«Abbiamo iniziato i carotaggi preliminari per gli studios da realizzare sull’area industriale ex Sir di Lamezia Terme», annuncia Giovanni Minoli, commissario straordinario della Calabria Film Commission (Cfc). «A luglio inizia la lavorazione della docufiction Donne di Calabria e poi si parte con la gara per il sito dedicato alla lunga serialità televisiva. I 20 milioni di euro dell’investimento sono nei bilanci regionali, già stanziati e trovati grazie a una burocrazia che ho scoperto molto efficiente. Le polemiche sul personale calabrese sono sciocchezze. In quanto al vicepresidente facente funzioni della giunta, Nino Spirlì, mi pare che il suo segretario nazionale, come si chiama, Salvini si sia espresso su di lui in modo non troppo lusinghiero».
Decisamente la proprietà transitiva non ha funzionato fra Minoli e Spirlì. Entrambi amati e chiamati a posti dirigenziali in Calabria dalla scomparsa presidente regionale forzista Jole Santelli, l’ex direttore di reti Rai e l’ex autore di programmi per Rai e Mediaset guerreggiano, fra scarsa stima e dispetti, intorno a macchine da presa e telecamere della Nuova Lollywood, la Hollywood di Lamezia Terme. La zona dove gli ingegneri di Minoli svolgono i carotaggi è una delle più estese d’Europa, appena a sud dell’aeroporto internazionale che la rende, in teoria, facilmente raggiungibile. In pratica, pochi capannoni sono occupati.
In attesa di riempirli, Minoli ha accolto con soddisfazione l’uscita di scena del suo direttore generale, Vittorio Romano («forse non si sentiva all’altezza»), sostituito dal cosentino Luciano Vigna, ex capo di gabinetto di Santelli a sua volta rimpiazzato da Franceschina Bufano. Vigna, esperto contabile che gode della stima di Minoli, è stato uno degli uomini dell’ex presidente Giuseppe Scopelliti, condannato per i bilanci del Comune di Reggio, e consulente di Santelli quando la parlamentare azzurra era sottosegretario al Lavoro (governo Letta, 2013). Un altro politico amante della Calabria, Maurizio Gasparri, gli ha affidato la revisione dei bilanci della sua fondazione (Italia protagonista) mentre l’ex sindaco di Cosenza Mario Occhiuto gli aveva dato da controllare i conti del comune silano.
Motivo ufficioso delle dimissioni di Romano sarebbe la mancata garanzia occupazionale al personale locale che il torinese Minoli vorrebbe sostituire con gente sua in spregio delle percentuali di occupazione garantita ai residenti da altre film commission.
«Tutte cazzate», taglia corto Minoli. «Basta chiedere a Napoli dove Un posto al sole è diventata la prima industria della città e chiunque ha un parente che ci ha lavorato. In Sicilia siamo partiti con il 60 per cento di romani e alla fine dell’anno avevamo il 60 per cento di siciliani. La lunga serialità si deve imparare. Per cominciare subito ho bisogno di macchinari che qui non ci sono e di gente che sappia usarli».
Un ruolo sui contenuti della Cfc e dei Lamezia Studios spetta a Giovanna Corsetti, autrice di Minoli da molti anni, vicedirettrice del Riformista e produttrice in proprio con Jmovie, la società che ha realizzato insieme a Raicinema il documentario “Se dicessimo la verità” di Emanuela Giordano e Giulia Minoli, figlia di Giovanni e di Matilde Bernabei, quindi nipote di Ettore, storico dg di viale Mazzini di osservanza fanfaniana. L’opera è stata trasmessa sulla prima rete il 23 maggio scorso, nell’avversario della strage di Capaci.
Anche sulla criminalità Minoli non la pensa come Spirlì che vede di cattivo occhio le opere a tema ’ndrangheta. «Che proprio qui non se ne parli mi sembrerebbe strano», dice Minoli da amico dell’ex Guardasigilli Claudio Martelli, l’uomo che portò Giovanni Falcone a Roma. In sprezzo ai desiderata di Spirlì la Cfc finanzierà una docufiction su carabinieri infiltrati nei clan del narcotraffico italiano e internazionale.
