Non solo la Terra dei fuochi ma anche il Veneto per i Pfas, Taranto con l’Ilva e Roma con i rifiuti. Marcos Orellana, relatore speciale delle Nazioni Unite, lancia l’allarme

La sentenza di Marcos Orellana è chiara e molto forte: «In Italia ci sono territori in cui il diritto alla vita, alla salute, all’acqua potabile, a un cibo e un ambiente sani sono seriamente minacciati. Sono preoccupato». Orellana è Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla gestione delle sostanze inquinanti e il loro impatto sulla popolazione. Non pronuncia queste parole a cuor leggero, è reduce da una missione in diverse zone italiane, dal Veneto dei Pfas alla Terra dei Fuochi campana, dall’Ilva di Taranto a Roma. Una perlustrazione mirata alla definizione di una relazione che sarà presentata alla 51° Sessione del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite fissata nel settembre di quest’anno. Diritti umani, perché lo scorso ottobre una risoluzione dell’Onu ha sancito come “diritto all’umanità” l’accesso all’ambiente, all’acqua, all’aria puliti. Da qui anche la ridefinizione dell’incarico di Orellana che oggi è “Relatore Speciale delle Nazioni Unite su Sostanze tossiche e Diritti umani”. L’Espresso lo ha incontrato al termine della sua missione in Italia per anticipare quel che le Nazioni Unite stanno preparando per denunciare l’emergenza italiana.

 

Orellana, ha riscontrato violazioni dei diritti umani dopo quasi due settimane di visite e incontri nei siti italiani più inquinati?
«Durante la mia visita nei siti contaminati in Veneto, in Campania e in Puglia ho registrato una chiara minaccia alla possibilità di godere dei diritti umani internazionalmente riconosciuti. Molte delle attività altamente inquinanti, figlie dell’era postindustriale, non solo hanno contaminato in passato, ma continuano a farlo adesso generando ancora oggi un numero crescente di casi di malattie e di morti tra la popolazione».

 

Marcos Orellana

Quando si pensa all’Italia dei rifiuti e delle sostanze tossiche il riferimento immediato è la Terra dei Fuochi. Perché è rimasto così colpito dalla situazione del Veneto?
«Sono seriamente preoccupato per l’entità dell’inquinamento dei Pfas, sostanze perfluoroalchiliche, note anche come “prodotti chimici eterni” perché persistono e non si degradano nell’ambiente, in alcune aree del Veneto. Parliamo di 300 mila persone colpite dalla contaminazione della seconda falda acquifera più grande d’Europa. I residenti della zona più esposta hanno sofferto gravi problemi di salute come infertilità, aborti e diversi forme tumorali. È una situazione molto seria e, poiché non esiste una soglia di tolleranza all’esposizione a queste sostanze, invito l’Italia a limitarne l’uso solo ai casi in cui non esistano alternative e a ratificare al più presto la Convenzione di Stoccolma per l’eliminazione dei composti organici persistenti come i Pfas».

 

La popolazione locale, tuttavia, lamenta una grave carenza di informazioni a livello istituzionale e indica una responsabilità chiara da parte della Miteni di Trissino, considerata la prima fonte dell’inquinamento da Pfas nelle zone di Verona, Vicenza e Padova.
«I dirigenti della Miteni erano consapevoli dello scarico di rifiuti e dell’inquinamento conseguente, ma non hanno offerto adeguate misure di protezione ai lavoratori né hanno divulgato informazioni sulla gravità dell’inquinamento da Pfas. Anche le autorità regionali sapevano e hanno taciuto. Alcuni abitanti sono venuti a conoscenza del problema della contaminazione tossica solo nel 2016-2017, quando la Regione ha avviato un piano di sorveglianza sanitaria per la popolazione più esposta. Eppure la Regione era stata informata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche nel 2013. Un passo insufficiente perché ad essere monitorata è solo la zona più contaminata con grave rischio per i cittadini delle altre aree colpite».

 

Altro grande capitolo riguarda la gestione dei rifiuti. Lei ritiene che la situazione a Roma sia di ordinario allarme o si tratti di un fenomeno grave?
«La “giustizia ambientale” è strettamente legata alla gestione dei rifiuti. Ci sono Regioni che esportano i rifiuti in altre Regioni o Paesi perché non hanno la capacità di gestirli in maniera adeguata. Spesso i luoghi di importazione sono Paesi poveri che subiscono tutto l’impatto dello smaltimento dei rifiuti che, la maggior parte delle volte, vengono inceneriti in maniera scorretta esponendo la popolazione a sostanze tossiche. Ecco, questo concetto di “ingiustizia” vale anche nell’export dei rifiuti da un Regione all’altra dello stesso Paese, come avviene per la città di Roma. È necessario che la capitale si adoperi per migliorare lo stato delle cose».

 

Della Terra dei Fuochi si parla da anni: che situazione ha trovato?
«In un’area vastissima, che comprende 500 siti contaminati sparsi su 90 comuni del casertano e del napoletano, lo scarico e la combustione di rifiuti pericolosi hanno generato livelli molto alti di inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo. Ad oggi non è del tutto nota l’entità del problema, che colpisce tre milioni di persone, ma sono ampiamente documentati sia l’aumento della mortalità nelle zone interessate, sia una maggiore vulnerabilità al Covid-19».

 

C’è una connessione tra la cattiva gestione delle sostanze tossiche e il rischio di contrarre il Covid-19?
«Ci sono diversi studi che lo provano. Una maggiore esposizione all’inquinamento rende le persone più suscettibili al Covid-19 e soggetti incolpevoli di una doppia ingiustizia ambientale. Non dobbiamo dimenticare l’origine zoonotica del virus, per cui tanto più l’uomo invade gli spazi naturali, distrugge le foreste e le specie, tanto più il virus entrerà a contatto con l’uomo».

 

A proposito di inquinamento, lei ha visitato anche la “Puglia dell’Ilva”, impianto classificato come primo emettitore di CO2 in Italia.
«Le violazioni commesse in questo territorio a danno dei diritti umani sono molteplici. Parliamo di un aumento dei casi di cancro, di malattie respiratorie, cardiovascolari e neurologiche nonché una riduzione del quoziente intellettivo dei bambini. L’impianto e il suo processo produttivo sono obsoleti e le future attività avranno un impatto inaccettabile sulla salute umana e sull’ambiente. Adesso che lo Stato è comproprietario deve accelerare la bonifica dei siti contaminati e la trasformazione dell’Ilva affinché qualsiasi attività rispetti i livelli di qualità dell’aria previsti dell’Oms».

 

Lei ha puntato il dito contro i decreti “Salva-Ilva”. Perché?
«I decreti, soprattutto il settimo, prevedono l’immunità penale e amministrativa del futuro acquirente dell’impianto, creando una percezione di impunità a vantaggio di potenti interessi economici. Questo è del tutto incompatibile con il principio di uguaglianza».

 

A proposito di norme, perché ha criticato anche la riforma Cartabia sui reati ambientali?
«Mi preoccupa che per abbreviare la durata dei processi siano stati ridotti i tempi di prescrizione per alcuni reati, tra cui quelli ambientali. Si tratta di azioni criminali complesse che richiedono indagini lunghe. Temo che in nome di processi più brevi si possa creare un’impunità per reati che sono tra i più gravi previsti dal codice penale».