 79 anni, alle 20.21 di mercoledì 17 febbraio, servirà quantomeno a retrodatare la consuetudine a patti e ricatti.

 

La storia della Repubblica ne è intrisa. E Cutolo ne ha incarnato lo spirito, custodendo la memoria dei dettagli di un quadro che a volerlo guardare bene è sufficientemente delineato.

 

Freddo e determinato, vorace accumulatore con la prosopopea del boss che non ha discendenze da esibire ma voglia di arrivare, il “professore” di Ottaviano conquista a suon di piombo il primato criminale in una buona fetta della Campania che nel novembre del 1980 sarà piegata dal sisma.

Il terremoto è una sciagura, ma, come sempre avviene, per Cutolo e i suoi, solo una formidabile opportunità. Per intessere relazioni, negoziare con la politica da posizioni di forza, fare buoni affari e acquisire benemerenze.  

Poco meno di quarant’anni fa, il 28 aprile 1981 Cutolo è nel carcere di Marino del Tronto, Ascoli Piceno. Vanno a fargli visita agenti del Sisde, il servizio segreto civile. A cinque mesi da quel terremoto che ha devastato l’Irpinia, il giorno prima, l’assessore regionale ai Lavori pubblici della Campania Ciro Cirillo, l’uomo simbolo della ricostruzione malata, e? finito nelle mani delle Brigate Rosse a Torre del Greco.

L’archivio
Colpe di Stato: quando Cutolo parlò all’Espresso
18/2/2021

Un commando di cinque persone ha neutralizzato la scorta del politico democristiano, ha ucciso l’autista e l’agente che lo protegge, ferito il segretario e si è volatilizzato portandosi dietro l’ostaggio.

Stessa dinamica del sequestro di Aldo Moro, il presidente della Democrazia cristiana, sequestrato e poi ucciso nel 1979, in un’azione ancora più cruenta.

 

A differenza di quanto accaduto tre anni prima, questa volta la Dc non tentenna, non si interroga tra fermezza e cedimento. Tratta e subito. E bussa alla porta della cella di Cutolo. Ci vogliono 4 giorni perché il negoziato arrivi al punto di svolta. Ad accompagnare gli agenti c’è Vincenzo Casillo, il braccio destro del boss, che in carcere avrebbe più di un motivo per starci ma da detenuto, visto che è latitante e uno degli uomini di fiducia del rapito. Alla conclusione della trattativa giunge però il Sismi, il servizio segreto militare di allora, in perenne competizione con il cugino civile, nato dalle ceneri della disciolta polizia fascista. Protagonisti sarà il generale Pietro Musumeci, iscritto alla loggia P2 di Gelli, affiancato dal suo fedelissimo Adalberto Titta, e dal faccendiere Francesco Pazienza.

 

E così il 24 luglio del 1981 gli uomini di Giovanni Senzani, il sociologo che insegnava all’Universita? e guidava le Br, lasciano libero Cirillo.

 

Ci guadagnano quasi tutti. Cirillo torna a casa.  Casillo gira per altri due anni con una tessera dei servizi in tasca fino a quando un’autobomba piazzata dalla Nuova Famiglia, il clan rivale della Nco cutoliana, guidata da Carmine Alfieri e Pasquale Galasso, non lo farà saltare in aria.

 

Al Sismi tocca prendersi qualche merito ma cancellare anche un po’ di tracce. I cutoliani fanno man bassa di appalti. Il capo fa completare il repulisti seminando altri morti ma quel che spera davvero non l’otterrà mai.

Andrà decisamente meglio al “viceré” Antonio Gava, leader dei dorotei e capocorrente dell’assessore rapito, considerato il regista dell’operazione. Nel 1988 diverrà anche ministro dell’Interno. Proveranno poi a processarlo per mafia ma lo assolveranno e dovranno anche risarcirlo.

Le Br intascano un riscatto miliardario.

 

Senzani, dopo aver ucciso Roberto Peci, il fratello di Patrizio, il primo pentito delle Br, finira? a dividere la cella con Ali Agca, l’attentatore di papa Wojtyla. Tornerà libero un bel po’ di tempo dopo glissando sempre sulla storia della trattativa.

 

Cutolo, ininterrottamente al carcere duro dal 1993, non è mai entrato nel dettaglio, dosando accenni di rivelazioni, mezze frasi, sorrisi e promesse. Spiegò però: «E? stata la prima trattativa Stato-mafia. Forse anche la mia vera condanna».

 

E in parte aveva ragione. Chi doveva onorare il patto scomparve di scena o ebbe gioco facile nello scaricarlo. E a lui restò solo il carcere e una minaccia inefficace: “Se parlo io, cadono i palazzi”.

 

In cella, da solo, senza la “dama di compagnia” (il detenuto per reati comuni che di solito fa compagnia ai superboss) per tacito accordo con le guardie dava un colpo di tosse ogni quarto d’ora e rassicurava i custodi sull’esistenza in vita. Per il resto, silenzio. Come quello che nelle carceri gli hanno tributato i detenuti all’indomani della notizia della sua morte, sospendendo il rito del buongiorno mattutino tra le gabbie.