In aumento le violenze domestiche sui minori. Sia sessuali che psicologici. I dati inediti di Telefono Azzurro su questi lunghi mesi di pandemia (Foto di Alessandro Tosatto)

Una cartina geografica di fili rossi disegna le braccia. Chiusa in una stanza. Il silenzio di una lametta che taglia in superficie, a volte affonda nella carne, tracciando nuove strade di dolore. Il sangue cade sul pavimento. Le gocce rosse sono la rabbia che fugge dal corpo per posarsi all’esterno. Angelica ha 15 anni. Digita sul telefono il 114, il numero del Servizio Emergenza Infanzia promosso dal Dipartimento per le Politiche della Famiglia e gestito da Telefono Azzurro. Il racconto arriva con la cattiveria di un’età che cambia. Vittima di bullismo al liceo. «Non ho amici e i pochi compagni di classe che non mi offendono, non mi salutano», dice all’operatrice in ascolto. L’autolesionismo è il modo che utilizza Angelica per gestire il rifiuto. La psicoterapeuta che l’ha presa in cura la sta aiutando, il percorso è iniziato e i tagli sono sempre meno frequenti. Il lockdown, la didattica a distanza sono una consolazione alla paura della riapertura della scuola. A settembre varca di nuovo il portone. In classe arriva una voce: «Cogliona», poi un altro compagno: «Questa volta ti faccio sanguinare io». Si sente male e chiede di essere riaccompagnata a casa. Dal quel giorno non rivedrà mai più il banco. Quando chiama il 114 ha una crisi, è consumata dall’angoscia. Angelica non vuole tornare. Angelica vuole la scuola chiusa. Angelica è una ragazza di 15 anni, una delle tante che ogni giorno digita il 114 per sussurrare la disperazione del tempo sospeso.

 

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È nei numeri del report inedito fornito a L’Espresso dal Centro Studi, Ricerche e Sviluppo di Telefono Azzurro che le voci diventano un dipinto nitido. Soli, divorati dai problemi familiari, angosciati, stanchi. Esuli a casa loro. Un racconto a più voci,  iniziato dai reparti di neuropsichiatria infantile  e che adesso entra nelle case dei giovani adolescenti. Un racconto che si ripete nei suoi problemi e nei suoi drammi, ma che il mondo della politica continua a considerare come inesistente. «Nell’anno compreso tra il 15 febbraio 2020 e il 14 febbraio 2021», si legge nel report, «il Servizio 114 Emergenza Infanzia ha gestito 1.885 casi, ovvero 157 al mese e 5 al giorno. Comparando lo stesso periodo con l’anno precedente, si è registrato un incremento di casi di circa il 6 per cento e un aumento del 10 per cento dei minori coinvolti, principalmente nel ruolo di vittime, per un totale di 2.235 segnalazioni». Simona Maurino, psicologa di Telefono Azzurro e responsabile del Servizio 114 Emergenza Infanzia, spiega: «Stiamo assistendo a un aumento del rischio per la salute mentale nelle nuove generazioni. Un’onda lunga della quale vedremo i risultati solo tra qualche anno». Un’onda lunga dove crescono del 22 per cento abusi e violenze, tra le cui declinazioni aumentano del 39 per cento gli abusi psicologici, del 18 per cento gli abusi sessuali.


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ABUSI SESSUALI
Teresa ha 12 anni. Non chiama, ma invia messaggi alla chat del servizio d’emergenza. Dice di essere confusa e spaventata. Poi chiede se può parlare per un’amica. L’amica è Rachele, 13 anni. Ha dei lividi sul corpo, ma ogni volta che Teresa cerca una spiegazione la risposta è una scusa. Esausta, decide di raccontare delle violenze subite, del padre che picchia anche la madre. Ma il racconto continua, perché Teresa dice che «ultimamente è molto triste, e io sarei disposta a fare di tutto per la mia amica». La domenica, scrive la ragazzina di 12 anni in chat, quando la mamma di Rachele va alla messa, il padre la tocca. La madre è ignara di tutto. Un abuso sessuale che si consuma in un’ora, al punto che «arriva a spogliarla e un giorno a farle male», scrive la bambina terrorizzata. Rachele vacilla e scopre che l’unico modo per spezzare l’abuso è confessare tutto all’amica prima che il lockdown finisca.


Teresa è una storia che si intreccia ai dati. Simona Maurino, che lavora da quasi dieci anni a Telefono Azzurro, spiega: «Durante la prima ondata, i servizi territoriali hanno avuto un forte rallentamento e in alcuni casi sono stati chiusi. Anche noi ci siamo trovati in grande difficoltà ad interfacciarci con i servizi e le agenzie del territorio. Ed è per questo che molti minori ci hanno contattato più volte, anche perché abbiamo registrato durante i periodi di chiusura tante situazioni di violenza domestica nuove ed esasperate». I servizi territoriali ancora tentennano, mentre una generazione attende. Nessuno ne parla, in pochi denunciano, le istituzioni guardano alle aperture colorate, mentre l’arcobaleno dell’infanzia sfuma. Il Parlamento tace.


