I diritti calpestati
Non solo omofobia: la piaga dell’odio contro i disabili
Insulti, aggressioni, opportunità negate. Nella vita reale e sui social. Sono i troppi crimini di abilismo (Foto di Salvatore Esposito)
Con questa inchiesta L’Espresso si aggiudica il premio per il Miglior Articolo Stampa Periodici ai Diversity Media Awards. La settima edizione degli “Oscar dell’Inclusione”, ideati dalla Fondazione Diversity ha premiato contenuti mediali e personaggi che nel 2021 hanno contribuito a una rappresentazione inclusiva delle persone e delle tematiche legate alla diversity. Tutti i premi qui
«Uno esce di casa e se lo aspetta». Non c’è rabbia, solo rassegnazione in fondo alla voce di A., 34 anni, romano. «Handicappato del cazzo, levati», una spinta alla carrozzina, ancora qualche insulto e poi uno sputo. «Erano tre ragazzini. Per loro ero un intralcio», racconta. «Succede. Cosa fai? Denunci? Non voglio problemi, allora mi sono messo da parte e ho aspettato che se ne andassero», sospira. A. è vittima di abilismo, termine ancora estraneo a buona parte del paese. La Treccani lo ha inserito nei neologismi soltanto nel 2020 e oggi inizia a farsi spazio nel dibattito pubblico grazie alla legge Zan, approvata alla Camera il 4 novembre e ferma attualmente a Palazzo Madama: misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità.
In Italia abbiamo familiarità con il razzismo, l’antisemitismo (reati puniti dalla legge Mancino-Reale) e con l’omotransfobia (reato sconosciuto dai codici ma noto alle cronache). L’abilismo invece è il crimine nell’ombra di un Paese che non lo nomina né lo riconosce. Riguarda tutte quelle violenze fisiche, alla proprietà e verbali perpetrate ai danni delle persone con disabilità. Crimine d’odio che ha nella nostra società lo stesso destino delle persone di cui parla: spesso dimenticato, sottovalutato e nascosto. Eppure, non è un fenomeno marginale. I dati raccolti dall’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali del dipartimento per le Pari opportunità della presidenza del Consiglio dei ministri, ci raccontano di un Paese dove soltanto nel 2019 si sono registrate 188 segnalazioni, un miglioramento rispetto al 2018 che aveva segnato 221 casi di abilismo. Il 2020, invece, ha registrato una flessione pari a 49 casi di aggressioni nei confronti delle persone con disabilità, confermando una tendenza che vede in calo moltissimi reati a causa delle misure di confinamento dovute alla pandemia di Covid-19. Sono numeri relativi, sottolineano dall’Unar: parziali, poiché fanno riferimento solo a casi denunciati e segnalati dalla stampa.
L’abilismo, come l’omotransfobia e la misognia, trova aderenza nella società attraverso linguaggio, cultura, accessibilità e contesti sociali che rifiutano le persone con disabilità. È il caso di Gianluca, padre di due figli, dei quali uno gravemente disabile: «Non ci affittano casa perché ho un figlio disabile e temono di non poterci più sfrattare. Quando racconto questo dettaglio ogni possibile trattativa salta». Da più di sei mesi è alla ricerca di una casa in cui trasferire la famiglia. Una storia come tante, la crisi sanitaria ed economica frenano le opportunità di lavoro e di conseguenza le garanzie economiche che può offrire. Chiede garanzie ai familiari, ma la pratica per trovare un posto dove vivere con il figlio continua a incepparsi e a saltare: «Alcune agenzie me lo hanno spiegato bene il problema: non sono considerato un buon pagatore, almeno sulla carta, e se un giorno non potessi pagare l’affitto il padrone di casa non potrebbe nemmeno darmi lo sfratto perché non si possono mettere in strada le famiglie con disabili».
