A quasi due anni dall’omicidio a Roma del leader degli Irriducibili della Lazio l’indagine punta sulle anomalie. A partire dalla scelta del killer e del delitto avvenuto nel territorio di un boss che era padrino della vittima

Un colpo di dadi non abolirà mai il caso, come quella mattina del 7 agosto del 2019 quando Fabrizio Piscitelli si fa tatuare sulla gamba destra un teschio, simbolo della transitorietà della vita, della vanità delle cose terrene, del punto di non ritorno di ciascuno. Quello di Diabolik sarà poche ore più tardi, alle 18.50 su una panchina nel Parco degli Acquedotti dove un uomo vestito da runner lo raggiunge alle spalle e gli spara alla nuca, tenta di esplodere un secondo colpo, ma la pistola si inceppa. L’imprevisto però non serve a cambiare il finale perché Piscitelli è già morto.

 

Chi ha ucciso Diabolik? A quasi due anni dall’omicidio più importante compiuto a Roma nell’ultimo decennio, non c’è ancora il nome del killer, né quello dei mandanti.

 

Inchieste fondamentali - come Grande Raccordo Criminale e Tom Hagen della Guardia di Finanza , coordinate dalla Dda di Roma - hanno svelato l’enorme peso criminale del leader degli ultrà della Lazio, tanto operativo nel narcotraffico da poter sfamare decine di piazze di spaccio della città, tanto potente (o almeno si riteneva tale) da farsi garante ad Ostia di una pax mafiosa tra diverse e storiche consorterie criminali. Diabolik però è morto da uomo libero.

18Diabolikdef_Fabrizio Piscitelli Foto Mezzelani GMT003

Una figura apicale del crimine per gli investigatori, il re degli Irriducibili per i tifosi della Lazio, ucciso con una vera e propria esecuzione avvenuta di giorno in un parco pubblico e molto frequentato. Il procuratore Michele Prestipino ha definito questo «un omicidio strategico e funzionale al riassetto di alcuni equilibri criminali di Roma; ha una certa matrice ed è stato eseguito con una metodologia seria». Talmente seria che un bossolo è stato trovato per terra accanto al suo corpo, ma della pistola fumante invece non si sa ancora niente. O quasi.

 

Ciò che possiamo rivelare oggi è che a sparare è stato un sicario professionista di nazionalità albanese. Alto, corporatura atletica, occhiali da sole, una bandana in testa, maglia e pantaloni da fitness e in vita un marsupio, dove nascondeva l’arma.

 

L’hanno notato in molti in quel parco correre con disinvoltura verso la panchina dove sedeva Piscitelli, hanno sentito lo sparo e lo hanno visto allontanarsi, scavalcando la ringhiera che delimita il parco dal marciapiede di via Lemonia. Chi di certo lo ha guardato in faccia è Eliobe Creagh Gomez, un ragazzo cubano che da poco faceva l’autista e il bodyguard per il leader della curva Nord. Lo aveva accompagnato lui quel pomeriggio al Parco degli Acquedotti e gli si era seduto accanto sulla panchina. Ha assistito all’omicidio, ha visto il killer in faccia ed è fuggito, senza prestare soccorso, senza chiamare né un’ambulanza né la polizia. È salito sulla Jeep Compass bianca noleggiata da Piscitelli e ha buttato in un cassonetto la sigaretta elettronica e un cellulare (gli altri due sono stati trovati vicino al corpo) in uso a Diabolik.

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Creagh Gomez però non è il solo ad essere fuggito dopo lo sparo. Seduto nella sua automobile, all’ingresso del parco, c’era anche Fabrizio Fabietti, il sodale di Piscitelli, oggi in carcere per traffico internazionale di droga, lesioni, riciclaggio ed estorsioni. Il cubano ha provato inutilmente a chiamare lui subito dopo l’omicidio. Cosa ci faceva lì? Perché è scappato? Non è stato ancora chiarito. Di certo temeva di fare la stessa fine del socio: al momento del suo arresto, avvenuto qualche mese dopo, i finanzieri del Gico l’hanno trovato nascosto sul tetto, tra i motori del condizionatore, completamente bagnato dalla sua stessa urina. Si è placato solo quando ha compreso che a raggiungerlo non erano dei sicari ma i militari della Guardia di Finanza. Fabrizio Fabietti era amico e braccio destro di Diabolik, come ha voluto dimostrare pagando alla moglie di Piscitelli tutte le spese per il funerale. Condivideva tutto con lui, anche la paura di essere fatto fuori, eppure ancora non ha riferito agli inquirenti una sola parola utile a far luce su quel delitto. A cominciare dall’appuntamento che il suo amico aveva il 7 agosto alle 18,40.

 

Quello che possiamo riferire oggi è che Diabolik si sarebbe dovuto incontrare con Alessandro Capriotti, soprannominato “Er Miliardero”, che invece interrogato dagli agenti della Squadra Mobile ha negato. In realtà si sarebbero dovuti vedere già il pomeriggio precedente, nello stesso posto e alla stessa ora, ma una telefonata arrivata all’ultimo momento lo avvertì che l’incontro era rinviato al giorno dopo. Er Miliardero è un nome pesante della malavita romana, un bancarottiere, ma soprattutto un narcos che ha fatto tanto di quel denaro con il traffico di stupefacenti da essersi guadagnato a ragione quel soprannome. Capriotti sta finendo di scontare la sua condanna agli arresti domiciliari, pena che gli consente però alcune ore di libertà, durante le quali va a trovare nei pressi dello stesso parco il figlio, anche lui in affari con la banda di Fabietti e Piscitelli.

