L’ombra di Erdogan sulla moschea di Strasburgo. La Francia si divide
La sindaca cofinanzia il luogo di culto più grande d’Europa e l’amministrazione centrale la contesta: scelta in conflitto la laicità dello Stato. Ma l’Alsazia rivendica le proprie prerogative
È la moschea più grande d’Europa. Un'opera faraonica nel cuore della Francia, inevitabilmente oggetto di una disputa che divide il Paese. Troppe le implicazioni geopolitiche. Tanti gli interessi. Inevitabile il sospetto che costituisca l’avamposto di una silenziosa penetrazione degli interessi della Turchia.
Nel 2017, già all’inizio dei lavori, era chiaro che la moschea Eyyub Sultan di Strasburgo avrebbe avuto un impatto di grande portata. Durante la posa della prima pietra, mentre il vicepresidente turco Bekir Bozdag teneva un discorso in diretta alla televisione turca senza far ricorso alla traduzione simultanea in francese, gli ospiti d’onore giunti dalla Francia sorridevano a denti stretti.
La moschea si estenderà per 5560 metri quadri, conterà uno o due minareti di 44 metri e vanterà una cupola di 26 di altezza, con costi di costruzione che oltrepassano i 30 milioni euro. Incaricata della supervisione del progetto è un’associazione religiosa con radici in Turchia: Millî Görüş.
Un sodalizio che rappresenta l’Islam sunnita e che in passato è stata oggetto delle attenzioni dei servizi segreti europei. Millî Görüş, contrariamente all’organo statale turco Ditb, costituito con il preciso scopo di promuovere l’Islam, non è direttamente finanziata dal governo turco. Tuttavia, i due organismi condividono punti di vista e finalità.
Nel 2019 l’edificazione della moschea ha subìto un arresto. Solo qualche mese fa, all'inizio del 2021, i lavori sono ripresi. Il 22 marzo la nuova sindaca di Strasburgo Jeanne Barseghian (in carica dal 2020) ha deciso di sovvenzionare l’impresa con 2,5 milioni di euro. Contrariamente a quanto avviene in genere nel resto della Francia secolarista, nella regione dell’Alsazia è consentito sostenere la pratica del culto religioso. Gli alsaziani vanno molto fieri di questa peculiarità in un paese dichiaratamente laico come la Francia, definendosi una delle regioni più tolleranti d’Europa.
La decisione è osteggiata da Parigi. Il ministro dell’Interno Gérald Darmanin ha fatto ricorso alla Corte amministrativa chiedendo di bloccare la sovvenzione. La prefetta Josiane Chevalier ha dichiarato di aver personalmente avvertito Barseghian, sottolineando quanto Millî Görüş sia un gruppo pericoloso – una denuncia negata dalla Barseghian, il cui partito ha fatto appello alla Corte perché siano presentate delle prove a sostegno di tali accuse. La ministra Marlène Schiappa ha addirittura parlato di un flirt con i princìpi dell’Islam.
Anche il presidente Emmanuel Macron è intervenuto, puntando il dito contro la Turchia e sostenendo che Erdogan si stia intromettendo a Strasburgo, dove alcune comunità si sono mostrate “troppo concilianti”.
La scelta dei tempi non aiuta Strasburgo. E dà fiato alle trombe dei secolaristi secondo cui la Repubblica deve difendere la sua laicità, soprattutto dopo gli attacchi di matrice islamista degli ultimi anni.
Inoltre, dopo la decapitazione di Samuel Paty, il docente ucciso il 16 ottobre 2020 vicino Parigi, Emmanuel Macron ha imposto alle associazioni musulmane francesi la firma della “Carta dell’Islam francese” (un documento che Millî Görüş non ha firmato), un tentativo di sopprimere le derive islamiste sottomettendo l’Islam ai valori della Repubblica.
L’intemerata contro la moschea ha anche una implicita ragione elettorale. Emmanuel Macron è talmente impopolare nei sondaggi che rischia veramente di perdere le elezioni a favore della candidata Marine Le Pen alle presidenziali del 2022. Mostrandosi risoluto e inflessibile nei confronti di Erdoğan spera di guadagnare voti tra gli elettori di destra.
Nel frattempo l’associazione Millî Görüş ha rinunciato alla sovvenzione, ufficialmente per poter rivedere il piano di finanziamento della moschea. E la sindaca è stata posta sotto protezione statale. La polemica per ora è sopita. Ma la ripresa dei lavori e la corsa per le presidenziali riaccenderanno di sicuro il fuoco e il dibattito attorno alla laicità e l’Islam tornerà sicuramente al centro del ciclone politico.