Ci sono episodi che restano all’ombra e altri che riescono ad avere una forte ribalta mediatica, come il caso di Beatrice Ion, 23 anni, stella della nazionale italiana di basket paralimpico e giocatrice dell’Amicacci Giulianova. È di origini rumene, ma vive in Italia da 16 anni. Beatrice è poliomielitica e usa una carrozzina per muoversi. Nell’estate del 2020 viene aggredita ad Ardea da un uomo, infastidito dal fatto che la giovane avesse un posto auto per disabili: «Vivo in Italia da 16 anni ho la cittadinanza italiana e ho fatto qui tutte le scuole. Continuo gli studi all’università, gioco a basket in carrozzina con la nazionale italiana e mi considero in tutto e per tutto italiana. Eppure, sono stata aggredita. Mio papà è in ospedale probabilmente con uno zigomo rotto perché a detta loro siamo stranieri del cazzo che devono tornare al loro paese. Tralascio le offese che mi sono presa perché sono disabile». Al grave episodio di violenza e insulti sono seguite anche minacce e diffamazioni attraverso i social, contro cui il padre di Beatrice ha sporto denuncia.
È un caso di discriminazione multipla: cioè quando la condizione di discriminazione è vissuta da una persona sulla base di più fattori. Nel caso di Beatrice Ion: razzismo e abilismo.
Ci sono reati che si consumano tra le mura di casa. È la storia di un’adolescente di 15 anni, con una disabilità fisica e psichica, abusata per quattro mesi, mentre lei doveva seguire nella sua stanza corsi della didattica a distanza e sua madre, che lavora come badante, non era in casa. L’uomo, un quarantesettenne che con la sua compagna aveva preso in affitto una camera nell’abitazione della madre della ragazza, è stato arrestato per violenza sessuale aggravata. Diceva che avrebbe aiutato la quindicenne a seguire la Dad e invece, proprio in quelle ore, tra novembre e febbraio scorso, commetteva la violenze.
Nella maggior parte dei crimini per abilismo registrati nell’ultimo anno, l’aggressore è un estraneo, in altri casi un operatore socio-sanitario. Il 16 marzo un uomo insulta e picchia senza alcun motivo apparente l’uomo che assisteva da mesi. L’aggressione avviene nella tarda serata, in un appartamento in via Morganti a Milano dove il badante e il suo assistito, un uomo di 48 anni affetto da sclerosi multipla, convivevano. Prima gli insulti e poi le percosse. La vittima riesce fortunatamente a chiamare le forze dell’ordine prima che la situazione precipiti. La denuncia è maltrattamenti contro conviventi.
È rabbia che scatta anche nei momenti di allentamento del lockdown. Il 30 dicembre Roma è in zona arancione, Sonia passeggia con suo marito Alessandro nel quartiere di Centocelle. Entrambi con un deficit visivo che li rende «disabili della vista». «Un automobilista ha cercato di infilarmi le dita negli occhi, mi ha strappato la mascherina e, non contento, mi ha spinto a terra», racconta. Motivo: «Non si era fermato sulle strisce pedonali e con il bastone io avevo urtato la fiancata della sua auto». La gente, i rumori tutto si confonde. Nella popolosa via dei Platani, nessuno muove un dito. L’aggressore è «abile», si muove bene, ferma la macchina, scende e decide di dare una lezione alla donna e al marito. «Attorno a noi chi rideva, chi passeggiava indifferente e chi addirittura bloccava mio marito che cercava di chiamare i carabinieri. L’uomo è scappato. Nessuno ha preso il numero di targa».
Sono casi di violenza che svelano il sentire sullo sfondo. Indifferenza, rifiuto. Molte segnalazioni di discriminazione verso persone con disabilità pervenute all’attenzione dell’Unar, hanno principalmente riguardato il mancato rispetto delle norme per il superamento delle barriere architettoniche: da parte di enti pubblici, di privati esercenti, di cittadini che occupano parcheggi per disabili abusivamente. Il disinteresse e il cinismo, la mancanza della cultura civica che costringe una parte di cittadini a compiere con fatica, nella quotidianità, azioni semplici e banali.