Un po’ infiltrato è anche il torinese Minoli che è per lo più di base a Roma dove cura la sua striscia quotidiana “Il mix delle cinque” su Radio Rai. «In Calabria ci sono andato gratis per fare un piacere a Jole», puntualizza. «Dopo la sua morte a ottobre mi ero dimesso ma mi hanno pregato in ginocchio di restare. Così ho detto: proviamo. Purché si facciano le cose e non gli annunci».
In effetti, il progetto Lollywood ha un precedente in fotocopia. Nel 2007, con il centrosinistra di Agazio Loiero al governo della regione, il direttore di Rai fiction Agostino Saccà, calabrese di Taurianova come Spirlì ed ex socialista craxiano come Minoli, voleva trasformare in studio telecinematografico l’area industriale di fronte al Tirreno dove negli anni Settanta l’imprenditore della chimica Nino Rovelli non riuscì a insediare la sua Sir per una vicenda affaristico-giudiziaria fra le più lunghe e intricate nella storia degli investimenti pubblici al Sud.
Al tempo si era fieramente opposto al progetto il ras dell’Udc locale Francesco Talarico, assessore al bilancio della giunta Santelli arrestato lo scorso febbraio nell’inchiesta “Basso Profilo” della Dda di Catanzaro.
Altro protagonista della revolving door in stile Rai, Saccà si è messo a fare il produttore in proprio come gli aveva pronosticato Silvio Berlusconi in una celebre telefonata intercettata dalla Procura di Napoli quattordici anni fa. Seguì un’inchiesta che lo portò alle dimissioni. Trasferito a Roma, il processo finì con un’assoluzione. Nel 2020 Pepito, la società di Saccà e della figlia Maria Grazia, ha prodotto due film molto apprezzati dalla critica: “Hammamet”, biopic su Bettino Craxi con Pierfrancesco Favino per la regia del calabrese Gianni Amelio, e “Favolacce” dei fratelli D’Innocenzo. Il resto sono tutte fiction tv coprodotte e trasmesse dai canali Rai con un finanziamento nel 2019 di circa 3 milioni di euro da parte del Mibact, dove lavora come influente segretario generale Salvo Nastasi, genero di Minoli.
Saccà ha ricevuto contributi dalle film commission campana e pugliese ma non dalla Cfc forse memore delle disavventure toccate al corto “Calabria terra mia”, interpretato da Raoul Bova. Voluto, e si dice scritto, da Santelli, girato da Gabriele Muccino e prodotto dalla Viola film della tedesca Ndf e di Alessandro Passadore, socio di un altro ex della Rai dei tempi di Saccà, il produttore di “Madeleine” Carlo Macchitella, lo spot non è mai stato trasmesso. Viola è arrivata a una transazione incassando da Spirlì 1,2 milioni di euro in cambio di un “arricchimento” del prodotto con nuove scene che si girano in questi giorni.
Per motivi diversi sia il vicepresidente facente funzioni sia il commissario straordinario della Cfc potrebbero essere sulla via del ritorno nella capitale. Spirlì ben difficilmente ha un futuro politico oltre le elezioni del prossimo ottobre dopo una serie di débâcle della Lega in Calabria e il veto di Matteo Salvini. Minoli aspira alla presidenza o, quanto meno, a un posto di consigliere della tv di Stato con la quale ha avviato un braccio di ferro sugli archivi immagini del programma “La storia siamo noi” acquisiti a prezzo vile quando il dg era Mauro Masi.
Sebbene il braccio di ferro rischi di compromettere il suo ritorno ai vertici di viale Mazzini, l’inventore di Mixer non molla di un millimetro.
«Ho un contratto che dice che è roba mia e le piattaforme mi fanno la corte per vendere. La Rai deve reagire con una proposta ma sono tutti in scadenza». Se Minoli entra nel prossimo giro di nomine, la proposta potrà farsela da sé. È sempre il sistema più efficace.