La parola
Siamo in estate, ma non parliamo di quanto caldo fa
Il tema che per definizione occupava tg e servizi, quest’anno è quasi sparito dai discorsi
C’è una parola scomparsa dal consueto dibattito pubblico stagionale. Ed è la parola caldo. Nonostante un avvio di temperature basse, giugno ha chiuso ai piedi del podio, il quarto più torrido dal 1800, più 2,18 gradi rispetto alla media dei recenti trent’anni. Luglio ci ha già aggiunto di suo un’ondata africana che ha lambito i 40 gradi e, dopo una tregua, nelle previsioni già promette una replica.
Eppure, salvo allerte finite a una colonna o in coda ai tg, ci sono stati risparmiati servizi ansiogeni, scenari da incubo, consigli degli esperti su come difendersi che sembrano quelli della nonna: bere molto, mangiare frutta e verdura, non uscire nelle ore centrali della giornata, eccetera. E nemmeno gli anticicloni da record si sono meritati il battesimo dei meteorologi con nomi che alludono a disastri, Caronte, Lucifero. Gli inviati delle tv non sono stati costretti a collegamenti sotto il sole cocente e ascelle sudate per dare la notizia: fa caldo! Talvolta sparata anche nei titoli e dopo la quale si poteva tirare un sospiro di sollievo: bene, oggi non è successo niente.
La mancanza del caldo sui media lo ha fatto quasi sparire anche nelle discussioni private. Se non c’è, non se ne parla a cena con gli amici e chi ne accenna perché in effetti chi lo sente viene quasi deriso. Per forza, è estate. Viene il sospetto che il caldo sia retrocesso in graduatoria perché sostituito da altre emergenze, il Covid-19, o da altre priorità, i successi della nazionale che hanno alzato la temperatura emotiva e abbassato quella corporea. Un tappabuchi insomma, in mancanza d’altro. Allora viene quasi da invocarlo. Ridateci il caldo e altro mal non venga.