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LA DIDATTICA A DISTANZA E LA CHIUSURA DELLE SCUOLE
Zoe ha 14 anni. Contatta il 114 tramite chat. Il suo è un maltrattamento reiterato. Ha paura di stare in casa. Il giorno prima la madre si è arrabbiata per motivi banali, ha iniziato a picchiarla, lei si è chiusa a chiave in camera. Dopo un po’ ha deciso di aprire la porta e la mamma ha iniziato a colpirla a pugni, graffiandola. «Ti uccido di botte», le ha urlato. Non sapendo come chiedere aiuto ha aspettato il momento della didattica a distanza, ha detto all’insegnante di avere bisogno di un supporto e di lasciarla connessa durante la lezione, così che lei potesse allertare il Telefono Azzurro. Racconta una situazione così grave da chiedere l’arrivo delle forze dell’ordine, al quale è seguito l’allontanamento dalla famiglia. Ed eccolo, uno dei problemi principali: la chiusura delle scuole ha ucciso i punti di riferimento. Maurino guarda il database e sottolinea: «Le chiusure hanno fatto in modo che i minori stiano meno a contatto con gli adulti fuori dai contesti familiari. Adulti che possono segnalare situazioni di pregiudizio o di pericolo. Il fatto ad esempio che gli insegnanti non vedano più i propri allievi a causa della Dad crea un grande rischio». Un rischio percepito nei dati, che sgretolano la barriera dell’omertà che si è creata di fronte a una generazione inascoltata.

 

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Chi chiama o scrive al Telefono Azzurro parla di un forte malessere e di un grandissimo senso di stanchezza. Vogliono riprendere le loro relazioni, ma ci sono anche quelli che dopo un anno temono di tornare a scuola perché non si sentono più in grado di interagire con gli altri. Tra questi i giovani presi di mira dai compagni, o ragazzi timidi che faticano a entrare in empatia. Due polarità. «Dai racconti dei ragazzi », dichiara Maurino, «si scopre che sono soli sebbene iper-connessi, una solitudine data dall’impossibilità del contatto. Questo aspetto ci conferma il valore della socialità, che è un valore fondamentale, e la sua funzione nello sviluppo identitario».

 

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Flavio 15 anni. Contatta il 114 in chat. Scrive: «Mi mancano i miei amici, fare le cose che facevamo prima. I nostri posti preferiti». Gli pesa non vedere più nessuno, una rottura che si riflette anche con i genitori: «Siamo tutti insieme, stretti come sardine, ma impegnati ognuno nelle proprie cose». Dice di non aver mai provato queste sensazioni. Flavio si chiede se mai riuscirà a riprendere i normali rapporti con gli amici. «Non è che non vedendoci per tutto questo tempo», scrive, «le cose tra noi cambieranno? Per la prima volta penso alla morte».


ABUSI PSICOLOGICI, VIOLENZA E LOCKDOWN
Rebecca, 14 anni. Lei usa Whatsapp per chiedere aiuto. Scrive: «Mi sto spegnendo, la testa mi dice cose che mi fanno paura e ho bisogno d’aiuto». Una famiglia devastata dalle continue discussioni. Il papà ha perso il lavoro in concomitanza con il lockdown. E, sempre in chat: «Piango tutti i giorni, la situazione è peggiorata, mi sento in depressione quasi tutto il tempo. Per il forte stress ho macchie sulla pelle, perdo capelli, non ho più l’appetito». Anche lei si taglia la pelle con la lametta, ma va a fondo provocandosi delle grandi cicatrici. Rebecca aveva da poco intrapreso un percorso di sostegno, che però si è interrotto con la chiusura. È rimasta sola e senza riferimenti.


Rebecca soffre. In questa chiusura l’incertezza del futuro ha sbaragliato i punti fermi, e i genitori sono sempre in apprensione. Loro diventano valvole di sfogo e assorbono le paure costanti di chi li ha cresciuti.

 

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«Da maggio in avanti», aggiunge Maurino, «uno dei temi che ha iniziato a emergere è la preoccupazione della perdita del lavoro dei genitori. Si è inoltre parlato poco dei disturbi psicopatologici, come il disturbo ossessivo compulsivo da contaminazione, esasperato da questa situazione». Come per Benedetta, 13 anni. Il padre ha sviluppato un’ossessione da Covid-19. Controlla ogni suo movimento. Nessuno può toccare nulla in casa se prima non si è igienizzato le mani. Tenta di strozzarla perché si è avvicinata troppo alla pentola dove sta cucinando la cena. Ha paura di ammalarsi, una paura incontrollata che porta il genitore a comportamenti ossessivo-compulsivi. Il Covid-19 lo terrorizza e così si scaglia contro Benedetta, che esausta e impaurita dalle violenze contatta il 114.


Lombardia, Campania e Lazio: sono queste le regioni in cui si riscontrano più casi. Ma non è la divisione territoriale a dare una visione del problema. È il silenzio esasperato a chiedere risposte urgenti.