Avviata una trattativa da Fincantieri per il "supporto logistico", pezzi di ricambio e di riserva per le due Fremm già vendute al regime di Al Sisi. E il generale vuole esercitare l’opzione, come previsto dal contratto per un’altra coppia di fregate. Per l’Italia, nonostante Regeni e Zaki, il Cairo è un cliente e un alleato necessario

Si può dire che l’Italia abbia deciso, senza dirlo agli italiani, di armare ancora il regime egiziano di Abdel Fattah al Sisi. Il generale ha ottenuto le due fregate di classe Fremm a lungo bramate, una l’ha ricevuta lo scorso dicembre, l’altra è pronta a salpare dalle officine liguri e da buon cliente soddisfatto - questa è la novità - si prepara a ordinarne altre due, come previsto da una postilla inserita nel contratto firmato lo scorso anno e sottaciuta dal governo giallorosso di Giuseppe Conte. Nell’attesa, negozia con gli italiani il costo del “supporto logistico”, pezzi di ricambio e di riserva, per la prima coppia di fregate.
Al Sisi viene reputato un compratore facoltoso e un alleato necessario in quel lembo di Africa e soprattutto di Mediterraneo in cui si concentrano gli interessi e le debolezze di Roma. Lo si può dire perché lo dicono i fatti. Invece il baratto fra le commesse belliche e la verità su Giulio Regeni o la liberazione di Patrick Zaki - proditoriamente vaticinato dai partiti - non ha funzionato. Le fregate sono arrivate, la giustizia no.

 

Il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi 


LA NUOVA SPEDIZIONE
Il capo di Fincantieri si chiama Giuseppe Bono. Chi gestisce un’azienda statale per quasi vent’anni non è soltanto un amministratore delegato. Bono non ha pensato mai di portare la pace con le bombe. Fincantieri fabbrica navi civili e militari. Così retribuisce i suoi operai. Un paio di anni fa l’Egitto si è fiondato sul mercato per rinforzare la sua flotta. Voleva delle fregate, le voleva subito. Con una manovra azzardata, e la copertura politica del governo giallorosso, Bono propose al Cairo le fregate assegnate alla Marina italiana, già bardate col tricolore, le due intitolate ai palombari Emilio Bianchi e Spartaco Schergat, medaglie d’oro al valore militare. La “Bianchi” e la “Schergat” erano gli ultimi esemplari prodotti dal consorzio italiano Orizzonte sistemi navali, controllato da Fincantieri col 51 per cento e partecipato da Leonardo (ex Finmeccanica). Bono ha scatenato una rivolta ai massimi livelli dello Stato maggiore della Marina italiana e l’imbarazzo dei ministri e dei partiti inchiodati alle proprie responsabilità. E sebbene la legge 185 del ’90 impedisca di cedere materiale bellico ai Paesi che non rispettano i diritti umani, che sono invischiati in un conflitto o che aggirano embarghi internazionali, la Orizzonte sistemi navali è riuscita a sottoscrivere con l’Egitto un accordo per due fregate più due da “opzionare”. Le leggi si interpretano, non si applicano, se prevale una determinata ragione di Stato. Questo dimostra che la commessa realizzata lo scorso anno non era un rapporto occasionale, ma un sodalizio più profondo fra il Cairo e Roma. Tant’è che qualche settimana fa, non più tardi di due mesi dalla denuncia contro il governo italiano della famiglia Regeni proprio per le presunte violazioni della legge 185 del ’90, il consorzio ha presentato l’ennesima richiesta all’Autorità nazionale (Uama) che fornisce le licenze per le esportazioni di armamenti. Stavolta Orizzonte sistemi navali ha notificato l’apertura di una trattativa per il “supporto logistico” agli egiziani per le due fregate.

 

Manifestazione e fiaccolata in ricordo di Giulio Regeni

Un contratto naturale per un acquirente di Fremm, però non esattamente scontato, comunque necessario per consentire ai fornitori di Orizzonte sistemi navali e pure al socio Leonardo di guadagnarci dall’operazione con Al Sisi. Bono ha lavorato per sé, per allungare il programma Fremm, che era vincolato alla Marina italiana e di fatto in scadenza nel 2021, dunque il prezzo per il Cairo era un prezzo di favore, scarsi 1,2 miliardi di euro tutto incluso. Come ha svelato l’Espresso, c’era anche l’intoppo da 140 milioni di euro per la conversione tecnica delle fregate, cioè le spese sostenute per smontare l’apparecchiatura destinata a un membro Nato come l’Italia e montare quella ordinata da un regime estraneo al patto Atlantico come l’Egitto.

 

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LA SCELTA GEOPOLITICA
Fincantieri ha avviato un mese fa il complesso percorso per costruire le due fregate alla Marina italiana. Ci si impiega dai quattro ai cinque anni. Per sedare le proteste dei militari, che addirittura si erano appellati con lettere ufficiali al ministero della Difesa, si era pronosticato il varo nel 2024. Già oggi si può posticipare l’evento al 2025. Al Sisi non deve temere di restare in coda, può annunciare l’opzione per le altre due fregate. Fincantieri garantisce la stessa data degli italiani, il 2025, anche per gli egiziani.

 

Giuseppe Bono, Amministratore Delegato Fincantieri


Lo Stato maggiore della Marina italiana ha più volte esposto i danni patiti per l’addio alla Schergat e alla Bianchi: mezzi obsoleti, denaro già investito, perdita di prestigio, «ricadute sulla capacità dello strumento aeronavale di adempiere ai compiti istituzionali in campo nazionale e internazionale». Niente ha evitato o rallentato l’intesa con l’Egitto. Non era possibile, nonostante i proclami delle istituzioni persino dinanzi alla commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni. Per l’Italia è un’intesa preziosa. Irrinunciabile. Quanto inconfessabile. Si fa, non si dice. Ora lo dicono i fatti. Quantomeno, loro, non sono ipocriti.