 

Ad ogni modo, quel 7 agosto a quell’appuntamento Er Miliardero non si presentò mai.

 

Tra le tante stranezze di quel giorno ci sono due circostanze di cui siamo venuti a conoscenza e che se confermate sarebbero clamorose. Dopo l’omicidio, qualcuno avrebbe anticipato l’arrivo della polizia per la perquisizione a casa di Fabrizio Piscitelli a Grottaferrata. Per far sparire qualcosa? Per portar via il denaro, tanto, anzi tantissimo, che nascondeva in casa?

 

E poi: perché dopo poche ore dall’omicidio, qualcuno molto vicino a Fabrizio, forse addirittura un familiare, si sarebbe preoccupato di concordare la versione da dare agli inquirenti? Su cosa? Chi indaga ne è a conoscenza?

 

Piscitelli era una pedina importante di un’organizzazione criminale complessa e ramificata, fatta di acquirenti e fornitori, di broker del narcotraffico, di esperti informatici e di batterie di picchiatori, albanesi soprattutto. Diabolik e Fabietti facevano affari con tutti, dalla cosca di ’Ndrangheta Bellocco, ai Casamonica, dalla mala romana a quella albanese, sempre più forte, dagli Spada di Ostia al clan Senese del boss Michele, detto O’ Pazz , ma che pazzo non è mai stato.

 

Re indiscusso della camorra romana, arrivato nella capitale da Afragola negli ’80, ha creato un impero di spaccio e terrore, servendosi per primo della manovalanza albanese per i lavori più sporchi. Diablo era considerato come un figlioccio dai «napoletani della Tuscolana». Cresciuto a pochi metri di distanza dal loro villino al Quadraro, sin da ragazzo Piscitelli aveva imparato da loro a gestire il potere criminale. Da loro aveva ereditato la batteria dei picchiatori albanesi di Ponte Milvio, che utilizzava spesso e volentieri per recuperare crediti in modo convincente. Piscitelli condivideva con i fratelli di Michele Senese, Angelo e Gennaro, lavoro e amicizia. Era stato proprio Gennaro a presentare a Fabrizio la moglie Rita Corazza, sposata quasi trenta anni fa e da cui ha avuto due figlie. Un amore finito, Piscitelli era in procinto di andarsene da casa, secondo quello che avrebbe confidato agli amici. Un amore diventato tossico e distruttivo, mischiato a frequentazioni pericolose, a liti violente e a fiumi di cocaina.

 

La complessa organizzazione criminale – descritta nell’operazione del Gico Grande Raccordo Criminale - alla cui testa sarebbe stato il leader degli Irriducibili con Fabrizio Fabietti era in grado di rifornire di cocaina e hashish tutta la città: «La devo dà a tutta Roma», diceva in un’intercettazione Fabietti. In pochi mesi, tra il febbraio e il novembre del 2018, erano riusciti ad organizzare una compravendita di 250 chili di cocaina e 4.250 chili di hashish, che avrebbero fruttato 120 milioni di euro. Il livello era questo.

 

Nel mercato della droga però, si sa, i legami sono fluidi, gli amici diventano nemici e i nemici diventano sodali, per un credito, per un debito, per ridimensionare chi è ambizioso oltre misura o chi si allarga troppo, come forse ha fatto il Diablo che si sentiva tanto forte e solido da farsi garante insieme a Salvatore Casamonica di una pace mafiosa ad Ostia tra il clan Spada e il gruppo capeggiato da Marco Esposito, detto Barboncino, che Piscitelli considerava di sua gestione.

A negoziare gli equilibri sul litorale romano nel 2006 tra la mafia, la camorra e la mala romana, tra i Triassi e i Fasciani, era stato il boss Michele Senese, la cui forza intimidatrice e il cui controllo del territorio erano riconosciuti e accettati da tutti gli altri gruppi criminali. Si può affermare lo stesso per Fabrizio Piscitelli? Probabilmente no.

 

Per ora nessuno parla, né Fabrizio Fabietti, né Lucia Gargano - l’avvocato che portava i pizzini in carcere agli Spada per conto di Piscitelli - né Alessandro Capriotti che, pur continuando a negare l’appuntamento con Diabolik al parco, potrebbe aver fatto da esca, né gli amici, né gli ultrà finiti in carcere e neppure i familiari, per quello che forse sanno e che non dicono. Un clima omertoso e insolito in una città come Roma, dove di norma non si spara perché c’è spazio per tutti.

 

A parlare saranno, si spera, i tre cellullari decriptati di Diabolik, ora che finalmente sono stati restituiti agli inquirenti dai tecnici tedeschi che ci hanno lavorato per più di un anno. Come sottolinea ancora una volta la procura di Roma, quello di Piscitelli non è un omicidio di strada, ma è un’esecuzione mafiosa avvenuta per una lotta di potere. Eppure sono passati due anni e nessun equilibrio è apparentemente saltato e nessuno soprattutto ha vendicato Diabolik, ucciso - è bene sottolinearlo - in un territorio amico dove a comandare da sempre sono i suoi padrini, i Senese, per mano di quegli albanesi arruolati tante volte da Piscitelli stesso. La sua era una morte inevitabile perché metteva forse d’accordo tutti? Uno scacco matto, ammesso che il Diablo fosse davvero un re.