Lo racconta bene Lorenzo, 23 anni. «È successo il 20 marzo a Milano. Con il mio accompagnatore siamo andati alla fermata dell’autobus. Ci avviciniamo alla porta dell’autobus, chiusa. Chiedo di poter salire. L’autista non mi guarda e si rivolge al mio accompagnatore: “La signorina cammina?” Rispondo di no, e che non sono una signorina, e chiedo quindi di potermi aprire la pedana. La replica è secca: la pedana non c’è. Ma gli adesivi blu col simbolo della carrozzina sono in ogni parte dell’autobus. La pedana è proprio lì, a un metro da me. Lo faccio presente, la indico con la testa, faccio anche notare il tasto col simbolo della carrozzina che indica la pedana. Ottengo come risposta: allora vai a premerlo. Non posso muovermi da solo. È evidente. Così il mio accompagnatore va a premere il tasto col simbolo della carrozzina, che scopriamo essere collegato ad una spia sul cruscotto dell’autista. Ma l’autista risponde che gli adesivi di accessibilità sono finti. Non posso salire».
Gli attacchi alle persone con disabilità corrono anche in rete. Discorsi intrisi di odio e di discriminazione, ridicolizzazione, violenza verbale. I numeri emergono dalla quinta edizione della Mappa dell’intolleranza, voluta da Vox, l’Osservatorio italiano sui diritti e realizzata per analizzare il fenomeno dell’odio sulla rete sociale. «La disabilità è ancora additata come minorazione da non accettare. In piena emergenza pandemia, tra marzo e aprile 2020, l’odio in rete si è rivolto soprattutto contro chi aveva più bisogno di cure».
Alcuni casi riguardano l’adozione di un linguaggio inappropriato (ad esempio, il termine «handicappato») e di parole ironiche e dispregiative riferite a specifiche condizioni di disabilità (ad esempio, verso le persone con sindrome di Down). «Persiste l’utilizzo inopportuno e offensivo di immagini di persone con disabilità in manifesti e campagne di comunicazione», come dichiara il direttore dell’Unar, Triantafillos Loukarelis: «Usare le parole e le immagini della disabilità per offendere è un fenomeno purtroppo dilagante soprattutto sui social, che alimenta pericolosamente la cultura del pregiudizio e della discriminazione».
Tra queste è noto il caso della pubblicazione su Facebook di un’immagine ostile verso gli esponenti di Italia Viva, in cui venivano rappresentati i volti reali su corpi di persone acondroplasiche, creando un fotomontaggio offensivo e sprezzante, con l’effetto di ferire e violare la dignità delle persone di bassa statura, associandole a qualità negative quali: ridicolo, scarsa statura morale e irresponsabilità.
L’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali ha sottolineato come l’Italia, diversamente da altri Stati membri, ignori l’abilismo come crimine d’odio. Human rights watch, già dieci anni fa aveva rilevato che, pur esistendo la legge 205 del 1993 (legge Mancino), il nostro Paese fosse carente di qualsiasi riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere e alla disabilità. In molti casi, un reato contro disabili non viene giudicato come un crimine d’odio, ovvero come un atto violento generato da un sentimento di discriminazione, odio e pregiudizio contro una specifica categoria sociale, escludendo frequentemente la possibilità di poter applicare l’aggravante prevista dall’articolo 36 della legge 104 del 1992. «L’abilismo si nutre della stessa subcultura che alimenta l’omotransfobia», spiega Carmelo Comisi, portavoce del Disability pride network: «La proposta di legge Zan vuole giustamente impedirne le espressioni più odiose e cruente. Siamo affianco al mondo Lgbt in questa comune battaglia di civiltà. E lo saremo con tutte le persone che, come noi, devono lottare quotidianamente per affermare il proprio diritto alla felicità. Uniti possiamo sperare in una società inclusiva che non tema, bensì valorizzi, le cosiddette diversità».
Della stessa opinione anche Silvia Cutrera, vice-presidente della Fish, Federazione italiana superamento handicap: «Sono in aumento i comportamenti discriminatori contro le persone con disabilità originati da pregiudizi e stereotipi, dalla violenza sessuale ai maltrattamenti e alle violenze nelle Rsa, al bullismo e al cyberbullismo», sottolinea Cutrera, responsabile del gruppo donne della stessa Federazione: «La persona con disabilità può subire ulteriori discriminazioni inerenti al genere, all’orientamento sessuale e altre caratteristiche. La legge Zan oltre a proteggere normativamente dalla violenza prevede azioni formative soprattutto nelle scuole ed è fondamentale l’educazione alle diversità fin dai primi anni dell’istruzione».